Il Trattato di Maastricht (Trattato sull’Unione europea, UE) firmato il 7 febbraio 1992 ed entrato in vigore il 1° novembre 1993, comporta, accanto a modifiche dei Trattati comunitari esistenti (titoli II, III, IV), una serie di disposizioni relative a una “Politica estera e di sicurezza comune” (PESC; titolo V) e alla “cooperazione nei settori della Giustizia e affari interni” (GAI; titolo VI). La Comunità (che include l’Unione economica e monetaria, UEM), la PESC e la cooperazione GAI costituiscono l’Unione europea. Il Trattato prevede anche che le Istituzioni comunitarie siano comuni a tutta l’Unione, quindi anche in tema di PESC e GAI. Ma per questi due campi è previsto un Processo decisionale particolare, ispirato alla Cooperazione intergovernativa, in cui prevale il Voto all’unanimità; il ruolo d’iniziativa è attribuito non solo alla Commissione europea, ma anche ai singoli Stati; la posizione del Parlamento europeo è modesta e la Corte di giustizia delle Comunità europee (v. Corte di giustizia dell’Unione europea) non è competente; la tipologia degli atti si distingue egualmente da quella degli atti comunitari (v. Diritto comunitario).
Per descrivere il sistema singolare e complesso creato dal trattato di Maastricht – definito da Jacques Delors un «oggetto politico non identificato» – lo si è spesso paragonato a un tempio greco con tre pilastri, corrispondenti rispettivamente alla Comunità, alla PESC e alla cooperazione GAI, e con un frontone e una base corrispondente agli elementi comuni, come la struttura istituzionale. Quest’immagine del tempio è stata contrapposta a un’altra immagine, quella dell’albero dal cui tronco si sarebbero dovute diramare le nuove attività, certo con le loro particolarità, ma pur sempre generate da uno stesso ceppo comunitario. Non è stata questa la struttura scelta dagli autori del Trattato. È così invalso l’uso di definire il sistema creato a Maastricht come una “struttura a tre pilastri”. Questa espressione, che non figurava nel Trattato, è stata però consacrata dalla terminologia politica comunitaria (cfr., ad esempio, le conclusioni del Consiglio europeo di Dublino del dicembre 1996).
Sarebbe errato pensare che esista una simmetria fra i tre pilastri. Il Trattato comunitario non è un pilastro come gli altri, e questo indipendentemente dalle diversità relative ai contenuti e al processo decisionale. Questa specificità è affermata dallo stesso Trattato di Maastricht (art. 1 UE): «L’Unione è fondata sulle Comunità europee, integrate dalle politiche e forme di cooperazione instaurate dal presente Trattato». Il secondo e il terzo pilastro sono considerati quindi un complemento della Comunità. Innanzitutto perché essa presta loro le sue istituzioni – e, possiamo aggiungere oggi, le sue principali amministrazioni e servizi, la sua “Gazzetta ufficiale”, i suoi regimi linguistici (v. Lingue) e di accesso del pubblico ai documenti, il suo bilancio e le sue procedure di bilancio (v. Bilancio dell’Unione europea). In secondo luogo, perché il Trattato protegge l’Acquis comunitario (art. 3 UE) e l’autonomia dei trattati comunitari rispetto al Trattato sull’Unione europea (art. 47 UE), protezione assicurata effettivamente dalla Corte di giustizia. Infine, perché il primo pilastro, alla luce di varie disposizioni del Trattato, tende ad assorbire gli altri due; è prevista, in particolare, una clausola “passerella” con il terzo pilastro (v. Passerella comunitaria).
I trattati di Amsterdam e Nizza
Il sistema dei pilastri ha subito una certa evoluzione nel corso del decennio che ha seguito l’entrata in vigore del Trattato di Maastricht, con il Trattato di Amsterdam e il Trattato di Nizza che hanno cercato di rendere più efficace l’azione nel secondo e nel terzo pilastro, spesso considerata insufficiente.
Per quanto riguarda la PESC, il Trattato di Amsterdam ha riorganizzato le disposizioni di Maastricht, ha esteso la gamma degli strumenti specifici per realizzarla, ha confermato il ruolo centrale del Consiglio europeo e ha istituito un “Alto rappresentante per la PESC”, funzione affidata al segretario generale del Consiglio. Il Trattato di Nizza ha inserito nel secondo pilastro, che conosceva già varie possibilità di opting out, lo strumento delle “cooperazioni rafforzate”, cioè la possibilità di realizzare progressi limitati a una maggioranza disponibile ad accettarli. Queste innovazioni non hanno modificato le caratteristiche principali di questo pilastro, che resta ben distinto dal pilastro comunitario.
Diversa è stata l’evoluzione del terzo pilastro. Il Trattato di Amsterdam, oltre a risistemare certe disposizioni di Maastricht, ha “comunitarizzato”, cioè trasferito al primo pilastro, alcune materie: visti, asilo, immigrazione, Cooperazione giudiziaria in materia civile. Per il resto, ha riconosciuto, sia pure parzialmente, un ruolo alla Corte di giustizia, ha introdotto nuovi tipi di strumenti giuridici e ha previsto la possibilità di “cooperazioni rafforzate”. Il trattato di Nizza ha proceduto a revisioni minori.
Il trattato di Lisbona
Questo processo evolutivo è culminato con il Trattato di Lisbona del 2007, le cui riforme si applicheranno quando questo entrerà in vigore, dopo la conclusione delle procedure di ratifica. Questo Trattato modifica i Trattati UE e CE (Trattato istitutivo delle Comunità europee) e mette fine, almeno formalmente, all’architettura a “tre pilastri”. L’Unione ha ormai una Personalità giuridica dell’Unione europea. La PESC viene integrata nell’“azione esterna dell’Unione” e, attraverso l’“Alto rappresentante per gli Affari esteri e la Politica di sicurezza” (AR), vicepresidente della Commissione, l’interesse comunitario entra nella politica estera. L’ex terzo pilastro, divenuto “Spazio di libertà, sicurezza e giustizia” è interamente “comunitarizzato”, proseguendo il processo iniziato ad Amsterdam. Tuttavia persiste una differenziazione negli aspetti istituzionali del funzionamento dei due settori.
In politica estera, ad esempio, il diritto d’iniziativa è conferito ai singoli Stati membri e all’AR, eventualmente con l’appoggio della Commissione, ma è prevista una proposta congiunta dell’AR e della Commissione se si tratta di temi che coprono simultaneamente la PESC e altre politiche esterne dell’Unione. Al Consiglio è di regola l’unanimità, con rare eccezioni. Il Parlamento europeo viene consultato solamente in merito ai principali aspetti e alle scelte fondamentali in materia, e c’è quasi assenza di controllo da parte della Corte di giustizia; inoltre, gli strumenti giuridici restano quelli del secondo pilastro. Infine, varie disposizioni e dichiarazioni complementari tendono a sottolineare il carattere specifico della PESC e le responsabilità particolari degli Stati membri in materia.
La “comunitarizzazione” del terzo pilastro prevede numerose deroghe. Ad esempio, gli orientamenti strategici vengono definiti dal solo Consiglio europeo e in tema di Cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale la Commissione condivide il diritto d’iniziativa con “un quarto degli Stati membri”. Queste deroghe tuttavia non sono tutte esclusive dell’ex terzo pilastro: è il caso del cosiddetto “freno d’emergenza”, previsto in tema di cooperazione giudiziaria penale, ma che si applica anche alla sicurezza sociale dei lavoratori migranti.
In conclusione, il Trattato di Lisbona riunisce in una stessa struttura tutte le istituzioni, competenze, politiche e azioni dell’Unione, pur mantenendo differenze nel funzionamento istituzionale. Tuttavia, con l’introduzione di “passerelle” per consentire il passaggio alla Maggioranza qualificata là dove l’unanimità è di rigore e alla Codecisione là dove il Consiglio dei ministri decide da solo, e con la generalizzazione della possibilità di “cooperazioni rafforzate”, esiste la possibilità di una certa evoluzione futura.
Giuseppe Ciavarini Azzi (2008)