Palme, Olof
Il politico svedese più in vista del Novecento a livello internazionale, P. (Stoccolma 1927-ivi 1986), figlio di un dirigente in una società di assicurazioni e discendente per parte di madre dalla nobiltà tedesco-lettone fu educato da istitutori privati e in seguito si iscrisse alla prestigiosa Sigtuna Läroverk, dove completò gli studi secondari diplomandosi nel 1944. Concluso il servizio militare, studiò scienze politiche al Kenyon College in Ohio (Stati Uniti), dove si laureò in lettere, e poi legge all’Università di Stoccolma, dove si laureò nel 1951. Nello stesso anno aderì all’Associazione studentesca socialdemocratica e in seguito fu eletto presidente dell’Unione nazionale studentesca svedese.
Nel 1953 il primo ministro Tage Erlander lo nominò suo segretario personale, un incarico che P. mantenne accanto alla sua posizione nella Lega della gioventù socialdemocratica fino al 1963, quando divenne ministro senza portafoglio. Il ruolo di segretario personale del primo ministro comportava anche la stesura di discorsi e la collaborazione fra i due politici si fece molto stretta. Nel 1965 P. fu nominato ministro dei Trasporti e in seguito, nel 1967, divenne ministro dell’Istruzione, carica in cui si confrontò con il crescente radicalismo del movimento studentesco. Nel 1969 successe a Erlander sia come leader del partito che come primo ministro. Dopo un periodo come leader dell’opposizione fra il 1976 e il 1982, divenne di nuovo primo ministro dal 1982 fino al suo assassinio nel febbraio 1986.
Le convinzioni ideologiche di P. erano fondate su concetti come l’anticolonialismo, l’anticomunismo e le politiche del New Deal, si inserivano coerentemente in ciò che viene classificato come socialismo democratico, una versione più radicale della socialdemocrazia, in cui la democrazia politica deve essere integrata dalla democrazia sociale ed economica. P. poneva l’accento con forza sulla terza via, vale a dire la socialdemocrazia come un’alternativa al comunismo e al capitalismo. Solidarietà, democrazia e senso della comunità erano i principi guida sia nelle politiche interne che in quelle internazionali.
Nelle politiche interne P. promosso promosse l’espansione del welfare State, con lo Stato che si assumeva crescenti responsabilità, per esempio nei settori dell’assistenza all’infanzia e dell’occupazione. Inoltre era un convinto sostenitore del potere dei sindacati, che vide come alleati cruciali nel perseguimento della crescente sicurezza dell’occupazione e di un ambiente di lavoro migliore. Il neoliberalismo era il suo principale avversario ideologico e P. si batteva in favore di un welfare State generalizzato in cui lo Stato doveva essere il fornitore esclusivo di istruzione, assistenza all’infanzia, salute.
La fama internazionale di P. dipendeva, comunque, innanzitutto dal suo impegno nella politica internazionale e nella sua posizione di organizzatore della dinamica politica estera della Svezia. I fondamenti della politica estera svedese nel dopoguerra andavano individuati nella politica di neutralità, nella difesa fondamentale della sovranità e del diritto internazionale e nel principio di solidarietà. Con P. la politica estera svedese si trasformò, in particolare nella forma; naturalmente ciò non fu frutto solo dell’iniziativa di P., ma palesemente fu lui a imprimerle grande slancio e a imporre un modello che poi sarà seguito per decenni.
Come primo ministro P. dedicò notevoli sforzi a coltivare le relazioni internazionali e spesso “scavalcò” il ministero degli Affari esteri per portare avanti la sua forma di diplomazia aperta. L’enfasi posta sui valori centrali dei paesi di piccole dimensioni, ossia sovranità e autodeterminazione nazionale, fecero sì che la Svezia rappresentasse una voce critica ogni volta che questi valori erano minacciati. Questa forma di critica attiva si avvertì al massimo durante la guerra del Vietnam, che P. vedeva come un attacco ai valori fondamentali della politica internazionale. La politica della Svezia consistette, fra l’altro, nel dare aiuto al Vietnam del Nord e nel dar voce alle critiche sulla conduzione della guerra. Le critiche alla guerra da parte di P. raggiunsero il culmine all’epoca del bombardamento di Hanoi nel Natale del 1972: lo condannò con un linguaggio estremamente duro, confrontandolo con le atrocità commesse dai nazisti durante la Seconda guerra mondiale. L’effetto immediato di questa condanna fu che le relazioni diplomatiche fra gli Stati Uniti e la Svezia furono congelate per quindici mesi e rimasero fredde anche negli anni successivi. Oltre al forte coinvolgimento nel movimento per il Vietnam P. spese molte energie per promuovere le cause del Terzo mondo, inclusi il diritto all’indipendenza dei paesi colonizzati, il diritto all’autodeterminazione e la lotta alla povertà. La sua attiva opposizione all’apartheid nel Sudafrica e i suoi stretti legami con l’African national congress testimoniano queste convinzioni, come pure i suoi sforzi come mediatore nominato dal segretariato generale delle Nazioni Unite durante la guerra fra Iran e Iraq negli anni Ottanta.
In generale la promozione del disarmo e l’eliminazione degli armamenti nucleari in particolare, furono un’altra manifestazione della politica estera svedese sotto P., che assunse l’iniziativa di creare la Commissione indipendente sul disarmo e la sicurezza, nota anche come Commissione Palme. Il rapporto finale della Commissione, sottoposto all’Assemblea generale delle Nazioni Unite nel 1982, sottolineava l’esigenza di sicurezza comune, parlava dei pericoli della guerra nucleare, mettendo anche l’accento sulle conseguenze economiche del traffico d’armi, e presentava proposte concrete per il disarmo. Inoltre P. – assieme al cancelliere tedesco Willy Brandt e al cancelliere austriaco Bruno Kreisky – fu in larga misura responsabile della rinascita dell’Internazionale socialista dai primi anni Settanta in avanti.
Le cause di fondo della singolare decisione svedese di restare fuori dalle Comunità europee (v. Comunità economica europea) possono essere in parte a P. La Svezia era uno dei paesi fondatori dell’Associazione europea di libero scambio (EFTA), che insieme con l’organismo che le succedette, l’European economic area (EEA), sarebbe rimasta il principale pilastro dell’approccio della Svezia all’integrazione europea (v. Integrazione, teorie della; Integrazione, metodo della), finché nel 1995 il paese non aderì all’Unione europea (UE). In un discorso fondamentale scritto da P. insieme a Erlander, e pronunciato da quest’ultimo nel 1961, si stabiliva che l’Adesione della Svezia non rientrava nel programma politico a causa di ragioni sia interne che di politica estera. Sul piano della politica estera l’adesione era incompatibile con la politica di neutralità portata avanti dalla Svezia, mentre le ragioni interne consideravano l’adesione come una minaccia al modello di welfare State svedese. Questi due livelli di argomentazione avrebbero caratterizzato il dibattito pubblico svedese sulle Comunità nei decenni a venire.
Quando altri paesi aderenti all’EFTA come la Danimarca e il Regno Unito decisero di chiedere di diventare membri delle Comunità nel 1967, la Svezia rinnovò la richiesta per un’intesa di Associazione, sebbene non venisse scartata completamente la possibilità di una piena adesione. Quando Charles de Gaulle si dimise nel 1969, nello stesso anno in cui P. divenne primo ministro, la prospettiva di avviare i negoziati per l’adesione divenne reale, ma P. sottolineò che la prosecuzione della neutralità e del non allineamento svedese erano le condizioni preliminari per le discussioni imminenti. I negoziati con la Svezia non decollarono mai soprattutto perché la Comunità europea aveva associato l’Allargamento a progetti per ampliare la cooperazione nei campi della politica economica e monetaria e della politica estera, secondo quanto prevedevano il Rapporto Werner e il Rapporto Davignon. In particolare quest’ultimo, che imponeva formalmente la Cooperazione politica europea, portò P. a concludere che l’adesione non era un’opzione possibile dal momento che non intendeva mettere alla prova o compromettere la politica di neutralità della Svezia. Ma sembra che abbiano svolto un ruolo anche considerazioni sulla sovranità svedese in rapporto alle politiche interne. Nel resto della sua vita di P. sembrò essersi bloccato su questa valutazione e le posizioni svedesi non furono riconsiderate fino a dopo la sua scomparsa.
P. non fu un politico convenzionale. Pochi dei suoi contemporanei rimasero indifferenti al suo stile, alla sua personalità e alle sue prese di posizione politiche. Era lui a determinare l’agenda politica e gli altri uomini politici svedesi venivano giudicati sul suo modello. Fu un comunicatore vivace e abile e il suo stile oratorio era insolitamente aggressivo per la scena politica svedese. Fu anche detestato da alcuni segmenti della società, come non è accaduto a nessun altro politico svedese moderno, una circostanza che probabilmente era dovuta sia al suo stile che alla sostanza della sua politica, mentre alcuni osservatori hanno attribuito questo astio anche alle sue origini sociali. L’eredità politica di P. è stata offuscata e ridimensionata dal suo assassinio mai chiarito, su cui si sono concentrati molti dei dibattiti successivi. Solo occasionalmente P. viene menzionato nei discorsi pubblici. Tuttavia alcuni aspetti della sua politica, come lo status inviolabile della politica di neutralità, l’ambivalenza perdurante nei confronti dell’integrazione europea, la promozione del welfare State universale, la continua enfasi posta sul diritto internazionale e sul diritto all’autodeterminazione nazionale, hanno continuato ad esercitare un’influenza sulla politica svedese anche dopo la sua morte. E se pure, dall’inizio degli anni Novanta, sono stati compiuti effettivamente dei passi per distanziarsi da questi dogmi della politica svedese, questo nuovo orientamento di rado è interpretato pubblicamente come una riconsiderazione dell’eredità lasciata da P.
Fredrik Langdal (2010)