Contesto storico
Negli anni Cinquanta il generale Charles de Gaulle aveva contrapposto alla concezione di un’Europa integrata quella di un’Europa confederale. Quando tornò al potere nel giugno 1958, l’aspetto politico del suo progetto europeo era già stabilito: cooperazione tra Stati e non integrazione, ma una cooperazione profonda, “organica”, che sarebbe sfociata in una “politica comune” negli affari europei e mondiali, e una politica indipendente dagli Stati Uniti. È necessario tener presente che il generale nel 1958 non era o non era più ostile al Mercato comune (v. Comunità economica europea) come organismo economico. In effetti, de Gaulle era pienamente consapevole del contributo che il Mercato comune avrebbe fornito all’economia francese, imprimendole un forte impulso allo sviluppo. E come era persuaso che gli organismi economici europei dovessero essere sovrastati e controllati da una cooperazione politica fra gli Stati (v. Cooperazione politica europea), così era altrettanto convinto che non vi sarebbe stata un’“Europa politica reale” se alla sua base non vi fosse stata una solida “entità economica”. Quello che il generale era risoluto a rifiutare non era quindi il Mercato comune di per sé, ma la sua tappa successiva, il passaggio al voto a Maggioranza qualificata, e soprattutto un eventuale sconfinamento del sistema istituzionale integrato dei Trattati di Roma dalla sfera economica al piano politico, che rimettesse in discussione la sovranità degli Stati.
Parallelamente alla definizione delle linee generali della sua politica europea, de Gaulle ricontestualizzava la posizione della Francia nei confronti della Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico (North Atlantic treaty organization, NATO). Per questa ragione, il 17 settembre 1958, fu indirizzato un memorandum a Dwight Eisenhower e a Harold Macmillan in cui si chiedeva l’allargamento dell’area d’azione dell’Alleanza e la partecipazione della Francia, in una posizione di parità con la Gran Bretagna (v. Regno Unito) e gli Stati Uniti, all’elaborazione della strategia mondiale, incluso il nucleare. Da questo momento, la questione della riforma dell’Alleanza atlantica sarebbe stata, per de Gaulle, strettamente legata a quella dell’organizzazione politica dell’Europa.
Nel gennaio 1960, il generale tornò sulla questione europea con i suoi collaboratori. L’Europa non sarebbe stata un’Europa integrata ma un’Europa degli Stati, che avrebbe interessato in un primo tempo il “nocciolo duro” dei Sei sulla base fondamentale di un riavvicinamento franco-tedesco, ma senza sbarrare la strada successivamente agli altri Stati europei, compresi quelli dell’Europa orientale. Nel luglio 1960, spiegò ai suoi collaboratori che bisognava contenere le “potenzialità sovrannazionali” dei Trattati di Roma; quindi si interessò alle possibilità di rimettere in discussione il passaggio alla terza fase del Mercato comune, a partire dal 1° gennaio 1967, che prevedeva il passaggio al voto di maggioranza. Parigi adottò una strategia che il generale avrebbe di fatto seguito fino all’inizio del 1962: per evitare di rilanciare il dibattito tra federalisti (v. Federalismo) e confederalisti, non dare ai partner l’impressione che le proposte francesi mirassero a rimettere in discussione le acquisizioni comunitarie e presentarle, al contrario, come una loro integrazione. Ma facendo in modo, al tempo stesso, «che la nuova costruzione europea sottragga alla vecchia quel che può contenere di dannoso». Tuttavia, per aver abbandonato bruscamente questa strategia prudente, il 17 gennaio 1962, de Gaulle fece naufragare il Piano Fouchet.
Concepimento ed elaborazione del Piano
In occasione dell’incontro di Rambouillet fra de Gaulle e Konrad Adenauer il 29 e 30 luglio, il generale consegnò al tedesco una nota manoscritta in cui riassumeva le sue idee: «Per essere efficace, per essere sostenuta dal sentimento e dall’adesione dei popoli, per non perdersi nelle brume delle teorie, l’“Europa” attualmente non può consistere che in una cooperazione organizzata fra gli Stati. Tutto impone che questo si realizzi a partire da un accordo tra la Francia e la Germania, al quale aderiranno subito l’Italia, l’Olanda, il Belgio e il Lussemburgo. Adottare questa concezione significa ammettere che gli organismi “sovrannazionali”, che sono stati costituiti fra i Sei e che tendono inevitabilmente e arbitrariamente a diventare “sovra-Stati” irresponsabili, vanno riformati, subordinati ai governi e utilizzati per i normali compiti della consultazione e della tecnica. Adottare questa concezione significa, d’altra parte, porre fine all’integrazione americana, visto che in ciò consiste attualmente l’Alleanza atlantica, e che è in contraddizione con l’esistenza di un’Europa dotata di una sua personalità e responsabilità dal punto di vista internazionale. L’Alleanza atlantica deve essere fondata su basi nuove. È compito dell’Europa proporle». Il generale proponeva poi riunioni regolari dei ministri e dei capi di Stato o di governo, preparate da quattro commissioni comuni e permanenti di funzionari negli ambiti della politica, dell’economia, della cultura e della difesa.
Adenauer si mostrò complessivamente favorevole alle proposte di de Gaulle: la NATO doveva essere riformata, l’Europa doveva esistere autonomamente sul piano militare, la Francia e la Germania dovevano accordarsi per guidarla. I due uomini politici decisero che Parigi avrebbe consultato gli altri partner mediante colloqui bilaterali che furono avviati immediatamente e si conclusero con la visita del presidente del Consiglio lussemburghese, il 17 settembre. Questi scambi fecero emergere tre problemi: il ruolo della Gran Bretagna, la NATO e lo statuto delle Comunità esistenti. Dopo complessi negoziati, il 9 febbraio 1961, alla vigilia di una riunione dei Sei, de Gaulle e Adenauer riuscirono a trovare un accordo: il giorno successivo, proposero ai quattro partner «un inizio di cooperazione politica» per mezzo di incontri trimestrali dei capi di governo e di riunioni regolari dei ministri degli Affari esteri, dell’Istruzione e della Cultura. La conferenza dei Sei si tenne il 10 e l’11 febbraio: italiani, belgi e lussemburghesi si dichiararono favorevoli al principio di una cooperazione politica a condizione che non mettesse in discussione né la NATO né le Comunità esistenti. Invece, l’olandese Joseph Luns si mostrò fortemente sfavorevole: temeva una collusione franco-tedesca e non voleva prendere alcuna iniziativa senza la Gran Bretagna, né decidere qualunque cosa che rischiasse di rimettere in discussione la NATO o le Comunità. Di conseguenza, non fu possibile cominciare subito le riunioni politiche regolari. Per evitare un completo fallimento, ci si limitò a creare una commissione incaricata di presentare proposte concrete in vista di un prossimo vertice: si trattava della Commissione Fouchet, chiamata ufficialmente Commissione di studi, che prese il nome dal suo presidente, gollista storico, all’epoca ambasciatore della Francia a Copenaghen.
La Commissione Fouchet si riunì a partire dal 16 marzo 1961 e presentò un progetto di rapporto il 24 aprile, accettato da cinque partner su sei, dato che i Paesi Bassi si opposero. Il disaccordo era evidente: la Commissione aveva seguito sostanzialmente le tesi francesi e il progetto prevedeva la creazione di un organismo permanente e di riunioni dei capi di governo ogni quattro mesi, senza limitazioni nell’ordine del giorno. Quindi sarebbe stato possibile affrontare sia le questioni internazionali sia le questioni di competenza delle Comunità. Era proprio questo che gli olandesi intendevano evitare: non volevano che le Comunità rischiassero di uscirne indebolite e non volevano neppure che i Sei affrontassero questioni che ai loro occhi erano di pertinenza dell’Alleanza atlantica. Era questo il nodo centrale del problema. Nelle settimane successive, i tedeschi continuarono ad appoggiare la posizione francese di fronte alle perplessità degli altri partner. Nella riunione dei ministri degli Affari esteri il 5 maggio, Heinrich von Brentano dichiarò che gli europei non dovevano esitare a discutere fra loro di questioni di difesa: era indispensabile avere un peso nei loro rapporti con gli americani. De Gaulle e Adenauer, nel loro incontro a Bonn il 20 maggio 1961, decisero concordemente di fissare un vertice (v. Vertici) dei Sei nel mese di luglio e stabilirono l’ordine del giorno. Ritenevano necessario giungere a un trattato di unione politica che prevedesse riunioni regolari dei capi di Stato o di governo senza limitazioni dell’ordine del giorno, un progetto che rispecchiava la tesi francese e che, in particolare, avrebbe consentito di parlare di difesa (un ambito, fino a quel momento, di competenza esclusiva della NATO) e di economia (sfera di competenza delle Commissioni).
La prima dichiarazione
Alla fine, dopo una serie di compromessi suggeriti in particolare dal Belgio e dall’Italia, e con l’appoggio della Germania, nel vertice di Bonn del 18 luglio 1961, si arrivò a redigere una dichiarazione che soddisfaceva tutti i partner. Secondo una formula trovata dagli italiani, la dichiarazione parlava di «sviluppare [la] collaborazione politica in vista dell’unione dell’Europa e [di] proseguire allo stesso tempo nell’opera già intrapresa nelle Comunità europee». Così de Gaulle otteneva l’avvio di una “cooperazione politica” con riunioni regolari dei capi di Stato e di governo, allo scopo di approdare a una “politica comune”: la Commissione di studi aveva l’incarico di presentare proposte per dare “un carattere statutario” all’unione dei popoli europei. In compenso, il generale accettava di ricordare che l’Europa era «alleata degli Stati Uniti e di altri popoli liberi»; accettava che si dicesse, dopo aver evocato l’unione politica dell’Europa: «rafforzando così l’Alleanza atlantica»; accettava di prendere in considerazione delle riforme «nell’interesse di una grande efficacia delle Comunità» e, in particolare, di invitare l’Assemblea parlamentare europea (v. Parlamento europeo) a «estendere a nuovi ambiti, con la collaborazione dei governi, il campo delle sue deliberazioni».
È palese l’architettura del compromesso, che aveva riguardo sia per i sostenitori delle Comunità che per quelli dell’Alleanza atlantica. Il generale non parlava più di riformare le Comunità, subordinandole all’Unione politica, un punto nevralgico per alcuni parlamentari; tuttavia, aveva ottenuto la cooperazione politica fra gli Stati. La difesa non era esplicitamente menzionata come oggetto di questa cooperazione politica (soltanto la cultura, l’istruzione e la ricerca erano definiti campi d’applicazione della futura unione), ma la dichiarazione non fissava alcun limite alle riunioni dei capi Stati e di governo e la frase «favorire l’unione politica dell’Europa rafforzando così l’Alleanza atlantica» mostrava come i problemi di difesa non avrebbero potuto esserne esclusi.
La Commissione Fouchet continuò i suoi lavori. Il 13 gennaio 1962, il Quai d’Orsay stese un progetto di trattato in vista della riunione della Commissione di studi che doveva tenersi il giorno successivo. Questo testo teneva conto dei dibattiti che dall’autunno si erano svolti all’interno della Commissione. Prevedeva la creazione di un’Unione di Stati, che avrebbe avuto come obiettivo, in particolare, «l’adozione di una politica estera comune» e «l’adozione di una politica di difesa comune che contribuirà al rafforzamento dell’Alleanza atlantica». Le istituzioni previste erano il Consiglio dei capi di Stato e di governo, che si sarebbe riunito ogni quattro mesi e avrebbe deciso all’unanimità; i Comitati dei ministri degli Affari esteri, della Difesa e dell’Istruzione che si sarebbero riuniti almeno una volta a trimestre; una Commissione politica permanente formata da rappresentanti degli Stati membri incaricata di preparare e di seguire le decisioni del Consiglio; l’Assemblea parlamentare europea (quella dei Trattati di Roma). Come si può vedere, le tesi francesi sull’Unione politica, unione di Stati sovrani che decidono all’unanimità, erano ampiamente prese in considerazione, compreso l’inserimento della difesa nelle politiche comuni. Allo stesso tempo, l’equilibrio del compromesso di Bonn era rispettato: la politica di difesa avrebbe contribuito «a rafforzare l’Alleanza atlantica».
L’articolo 17, che prevedeva una revisione del Trattato (v. anche Trattati) tre mesi dopo la sua entrata in vigore, era un punto di compromessi particolarmente delicati tra i francesi e i fautori di soluzioni di natura più federale: questa revisione aveva come finalità quella di «unificare progressivamente la politica estera e la politica di difesa dell’Unione» (si percepisce l’ambizione del programma voluto da Parigi), associando al tempo stesso «più strettamente l’Assemblea parlamentare europea alla definizione e alla realizzazione» di queste politiche, il che corrispondeva agli auspici dei partner. Quanto alle Comunità esistenti, sarebbero state riformate «allo scopo di razionalizzarle e coordinarle» (interesse francese), ma «nel rispetto delle strutture» definite dai trattati esistenti, il che corrispondeva alle preoccupazioni di certi parlamentari di vedere svuotarsi le Comunità della loro sostanza. Questo progetto di trattato era perfettamente compatibile con le vedute di de Gaulle e con la dichiarazione di Bonn del 18 luglio 1961. Tuttavia – e la cronistoria dei negoziati dell’autunno 1961 lo dimostra con chiarezza – questo testo era il limite estremo di quanto si poteva far accettare ai partner.
La seconda dichiarazione
Prima di sottoporlo ufficialmente ai partner, era opportuno far approvare il progetto al generale de Gaulle. Il testo tornò al Quai d’Orsay il 17 gennaio 1962, dopo un Consiglio dei ministri dedicato in particolare alle questioni europee. De Gaulle aveva apportato tre correzioni più significative: aveva soppresso il riferimento all’Alleanza atlantica; aveva introdotto il termine “economia” nell’enunciato sugli scopi dell’Unione (accanto alla politica estera, alla cultura e alla difesa); aveva eliminato la frase «nel rispetto delle strutture previste nei Trattati di Parigi e di Roma che istituiscono le Comunità europee» nell’articolo dedicato alla revisione dopo tre anni. La combinazione di queste ultime due modifiche faceva sì che l’Unione politica finisse per sovrastare le Comunità esistenti. I partner potevano temere che arrivasse a immischiarsi nelle loro competenze e a ridurre il loro ruolo. L’equilibrio del testo del 13 gennaio era interamente distrutto.
Quando il testo francese con le correzioni fu distribuito ai membri della Commissione Fouchet il 18 gennaio, la costernazione fu generale. La sola decisione presa fu quella di stabilire una sinossi che affiancava il testo francese e un documento comune ai Cinque. I timori immediati dei partner non erano privi di fondamento: il testo del Consiglio dei ministri del 17 gennaio notava «la volontà della Francia di promuovere» fra i Sei «l’organizzazione di una cooperazione d’insieme che assimili gli ambiti particolari in cui si comincia ad instaurare la loro solidarietà». Si tornava allo scopo recondito iniziale dei francesi, che era stato occultato dal compromesso del 18 luglio 1961: la nuova Unione avrebbe avuto come finalità anche una riduzione dell’importanza delle Comunità al fine di ricollocare gli organismi “sovrannazionali” sotto il controllo degli Stati.
Le ragioni del cambiamento di strategia di de Gaulle, il 17 gennaio 1962, sono senz’altro complesse. Pare che la soluzione della crisi algerina fosse ormai a portata di mano (accordi del marzo 1962) e il generale quindi si sentiva politicamente più libero. D’altra parte, de Gaulle in questo stesso periodo riprendeva con John Kennedy i suoi progetti di riforma atlantica. Quindi sembra che alla fine del 1961 i progetti del generale si fossero ulteriormente precisati e questo forse può spiegare l’irrigidimento manifestato nelle correzioni del 17 gennaio al progetto di trattato di Unione politica.
La deriva del Piano Fouchet
Tuttavia, il generale teneva all’Unione politica. Nelle settimane successive, dietro consiglio di Adenauer e di Amintore Fanfani e in seguito a incontri con i due uomini politici, fece alcune concessioni sull’Alleanza e in merito alle Comunità esistenti che praticamente riportavano il progetto francese allo stato del 13 gennaio. Ma era troppo tardi: gli europei, nella famosa riunione dei ministri degli Affari esteri del 17 aprile 1962, respinsero un testo che era diventato nuovamente molto simile al progetto del 13 gennaio (che allora erano stati disposti ad accettare) perché la psicologia ebbe un peso al di là dei testi: quello che a gennaio era accettabile non lo era più in aprile perché le modifiche introdotte da de Gaulle avevano rivelato i suoi pensieri reconditi in maniera esplicita e umiliante per i partner. Non si poteva più fingere di credere che da una parte e dall’altra si parlasse della stessa Europa, non si poteva più sperare che, nei fatti, le concezioni in seguito si avvicinassero. Inoltre, l’analisi della riunione del 17 aprile mostra che il vero intoppo, più ancora delle Istituzioni comunitarie, più del problema della partecipazione britannica, era stato quello dell’Alleanza atlantica: Benelux e Italia non accettavano assolutamente di rischiare di rimetterla in discussione. Si riproponeva in questo caso quello che era stato l’autentico centro di gravità dell’intera questione: i problemi strategici e nucleari, il problema della NATO e della sua riforma e dei rapporti fra Stati Uniti ed Europa.
Georges-Henri Soutou (2008)
Bibliografia
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Soutou G.-H., Le général de Gaulle et le Plan Fouchet, Institut Charles de Gaulle, De Gaulle en son siècle, V, L'Europe, Plon, Paris 1992.
Soutou G.-H., Le général de Gaulle et le Plan Fouchet d'union politique européenne: un projet stratégique, in “Revue d’Allemagne”, n. 2, 1997.
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