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Partito socialista europeo

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Il Partito socialista europeo (Party of European socialists) è stato fondato a L’Aia nel 1992 e ha costituito il punto di arrivo di un lento processo di convergenza tra partiti socialisti – organizzati a livello nazionale, sebbene uniti sin dalle origini da comuni valori internazionalisti – verificatosi nel corso del processo d’integrazione europea. Alle spalle dei socialisti europei vi era una lunga storia, iniziata nell’ultima fase dell’Ottocento e proseguita poi nel secolo successivo attraverso il confronto con esperienze storiche destinate a lasciare profonde tracce nella società quali le due guerre mondiali, i totalitarismi, il bipolarismo russo-americano e la caduta del Muro di Berlino (v. Germania).

Il Partito socialista tedesco era infatti nato nel 1875, quello spagnolo nel 1879, mentre il Partito socialista dei lavoratori italiani si costituì a Genova nel 1892. Più complesse erano state invece le vicende dei socialisti francesi e inglesi: nel primo caso essi avevano dovuto superare gli ostracismi indotti dalla Comune, nel secondo era stato necessario confrontarsi con l’eredità del cartismo, della Società fabiana e delle stesse Trade Unions.

Nella cosiddetta età dell’imperialismo tutti i singoli movimenti e partiti d’ispirazione socialista furono chiamati a fare i conti con la contraddizione esistente tra l’adesione alla prima (1864-1876) e poi alla seconda (1889-1914) Internazionale socialista, e l’appartenenza al quadro politico nazionale. Il momento di frattura fu rappresentato dalla Prima guerra mondiale, con i lavoratori dei vari paesi costretti a combattere su fronti contrapposti.

Nel frattempo lo scioglimento della seconda Internazionale (1914) e la rivoluzione bolscevica (1917) produssero una grande lacerazione nel movimento operaio, dando vita da un lato a formazioni di ispirazione socialdemocratica e dall’altro a partiti comunisti filosovietici. A livello sopranazionale i primi si organizzarono nell’Internazionale laburista e socialista (1923-1940), gli altri aderirono invece alla terza Internazionale (1919-1943).

L’Internazionale laburista e socialista non era però altro che una confederazione di partiti che continuavano ad agire con la massima autonomia. La stessa cosa si può dire della nuova Internazionale socialista ricostruita nel 1951, almeno fino a quando Willy Brandt non ne assunse la presidenza nel 1976, provando a rafforzarne la struttura e a imprimerle un carattere più strettamente internazionalista.

Nel 1947, su iniziativa dell’Independent labour party britannico, i socialisti europei costituirono il Movimento socialista per gli Stati uniti d’Europa, al quale inizialmente non aderirono né i principali partiti socialisti europei né i loro leader. La sua azione divenne tuttavia più incisiva a partire dal biennio 1948-1949, quando iniziò a collaborare con gli altri. Movimenti europeistici e a incoraggiare i primi passi dell’integrazione comunitaria (v. Integrazione, teorie della; Integrazione, metodo della).

Nel 1953, dopo la nascita delle Comunità europea del carbone e dell’acciaio (CECA), si formò il Gruppo socialista nell’Assemblea parlamentare e nel 1957 l’Internazionale socialista promosse la costituzione di un Liaison Bureau tra i partiti appartenenti all’Europa dei Sei. Quando, con l’avanzamento dell’integrazione europea, divenne necessario dar vita a una struttura unitaria di carattere più strettamente sopranazionale, l’Ufficio di collegamento venne trasformato dapprima nell’Ufficio dei Partiti socialisti democratici della Comunità economica europea e quindi, nel 1974, fu sostituito dalla Confederazione dei partiti socialisti della Comunità europea (CPSCE), riconosciuta contestualmente come associazione regionale dell’Internazionale.

Il momento non era certo casuale, dato che il Vertice europeo di Parigi (v. Vertici) in dicembre avrebbe deciso di rilanciare il processo d’integrazione europea attraverso le Elezioni dirette del Parlamento europeo di Strasburgo. Questa decisione in realtà incise meno del previsto sulla formazione dei Partiti politici europei, sia perché non era stato nel contempo conferito un maggior potere al Parlamento europeo sia perché, in campo socialista, l’ingresso nella Comunità dei laburisti inglesi e dei socialdemocratici danesi, entrambi tradizionalmente attestati su posizioni euroscettiche (v. Euroscetticismo), rendeva ancor più difficile la messa a punto di una prospettiva unitaria.

Comunque, in vista delle elezioni, nel gennaio 1979 si svolse a Bruxelles il primo Congresso della CPSCE, nel corso del quale venne approvato un Appello contenente i principali punti programmatici dei socialisti europei. Nonostante si trattasse di obiettivi alquanto generici, i laburisti inglesi rivendicarono nell’occasione la libertà di perseguire una propria strategia politica ed economica. Le polemiche furono però subito sopite dal buon risultato elettorale, dato che i socialisti conquistarono 113 seggi e formarono il gruppo parlamentare più numeroso.

Il problema del rafforzamento della struttura della Confederazione, e della conseguente limitazione dei poteri di veto dei partiti nazionali, si riaprì tuttavia nei primi anni Ottanta, senza peraltro che si riuscisse a individuare una soluzione. Così, all’approssimarsi della nuova scadenza elettorale del 1984, i laburisti inglesi e i socialdemocratici danesi poterono nuovamente prendere le distanze dal programma dalla CPSCE, là dove esso auspicava l’incremento dei poteri del Parlamento europeo.

Pur consapevoli di queste divergenze interne, nell’autunno 1985, i socialisti europei non poterono esimersi dall’avanzare una loro proposta sulle riforme istituzionali nell’ambito delle Conferenze intergovernative. Il punto più qualificante del loro progetto consisteva nell’attribuzione di poteri codecisionali (v. Codecisione) al Parlamento insieme al Consiglio dei ministri. Ancora una volta non mancarono i distinguo, che proseguirono poi nella diversa valutazione dell’Atto unico europeo, rendendo più che mai necessario il rafforzamento di una struttura unitaria: iniziò così a prendere corpo l’idea di dare vita a un vero e proprio partito europeo.

La strada era comunque ancora lunga. Nel 1989 venne infatti istituita una commissione di lavoro, presieduta dall’olandese Willem Kok, incaricata di studiare le modalità di rafforzamento della Confederazione socialista. Nella relazione finale venne indicata la necessità di incrementare il numero delle decisioni prese a maggioranza, di dotare l’organizzazione di una maggiore autonomia finanziaria e, soprattutto, ci si soffermò sull’importanza di accrescere il potere decisionale del centro rispetto ai partiti membri. Era evidente, pertanto, la necessità di superare la stessa Confederazione, anche se tale relazione non si azzardava ancora a fare esplicito riferimento a un partito unitario.

Questa conclusione venne comunque tratta da alcuni leader socialisti, e in particolare da Hans-Jochen Vogel, che allora guidava la Sozialdemokratische Partei Deutschlands (SPD); su posizioni opposte era invece schierato il laburista Neil Kinnock. Con la firma del Trattato sull’Unione europea, avvenuta a Maastricht nel febbraio 1992 (v. Trattato di Maastricht), la creazione del Partito socialista europeo non era più rinviabile: si procedette allora alla costituzione di un nuovo gruppo di lavoro, presieduto questa volta dal lussemburghese Ben Fayot e dall’olandese Thijs Wöltgens, che approdò a tale esito.

La loro relazione venne quindi discussa al Congresso biennale della Confederazione, svoltosi all’Aia nel novembre del 1992, che, anche in virtù dei nuovi poteri attribuiti al Parlamento europeo dal Trattato di Maastricht, sancì la nascita del Partito socialista europeo e contestualmente anche della European community organisation of socialist youth (ECOSY). Ciò naturalmente non significava l’immediata composizione delle diverse impostazioni emerse in precedenza, ma è pur vero che i socialisti, allora guidati dal belga vallone Willy Claes, si presentarono più uniti all’appuntamento elettorale del 1994, con un programma che spaziava dai temi del lavoro a quelli ambientali, dalla pace alla regolamentazione dei flussi migratori, pur rimanendo alquanto generici in merito alla controversa questione delle riforme istituzionali. Più che soddisfacente fu il risultato elettorale del partito, che si confermò al primo posto tra i gruppi parlamentari con oltre un terzo dei seggi.

L’anno successivo la guida del partito venne affidata al tedesco Rudolf Scharping, mentre alla presidenza del gruppo parlamentare fu eletta la laburista Pauline Green. Risale a quel periodo il tentativo di democratizzare il PSE attraverso la proposta delle iscrizioni individuali, ma ancora una volta la riluttanza al cambiamento dei laburisti inglesi ebbe la meglio, consentendo solo la possibilità di adesioni collettive di partiti membri dell’Internazionale socialista e appartenenti alla Unione europea (UE) o all’Associazione europea di libero scambio (European free trade agreement, EFTA). La questione non era certo di secondaria importanza, se è vero che implicava la completa trasformazione del PSE in partito sopranazionale.

Nel 1998 Scharping dichiarò di condividere sostanzialmente la proposta di Jacques Delors di scegliere il futuro Presidente della Commissione europea tra i capilista dei partiti che si sarebbero presentati alle elezioni europee, ma aggiunse anche che si trattava di un’opinione personale e che la questione avrebbe dovuto essere affrontata in un altro momento. La stessa prudenza contraddistinse allora il PSE su altre due problematiche cruciali – la politica economica della Ue e la Costituzione europea – dato che alcune aperture non furono poi seguite da azioni concrete.

Nel 1999 l’immagine del PSE venne però offuscata dal sostegno espresso nei confronti della Commissione europea, allora presieduta da Jacques Santer, alla quale erano stati tra l’altro imputati reati di corruzione. Nell’inchiesta furono direttamente coinvolti alcuni esponenti di spicco del partito, a cominciare dal commissario francese Édith Cresson. La Commissione venne costretta alle dimissioni nel marzo 1999 e alle elezioni di giugno il PSE finì per pagare un prezzo politico, ottenendo solo 180 seggi e venendo per la prima volta scavalcato dal Partito popolare europeo.

Nel 2001 il Congresso di Berlino elesse il laburista Robin Cook alla guida di un partito che continuava a caratterizzarsi per l’estrema prudenza con cui si muoveva in campo europeo. In quello stesso anno, tuttavia, il socialdemocratico tedesco Jo Leinen, presidente dell’Union of European federalists (UEF) (v. Unione europea dei federalisti), promosse la costituzione del gruppo “Altiero Spinelli” (v. Spinelli, Altiero) all’interno del gruppo socialista del Parlamento europeo per impegnare il PSE sulla strada di una federazione degli Stati e dei popoli (v. Federalismo). Inoltre, significative prese di posizione di carattere europeista vennero da figure di primo piano del partito, quali il cancelliere tedesco Gerhard Schröder e il segretario del PSOE (Partido socialista obrero español) José Luis Zapatero.

Nel dicembre 2001 parecchi europarlamentari socialisti sottoscrissero l’appello dell’intergruppo federalista in favore di una Costituzione europea e di un governo europeo responsabile di fronte al Parlamento, mentre nell’aprile 2002 molti di loro entrarono a far parte dell’intergruppo per la Costituzione europea formatosi all’interno della Convenzione europea. La linea ufficiale del partito era però determinata dalla necessità di una continua mediazione con le componenti più moderate, se non addirittura euroscettiche, presenti al suo interno.

Nell’aprile 2004 il danese Poul Nyrup Rasmussen venne eletto alla guida del partito con il mandato di trasformarlo in un soggetto più democratico e più attivo, ma alle elezioni di giugno il PSE conseguì nuovamente un risultato deludente. In quel periodo il partito sostenne il Trattato costituzionale sia durante i lavori della Conferenza intergovernativa sia durante le fasi di ratifica nei singoli Stati, ma risultò clamorosa la frattura tra i socialisti francesi in occasione del referendum del maggio 2005. Dopo l’esito negativo dei referendum in Francia e Olanda (v. Paesi Bassi), il PSE ha concentrato i suoi sforzi per cercare di rilanciare il processo costituente e per salvaguardare il modello sociale europeo minacciato dalla globalizzazione, oltre a dedicare grande attenzione alle questioni ambientali.

Guido Levi (2006)