Pflimlin, Pierre
P. (Roubaix 1907-Strasburgo 2000) è innanzitutto un alsaziano profondamente legato alle sue radici. Rappresentante di una regione contesa tra Francia e Germania, è votato in certo qual modo naturalmente a una causa europea fondata sulla riconciliazione franco-tedesca e in cui le due culture a cui si richiama l’Alsazia possano esprimersi senza contraddizioni.
Dopo aver concluso gli studi di diritto, nel periodo fra le due guerre P. diventa avvocato alla Corte d’appello di Strasburgo nell’Alsazia tornata francese. Si impegna anche in politica con l’adesione a un partito specificamente alsaziano, l’Union populaire et républicaine d’Alsace (UPR), in parte proveniente dal Centro cattolico tedesco e vicino in alcune idee alla nascente Democrazia cristiana. L’Union gode del sostegno dei vescovi e del clero alsaziano, ma si appoggia anche a un’ampia rete di associazioni e di giornali. Partito democratico, repubblicano senza riserve, si colloca tuttavia al centrodestra per la sua difesa della scuola confessionale, del voto alle donne, del decentramento e per la volontà di mantenere il Concordato del 1801, che continua a essere applicato nei dipartimenti recuperati dell’Alsazia e della Mosella. Contemporaneamente, e con perfetta complementarità, P. aderisce all’Union paysanne d’Alsace et de Lorraine.
Ma è dopo la Seconda guerra mondiale che ha realmente inizio la carriera politica di P. Al contrario di quei cattolici alsaziani che tentano di resuscitare una nuova UPR, decide di aderire al Mouvement républicaine populaire (MRP), che si dichiara non confessionale, ma si richiama all’ispirazione democratico-cristiana, sotto la guida di cristiani che hanno svolto un ruolo importante nella Resistenza. Nelle liste del MRP P. è eletto nel 1945 consigliere comunale a Strasburgo, poi deputato alla prima Costituente. Ha inizio così una carriera politica che lo vede fino al 1967 deputato inamovibile del dipartimento del Bas-Rhin.
Questa solida posizione locale apre a P. la strada degli incarichi ministeriali. Nel 1946 entra nel governo come sottosegretario, prima nel governo Gouin poi in quello di Georges Bidault. Nel novembre 1947 il presidente del Consiglio Robert Schuman, dirigente del MRP ed eletto in Lorena, lo chiama al ministero dell’Agricoltura dove P. rimane fino al dicembre 1949, data in cui si dimette per disaccordi su un problema di definizione dei prezzi agricoli. Ma nel giugno 1950 riottiene questo portafoglio mantenendolo fino al luglio 1951. Svolgendo queste funzioni è indotto a riflettere sulla realizzazione di un “pool verde” per l’agricoltura che associ i sei paesi della “piccola Europa” che nel 1950, secondo la visione di Jean Monnet e Robert Schuman, hanno dato vita alla Comunità europea del carbone e dell’acciaio (CECA). P., ormai diventato un ministro accreditato del MRP, figura ovviamente nei governi di centrodestra in cui è coinvolto il suo partito. Nel 1951 è ministro del Commercio nel gabinetto di René Pleven e nel 1952 Antoine Pinay lo nomina ministro della Francia d’Oltremare. Personalità di primo piano del MRP, è naturalmente favorevole alla Comunità europea di difesa (CED) e mantiene le distanze rispetto al governo di Pierre Mendès France, come la maggior parte dei dirigenti del suo partito in disaccordo con il presidente del Consiglio sulla politica liberale nelle colonie. Come gli altri membri del MRP disapprova inoltre il rifiuto del governo Mendès France di impegnare la responsabilità del governo sul progetto di CED e considera un dramma la sua bocciatura. Tuttavia, a differenza di altri dirigenti del MRP come Georges Bidault o Pierre-Henri Teitgen, la sua opposizione a Mendès France resta entro i limiti del dibattito politico senza arrivare a demonizzare il presidente del Consiglio nel 1954-1955. La caduta del governo Mendès France riporta in primo piano il MRP e P. al governo come ministro delle Finanze e degli affari economici nel gabinetto di Edgar Faure.
Il MRP, volendo sbarazzarsi dell’immagine di partito di destra conservatore incarnata durante la legislatura 1951-1956 sotto l’ispirazione di Bidault – che si è manifestata con una politica di dura repressione nelle colonie, di anticomunismo militante e sistematico nel territorio metropolitano, di violenti conflitti con i sindacati – sceglie nel 1956 di eleggere suo presidente P. Egli appare come un centrista moderato e ragionevole, ormai favorevole a una politica più liberale nei confronti dei movimenti nazionalisti nelle colonie e, in particolare, del conflitto algerino nato nel 1954 sotto il governo di Mendès France e trasformatosi dal 1955 in una vera e propria guerra. Il nuovo presidente del MRP si è andato progressivamente convincendo – avvicinandosi in questo alle idee di Mendès France – che l’unica soluzione possibile sia il negoziato. Dopo la caduta del governo di Guy Mollet nel maggio 1957, P. è interpellato dal Presidente della Repubblica René Coty per assumere la presidenza del Consiglio, ma deve rinunciare per l’opposizione dei socialisti alla ricostituzione di una coalizione di centrodestra intorno al MRP. A Mollet subentra come capo del governo il radicale Maurice Bourgès-Maunoury, sostenuto dalla maggioranza di sinistra uscita dalle elezioni del gennaio 1956.
A nome del MRP P. rifiuta di partecipare al governo, ma lo sostiene con i voti in Parlamento, facendo ratificare i Trattati di Roma che danno vita al Mercato comune con la Comunità economica europea e alla Comunità europea dell’energia atomica o Euratom. La costruzione europea appare più che mai la causa fondamentale alla cui difesa si consacrano il MRP e il suo presidente.
Dopo la caduta del governo Bourgès-Maunoury, i dissensi sull’Algeria all’interno della sinistra sono tali da rendere impossibile la costituzione di un governo di centrosinistra e quindi è indispensabile il concorso del MRP per formare una maggioranza. Il nuovo presidente del Consiglio, il radicale Félix Gaillard, fa entrare sei ministri del MRP nel suo governo, riportando così P. al ministero delle Finanze nel novembre 1957. Qualche mese dopo, l’inasprirsi della guerra di Algeria fa crollare il governo Gaillard nell’aprile 1958. Per sostituirlo il presidente Coty pensa di chiamare Georges Bidault, fondatore del MRP e fautore di una politica di forza in Algeria. Ma in seguito all’appello di P., appoggiato da dirigenti come Maurice Schumann, Robert Buron e Pierre-Henri Teitgen, il MRP rifiuta di sostenerlo. Dopo il tentativo fallito di René Pleven, il capo dello Stato si rivolge a P. l’8 maggio 1958. Il 13 maggio il governo è formato e si presenta per l’investitura di fronte all’Assemblea nazionale.
È il giorno scelto dagli attivisti dell’Algeria francese, sostenuti da una parte dell’esercito d’Algeria, per scatenare una rivolta ad Algeri, impadronirsi del governo generale e decidere la creazione di un Comitato di salute pubblica presieduto dal generale Massu, comandante della divisione paracadutisti d’Algeria, e sostenuto dal generale Salan, comandante in capo dell’esercito d’Algeria. Per impedire l’investitura di P., che ha espresso pubblicamente la sua volontà di avviare negoziati in Algeria, i pieds-noirs e l’esercito deliberano lo stato di secessione per i dipartimenti di Algeria. P., investito dall’Assemblea nazionale nella notte fra il 13 e il 14 maggio 1958, annuncia la sua intenzione di rivedere la Costituzione e di fare rispettare la legge repubblicana in Algeria. Ma questi buoni intenti sono subito smentiti dalla decisione di affidare i pieni poteri in Algeria al generale Salan, che ormai non si sa più se guidi l’Algeria a nome del governo o dei rivoltosi. La situazione si fa ancora più drammatica il 15 maggio in seguito all’appello lanciato al generale Charles de Gaulle dal generale Salan e all’entrata dei socialisti nel governo P. Il paese sembra sull’orlo della guerra civile.
De Gaulle riesce a evitarla grazie a una serie di abili interventi pubblici. Rifiutando di condannare i rivoltosi di Algeri e agitando lo spettro della guerra civile, sembra servirsi di loro per fare pressione sul governo. Allo stesso tempo moltiplica le dichiarazioni rassicuranti, facendo leva sulla sua popolarità e sul rispetto che ispira il suo nome, ricordando il suo passato di restauratore dello Stato nel 1944-1945 e insistendo sui suoi sentimenti repubblicani. Anche gli ingranaggi dello Stato sembrano sfuggire al governo. Il ministro della Difesa non può recarsi in Algeria e non osa contare sull’obbedienza dell’esercito. Il ministro dell’Interno non può far affidamento sulla sua polizia. Malgrado la volontà di P. di assolvere la missione che gli è stata assegnata, non presiede che una parvenza di governo. Nella notte fra il 26 e il 27 maggio accetta di incontrare segretamente de Gaulle. Nonostante non venga trovato nessun accordo, il generale decide di far precipitare la situazione. Il 27 maggio pubblica un comunicato affermando di aver «avviato il processo regolare di formazione di un governo repubblicano» e chiede all’esercito di Algeria di continuare a obbedire ai suoi comandanti (vale a dire di non paracadutare truppe sulla madrepatria come è appena accaduto in Corsica). Abbandonato da tutti, compreso il Presidente della Repubblica, a P. non resta che dimettersi il 28 maggio in attesa dell’investitura di de Gaulle.
Il generale, desideroso di realizzare l’unità intorno a sé, fa entrare nel suo governo rappresentanti dei partiti politici fuorché i comunisti e l’estrema destra poujadista. P., a fianco del socialista Guy Mollet, diventa ministro di Stato del governo de Gaulle formato il 1° giugno 1958. I due uomini svolgono un ruolo importante nella stesura della Costituzione della V Repubblica, vigilando affinché se ne conservi il carattere parlamentare e cercando al tempo stesso di limitare gli eccessi del parlamentarismo. Durante tutta l’estate del 1958 P. discute capillarmente un certo numero di articoli relativi alla modalità di elezione e al ruolo del Presidente della Repubblica, alla composizione del Senato, alla Comunità. Opera collettiva del presidente del Consiglio e dei ministri di Stato, la Costituzione è approvata dal MRP che invita a votare “sì” al referendum del settembre 1958 il cui obiettivo è la ratifica popolare.
P., rieletto deputato nel novembre 1958, non fa parte del governo di Michel Debré che si forma nel gennaio 1959. Il parlamentare, pur appoggiando con i suoi voti il governo nella speranza che arrivi a risolvere la crisi algerina, non si sente in sintonia con i metodi di governo del generale de Gaulle, giudicato troppo autoritario e restio a lasciare l’iniziativa ai parlamentari. Ormai P. si concentra su quelli che sono i suoi principali centri d’interesse dopo il trauma vissuto nel maggio 1958 che l’ha segnato in maniera durevole: l’Alsazia e l’Europa. Alle elezioni municipali del 1959 diventa sindaco di Strasburgo e conserverà questo mandato per molti anni. Sempre nel 1959 è designato dall’Assemblea nazionale come rappresentante all’Assemblea consultiva del Consiglio d’Europa.
Su richiesta del generale de Gaulle, accetta di entrare come ministro della Cooperazione nel governo costituito da Georges Pompidou nell’aprile 1962, a fianco di quattro ministri del MRP, ma non mantiene a lungo l’incarico. Infatti il 15 maggio 1962 il generale, in una conferenza stampa, irride con durezza i fautori dell’Europa sopranazionale, affermando che la cultura europea è ricca solo della somma delle culture nazionali e ironizzando sulla vacuità del “volapük integrato”. I cinque ministri del MRP, offesi nelle loro convinzioni più profonde, malgrado gli sforzi di de Gaulle per dissuaderli, si dimettono tutti dal governo. P. non parteciperà più a nessun governo e ormai, in nome delle sue convinzioni europeiste, fa parte degli avversari irriducibili del generale. Sul piano della politica interna vota nell’ottobre 1962 la mozione di censura contro il governo Pompidou e si pronuncia per il “no” al referendum sull’elezione del Presidente della Repubblica a suffragio universale. Se pure approva il Trattato dell’Eliseo del gennaio 1963, appartiene ormai alle file del centrismo di opposizione al generale de Gaulle e in occasione delle elezioni presidenziali del 1965 sostiene la candidatura di Jean Lecanuet. Nel 1967 rinuncia a presentarsi alle legislative abbandonando qualsiasi ambizione a livello nazionale.
In compenso si dedica con passione allo sviluppo di Strasburgo e si batte energicamente per mantenere alla città lo statuto di capitale europea, congiuntamente con Bruxelles, e per ottenere la garanzia che l’Assemblea parlamentare europea continui a riunirsi in questa città.
La sua fede europeista, che non è mai venuta meno, spiega la sua elezione nel 1963 alla presidenza dell’Assemblea consultiva del Consiglio d’Europa. Con le Elezioni dirette del Parlamento europeo a suffragio universale a partire dal 1979, P. diventa deputato europeo nelle liste centriste nel 1979 e nel 1984. Nel 1982 è nominato vice presidente del Parlamento europeo e poi presidente nel 1984. Non si ripresenta alle elezioni europee del 1989 concludendo la sua vita pubblica.
Pur non figurando tra i padri fondatori dell’Europa, P. appare sotto molti aspetti un continuatore su questa via di Robert Schuman: partecipa a tutte le battaglie per far progredire l’unità europea, si pronuncia a favore dell’accrescimento dei poteri del Parlamento, lotta contro gli avversari dell’Europa e le vestigia del nazionalismo, deplora le riserve e le reticenze dei governi europei.
Serge Berstein (2012)