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Partenariato euromediterraneo

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La “Partnership euromediterranea” (PEM), forse la più ambiziosa iniziativa politica lanciata all’indomani dell’Unione europea (UE), è nata con la Dichiarazione di Barcellona (Processo di Barcellona) firmata nel novembre 1995 dai 15 Stati membri e da 10 paesi del bacino mediterraneo (incluse la Giordania e l’Autorità nazionale palestinese, esclusa la Libia). Avevano concorso alla sua genesi a livello locale la proposta italiana di Conferenza per la sicurezza e la cooperazione nel Mediterraneo, l’ipotesi di zona di libero scambio euromaghrebina e il Dialogo 4+4 avviato nel 1990 fra le due sponde del Mediterraneo occidentale, esteso sino a includere dieci paesi (Francia, Italia, Spagna, Portogallo, Malta e Algeria, Libia, Marocco, Tunisia, Mauritania) ma entrato in stallo nel 1992, la preoccupazione francese per la guerra civile algerina, gli accordi israelo-palestinesi di Oslo e l’emarginazione dell’UE dal processo di pace. A livello generale la PEM permetteva l’unificazione della Comunità economica europea (CEE) e della Comunità politica europea (CPE) nell’UE; favorirono la PEM il successo dell’approccio “globale” verso i paesi europei centro orientali (PECO), la volontà del governo catalano di valorizzare le identità regionali, la preoccupazione per il futuro energetico dell’Europa.

La PEM univa la forte istituzionalizzazione tipica della costruzione europea con il modello a tre “cesti” della Conferenza per la sicurezza e la cooperazione in Europa (CSCE): il primo prevedeva un dialogo politico istituzionalizzato ed elencava principi e regole di condotta in politica interna e estera degli Stati firmatari, tesi a creare un’area di pace e stabilità; il secondo impegnava a costruire una zona di prosperità condivisa, in cui la cooperazione economica e finanziaria conducesse entro il 2010 a una zona di libero scambio euromediterranea; il terzo promuoveva i rapporti culturali e stabiliva principi di democrazia, Diritti dell’uomo, civili, sociali. Conferenze annuali dei ministri degli Esteri, incontri di ministri tecnici (commercio, cooperazione industriale, ambiente, acqua, società dell’informazione, energia, trasporti, cultura e salute), gruppi di lavoro dovevano concorrere alla realizzazione degli obiettivi indicati in programmi di lavoro annuali, con il contributo di finanziamenti che sarebbero stati erogati attraverso il programma MEDA e i prestiti della Banca europea per gli investimenti (BEI). Veniva premessa una definizione pluridimensionale della sicurezza dell’UE, di cui un sano sviluppo economico e la pacificazione dei focolai di instabilità del Mediterraneo erano considerati condizioni indispensabili.

La PEM si dichiarava autonoma dal processo di pace in Medio Oriente. Che esso ne fosse la condizione necessaria fu tuttavia evidente dalle difficoltà registrate già dopo l’assassinio di Rabin e culminate dopo l’avvio della seconda Intifada nell’abbandono del progetto di Carta euromediterranea per la pace e la stabilità, in cui il disaccordo sulla definizione di terrorismo mascherava conflitti politici e culturali irriducibili, e nello sviluppo quasi nullo delle misure per la costruzione della fiducia. Maggiori risultati vennero dai nuovi, ampliati accordi bilaterali di Associazione, che accelerarono l’apertura reciproca dei mercati e in cui vennero inserite clausole di condizionalità politica, la cui applicazione rimase tuttavia erratica. Dal 1995 al 2003 MEDA erogava 5454 miliardi di euro, dedicandone dal 2001 una quota alla cooperazione Sud-Sud e ai progetti multilaterali e dando conferma del legame sempre più forte fra il Maghreb e l’UE.

Secondo una pregnante formula, la debolezza della PEM deriva dal fatto che i suoi obiettivi sono contenuti nel primo pilastro, gli strumenti nel secondo, i problemi nel terzo (v. Pilastri dell’Unione europea). In effetti, le fratture che si sono andate sommando dopo l’11 settembre 2001 hanno indebolito il già fiacco processo, ostacolato da rigidità istituzionali derivanti dalla tripartizione dell’UE oltre che da diversi gradi di attenzione fra i paesi membri. Considerato il moltiplicarsi di ostacoli e criticità, l’approccio globale e multilaterale è stato giudicato più come un ostacolo che come un catalizzatore e le preoccupazioni relative alla sicurezza interna della UE hanno favorito il ritorno alle relazioni bilaterali. Si è assistito a un’inversione di priorità: i risultati economici sembrano ormai del tutto insufficienti a condurre alla stabilità politica, mentre la promozione dei diritti umani e della democrazia, lo sviluppo della società civile e delle istanze non governative, l’applicazione seria della condizionalità politica sembrano indispensabili per dare credibilità e durevolezza al progresso anche economico. Immigrazione e cooperazione giudiziaria e di polizia hanno assunto un ruolo inedito, grazie all’evoluzione della cooperazione nel settore della Giustizia e affari interni. Nel 2004, l’avvicinamento della Libia e la nascita dell’Assemblea parlamentare euromediterranea e della Fondazione Anna Lindh per il dialogo fra le culture e l’attivazione di uno strumento finanziario della BEI per il sostegno alla piccola impresa hanno segnalato la volontà di tenere in vita la PEM, favorendone la penetrazione in più ampi settori della società politica, civile e economica; ma le molte assenze e gli scarsi risultati della conferenza del decennale convocata a Barcellona nel novembre 2005 hanno seminato dubbi sulla sopravvivenza del processo.

Elena Calandri (2006)