Pineau, Christian
P. (Chaumont 1904-Parigi 1995) ricevette una formazione di qualità all’École alsacienne di Parigi fino al 1923 poi all’École libre des sciences politiques. Studente brillante, entrò nel 1926 alla Banca di Francia, poi nel 1928 alla Banque de Paris et des Pays Bas. Parallelamente cominciò il suo percorso nella vita pubblica impegnandosi nel sindacalismo. Fu segretario del consiglio economico della Confédération générale du travail (CGT) nel 1938 e 1939, e membro del Consiglio economico nazionale dal 1938 al 1940. Nel 1937 fondò la rivista “Banque et bourse”, e nel 1938 fu licenziato dalla Banque de Paris et des Pays Bas per avere scioperato. Si legò allora a Léon Jouhaux, personalità di primo piano del sindacalismo francese del periodo fra le due guerre mondiali. Questi stimolò in lui l’interesse per la dimensione internazionale dei problemi e lo indusse a scrivere, tra l’altro, una serie di saggi comparativi sulle organizzazioni sindacali europee. Mobilitato nel 1939, fu richiamato grazie all’intervento del patrigno, Jean Giraudoux – allora commissario generale all’informazione –, e fu nominato addetto al gabinetto di quest’ultimo. Creò un Comitato di studi economici e sindacali, in opposizione al regime di Vichy e appoggiandosi ai sindacati CGT e Confédération française démocratique du travail (CFDT). Dopo avere pubblicato il “Manifesto del sindacalismo francese”, al quale aderirono 12 personalità del mondo sindacale non comunista, organizzò il movimento di resistenza Libération-Nord, il più importante della zona occupata, e fondò il giornale “Libération”. Svolse un ruolo centrale nel 1942 quando, incaricato da numerose formazioni di resistenti di ottenere dal generale Charles de Gaulle une presa di posizione politica chiara, tornò da Londra con la “Dichiarazione ai movimenti” una vera professione di fede repubblicana di de Gaulle, e che permise a quest’ultimo di ottenere un appoggio sostanziale da parte della resistenza interna. P. acquisì così una certa legittimità politica, ma non poté giovarsene a lungo perché fu arrestato dalla Gestapo nel maggio 1943 e deportato a Buchenwald.
Al rientro in Francia, nell’aprile 1945, fu subito nominato ministro dell’Approvvigionamento e aderì al partito socialista (Section française de l’Internationale ouvrière, SFIO); una scelta, affermò, che derivava più dalla necessità che dalla convinzione. Deputato dalla prima Costituente fino al 1958, divenne membro del comitato direttivo e vicepresidente del gruppo parlamentare della SFIO nel 1951. Fu presidente della commissione finanze dell’Assemblea nazionale nel 1946 e 1947, ministro dei Lavori pubblici dal novembre 1947 al settembre 1948, poi delle Finanze nel settembre 1948 e infine del Turismo dal settembre 1948 al febbraio 1950; fu designato presidente del Consiglio nel 1955, ma la sua candidatura non ebbe seguito; infine e soprattutto fu ministro degli Affari esteri dal febbraio 1956 all’aprile 1958.
Il principale contributo di P. alla costruzione dell’Europa consisté nel negoziato, nella firma e nella ratifica da parte della Francia dei Trattati di Roma. Dopo il fallimento della Comunità europea di difesa (CED), P. fu uno dei principali artefici dell’Europa in Francia, per convinzione, ma anche per necessità. Stando alle sue affermazioni, il patrigno – diplomatico, germanofilo e appassionato dell’Europa e della sua cultura – fu il primo a sensibilizzarlo a questo soggetto. Poi l’esperienza della guerra e della deportazione confortarono la sua convinzione: come in tutti gli uomini politici della sua generazione, questo periodo fece sorgere in lui il desiderio di creare le condizioni per evitare per sempre un’altra guerra franco-tedesca. Nella sua mente, tuttavia, la soluzione doveva prendere la forma di un’integrazione della Germania in un più vasto insieme di cooperazione e di pace. Infine, il suo impegno internazionalista, la sua formazione umanistica e la vicinanza di Jouhaux contribuirono a sviluppare in lui la consapevolezza delle possibilità legate alla costruzione europea. Quanto alla necessità, le circostanze della decolonizzazione e della Guerra fredda rendevano l’Europa la sola soluzione per il mantenimento della potenza e dell’influenza francese nel mondo, come pure la speranza di un superamento del conflitto Est-Ovest. Atlantista di ragione, P. raccomandò tuttavia l’istituzione di un’Europa come terza forza, inglobante le ex colonie francesi – la famosa “Eurafrica” – e che avrebbe permesso di garantire la sicurezza del continente e di accedere alla modernità e al progresso.
Fino al 1954, P. si pronunciò poco sull’Europa. In seno al partito, si occupava dei problemi finanziari, del bilancio o dell’Indocina. Quanto alle sue responsabilità a livello governativo, esse non lo coinvolgevano direttamente nel processo di costruzione europea (v. Integrazione, teorie della; Integrazione, metodo della). Tuttavia si interessava al problema, e le sue funzioni di membro della sottocommissione di controllo dei crediti per la difesa nazionale e di relatore speciale dei crediti militari del bilancio nel 1946 gli permisero di constatare che i mezzi militari impiegati nell’Unione francese e in particolare nella guerra d’Indocina erano troppo onerosi per la Francia e rendevano ancora più necessario l’aiuto americano. Si convinse allora, come avrebbe affermato nel comitato direttivo della SFIO nel 1951, che solo «nell’Europa e con l’Europa» la Francia sarebbe rinata.
Nel 1954 P. fu delegato dal comitato direttivo per illustrare all’Assemblea nazionale la scelta della SFIO al momento del voto riguardante il trattato istitutivo della CED. Dal 2 al 30 agosto difese la posizione socialista che aveva contribuito a definire, non senza difficoltà poiché la SFIO era particolarmente divisa su quella questione. Secondo P. la guerra di Corea impediva una qualunque posizione di neutralità e implicava il riarmo della Germania. La CED rappresentava il minore dei mali, che avrebbe evitato un riarmo diretto e avrebbe permesso, tenendo conto dei mezzi militari della Francia, di fronteggiare la minaccia sovietica qualora fosse stato necessario prevedere un disimpegno degli Stati Uniti in Europa. L’intervento di P. alla Camera non bastò a fare ratificare il trattato (v. anche Trattati), e nemmeno a convincere alcuni dei suoi colleghi socialisti che non rispettarono la disciplina di voto loro imposta dal partito. Per risolvere il problema del riarmo tedesco, P. si schierò allora a favore della soluzione fissata negli Accordi di Parigi e partecipò in quell’occasione all’elaborazione di un progetto per un pool europeo di armamento. Sperava inoltre che l’Unione dell’Europa occidentale (UEO) avrebbe permesso di risolvere il problema della Saar.
Alcuni mesi dopo, quando l’esecutivo guidato da Pierre Mendès France cadde (febbraio 1955), Coty incaricò P., allora presidente del gruppo parlamentare socialista, di formare un governo, esortandolo a spingersi il più lontano possibile nella politica economica europea. Riservandosi il ministero degli Affari esteri, P. tentò di riunire una maggioranza europea intorno a un programma che prevedeva il rilancio dell’Europa tramite le “autorità specializzate” nel campo dei trasporti e dell’energia. Tuttavia, non ricevette l’investitura; si allontanò allora dall’Assemblea nazionale dedicandosi alla creazione di un Comitato di studi per la Repubblica, composto da persone di ogni tendenza politica non comunista, tra le quali Jean Monnet, Edgar Faure, François Mitterrand per citarne solo alcune.
Qualche mese dopo, però, P. si trovò di nuovo al centro della scena. Avendo le elezioni del febbraio 1956 dato la maggioranza al Fronte repubblicano – coalizione di centrosinistra – Guy Alcide Mollet, segretario generale della SFIO, fu chiamato a formare un governo. Per lui come per P., l’Europa era al tempo stesso un desidero, una convinzione, ma anche uno dei rari terreni di possibile intesa con i democratici cristiani (Mouvement républicain populaire, MRP) e una parte dei radicali, che avrebbe permesso di allontanare la prospettiva di un fronte popolare. Numerose testimonianze affermano, d’altra parte, che Coty scelse Mollet e non Mendès per portare a buon fine il processo di costruzione europea. I radicali avevano chiesto in cambio il ministero degli Affari esteri per Mendès. Fu, però, P. a essere nominato, sia per assicurarsi il sostegno dell’MRP sia per la sua fama di europeista convinto, con grande soddisfazione di Monnet, il quale affermò a tal proposito: «le elezioni avevano prodotto una maggioranza di centrosinistra che condusse Guy Mollet alla Presidenza del Consiglio. Per alcuni mesi, Pierre Mendès France sarebbe restato al suo fianco. Ma l’importante era che il ministro degli Affari esteri fosse Christian P. e che il suo segretario di Stato fosse Maurice Faure; essi erano entrambi convinti, come il capo del governo, della necessità di creare l’Europa rapidamente; il primo, socialista generoso, ex deportato, si preoccupava di fare entrare la Germania in una comunità pacifica» (v. Monnet, 1976, p. 616).
Al Quai d’Orsay P. portò a compimento il processo di indipendenza del Marocco e della Tunisia e fu assorbito dalla crisi di Suez e dal problema algerino. Formò dunque per l’Europa una squadra che l’avrebbe accompagnato lungo tutti i preparativi e i negoziati in vista dei Trattati di Roma. Costituito da europeisti convinti, di tutti gli orientamenti politici non comunisti, il gruppo era capeggiato da Maurice Faure, al quale P. affidò l’incarico di segretario di Stato agli Affari esteri e che condusse i negoziati come capo della delegazione francese. P. seguì da vicino le diverse tappe, pur lasciando a Faure una grande libertà di manovra. Ottenne, inoltre, sostegni importanti come quello del Movimento europeo (ME) o del Comitato d’azione per gli Stati uniti d’Europa e del suo fondatore Monnet, malgrado alcuni disaccordi, ad esempio sul mercato comune.
Nell’aprile 1956 P. era piuttosto soddisfatto del Rapporto che porta il nome di Paul-Henri Charles Spaak, redatto dal comitato di esperti nato dalla Conferenza di Messina, che illustrava i progetti della Comunità europea dell’energia atomica (CEEA) e del mercato comune. Ma in Francia le opposizioni erano molteplici. L’Euratom era sostanzialmente accettata, ma la Francia avrebbe domandato l’integrazione nel trattato del nucleare militare e la possibilità di allargare il progetto ad altri paesi. Il mercato comune, invece, era molto più controverso. Dinanzi ai numerosi disaccordi, P. fece redigere un altro memorandum secondo il quale la Francia non si impegnava su alcun punto, domandava un periodo di prova di quattro anni, rifiutava il trasferimento delle competenze a un’autorità sopranazionale, e chiedeva un’armonizzazione dei benefici sociali nel senso della legislazione francese. M. Faure avvertì che quel memorandum era “inopportuno” e che non poteva essere presentato a Venezia. Alla fine si decise di dare mandato a P. di accettare il Rapporto Spaak come base di lavoro per lunghi negoziati, e di esprimere numerose riserve. Mollet gli concesse, inoltre, totale libertà di azione. Alla conferenza, P. prese l’iniziativa di impegnare la Francia. Egli avrebbe voluto che i due progetti – Euratom e mercato comune – fossero dissociati per preparare l’opinione pubblica francese al secondo, ma i cinque partner rifiutarono.
Per terminare i negoziati e convincere i francesi ad andare in quella direzione P. utilizzò una tattica che mirava a valorizzare l’Euratom, lasciando nell’ombra il mercato comune al fine di fare accettare quest’ultimo più facilmente. Inoltre, adottò un metodo che consisteva nel dare la maggiore trasparenza possibile ai progetti in corso al fine di sensibilizzare e convincere l’opinione pubblica ma anche i sindacati, la classe imprenditoriale, l’alta amministrazione. Presso i ministri, insediò il “comitato Verret”, dal nome del direttore, incaricato di seguire le tappe della discussione e di organizzare conferenze e riunioni di informazione e di dibattito.
Per quanto riguarda i negoziati, P. affermò che era stata Suez a sbloccare il processo, rafforzando il sentimento di un’identità europea e della necessità di fare l’Europa. In effetti i progressi dei negoziati non erano dovuti soltanto alla buona volontà di uomini politici e alla politica di trasparenza. Il riavvicinamento franco-tedesco e le nuove tensioni internazionali vi contribuirono egualmente in modo decisivo. I rapporti con la Germania in effetti erano tesi, in particolare a causa del problema della Saar e della posizione del governo francese sulla riunificazione tedesca. Nel corso dell’incontro di Lussemburgo del 4 e 5 giugno 1956, tuttavia, Mollet e P. rassicurarono i loro omologhi tedeschi sul loro sostegno alla riunificazione e, soprattutto, fu trovato un compromesso per la Saar. Il 27 ottobre il problema era definitivamente risolto con il ritorno ufficiale della regione alla Germania, previsto per il gennaio 1957. D’altra parte, così come la guerra di Corea aveva dato origine al Piano Schuman e la distensione aveva certamente contribuito al fallimento della CED, la crisi di Suez fece prendere coscienza ai francesi della dipendenza energetica dell’Europa e della debolezza internazionale della Francia, suscitando timori per l’atteggiamento americano relativamente alla difesa dell’Europa. Inoltre, in Germania si temeva un ritiro delle divisioni americane dal suolo tedesco (Piano Radford) e un accordo tra i due Grandi sulla riunificazione. Gli avvenimenti ungheresi, infine, fecero pesare ancora una volta la minaccia sovietica sull’Europa occidentale. In tale contesto, l’incontro del 6 novembre tra Mollet, P. e Konrad Adenauer fu fondamentale. Secondo P., fu questo evento che segnò la fine del conflitto franco-tedesco, risolti risolvendo quasi tutti i problemi esistenti tra i due paesi, a eccezione della Politica agricola comune (PAC) e dei territori d’oltremare (TOM) (v. anche Regioni ultraperiferiche dell’Unione europea).
Sull’Euratom, P. e Faure ottennero dai loro partner europei che la Francia potesse mantenersi libera nel campo del nucleare militare. Nonostante la loro iniziale contrarietà a questa ipotesi, avevano dovuto cedere a un gruppo di pressione molto potente, composto da militari e da membri dell’alta amministrazione. Come testimoniano i colloqui tra Dulles e P., egli aveva anche in questo campo il sostegno degli americani. Il secondo punto da negoziare riguardava la sfera economica. P. e Faure non riuscirono a ottenere per la Francia una dilazione di quattro anni nell’applicazione del trattato, ma ebbero due garanzie: un’armonizzazione degli oneri sociali e il principio di una politica agricola comune. Infine, il terzo punto da discutere concerneva i TOM. P. ne fece una condizione irrinunciabile dell’ingresso della Francia nel mercato comune. Le colonie erano considerate come una fonte di potenza internazionale. Per non rendere più fragile la dimensione politica della potenza a causa della separazione indotta dalla Tariffa esterna comune europea, i francesi proposero di creare, sotto l’impulso del ministro della Francia d’oltremare Gaston Defferre, un mercato eurafricano in seno al quale i Sei avrebbero avuto una posizione di uguaglianza. La Francia ne avrebbe tratto il vantaggio economico di non sopportare tutto il peso dello sviluppo dei TOM. Malgrado le reticenze dei tedeschi, degli olandesi e degli italiani, la partecipazione dell’oltremare al mercato comune fu accettata per un periodo di prova di cinque anni, premessa al sistema delle Convenzioni di Yaoundé (1963) e delle Convenzioni di Lomé (1975).
Dopo la firma dei Trattati (marzo 1957), P. dovette impegnarsi a fondo per farli ratificare, riuscì a convincere i reticenti, soprattutto tra i radicali mendesisti. Quando Mollet lasciò il governo nel maggio 1957, si assicurò che P. e Faure restassero al Quai d’Orsay per garantire la ratifica del Trattato, che ebbe luogo con un’ampia maggioranza il 3 luglio 1957. P. fu in seguito indotto a rivolgere la propria attenzione al problema dei legami con il Regno Unito. La creazione di una zona di libero scambio comprendente la Comunità economica europea (CEE) e gli altri membri dell’Organizzazione europea per la cooperazione economica (OECE), proposta dai britannici, gli sembrava una buona soluzione. Ma su questo terreno incontrò l’opposizione dell’alta amministrazione, di una buona parte della classe imprenditoriale e dell’opinione pubblica. All’inizio del 1958 propose così una soluzione di compromesso – la creazione di una zona di libero scambio con un periodo di adattamento di tre anni per i paesi della CEE – che tuttavia non fu accettata dagli inglesi.
L’avventura europea di P. non si spinse molto oltre. Fortemente contrario alla Quinta repubblica, perdette il suo seggio di deputato nel 1958 e fallì nuovamente alle elezioni legislative del 1962. Nel 1971 abbandonò la carica di segretario della federazione socialista della Sarthe, non apprezzando i nuovi orientamenti del partito.
Christine Vodovar (2010)