Politica commerciale comune
Principi generali
La politica commerciale comune costituisce uno degli strumenti di azione della Comunità (ex art. 3, lett. b) ed è disciplinata dagli articoli 131-134 (ex artt. 110, 112, 113 e 115) del Trattato costitutivo della Comunità europea (TCE) (v. Trattati di Roma). La sua istituzione è dovuta all’esigenza di gestire in maniera unitaria gli scambi commerciali con paesi terzi al di là degli aspetti meramente tariffari. In tal senso, la politica commerciale comune costituisce un complemento della Tariffa doganale comune (v. Daniele, 2000, p. 179 e ss.). Le misure adottate dalla Comunità economica europea in materia di politica commerciale possono essere contenute sia in provvedimenti interni che in accordi internazionali con Stati terzi (Corte di giustizia, parere 1/75, 11 novembre 1975).
Il contenuto della politica commerciale
Secondo l’art. 133, norma di riferimento principale in materia, la politica commerciale, oltre alle misure tariffarie e la conclusione di accordi tariffari e commerciali, comprende anche l’uniformazione delle misure di liberalizzazione, la politica di esportazione, nonché le misure di difesa commerciale tra cui quelle da adottarsi in caso di dumping e sovvenzioni.
La sfera di applicazione della politica commerciale, che la Corte di giustizia delle Comunità europee (v. Corte di giustizia dell’Unione europea) definisce a carattere “generale” (Corte di giustizia, parere 41/76, 15 dicembre 1976), ha subito un progressivo ampliamento nel corso del tempo. La Corte ha, infatti, inizialmente esteso la competenza comunitaria a profili funzionalmente e strettamente connessi al settore commerciale come il credito all’esportazione in riferimento ad un accordo sulle spese locali nell’ambito dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE; parere 1/75, cit.) (v. Organizzazione europea per la cooperazione economica), o a misure sulla stabilizzazione dei prezzi sul mercato mondiale in riferimento ad un accordo sulla commercializzazione della gomma naturale (Corte di giustizia, parere 1/784, ottobre 1979). La questione, tuttavia, ha assunto un interesse cruciale in virtù della crescente importanza acquisita dagli scambi di merci e di servizi a livello internazionale, come evidenziata in occasione del noto parere 1/94 (Corte di giustizia, 15 novembre 1994), e che ha indotto gli Stati membri a opporsi fermamente a un’interpretazione estensiva della nozione di politica commerciale. La posizione della Corte è stata quello di attrarre funzionalmente nel campo della politica commerciale le disposizioni riguardanti la fornitura di servizi non implicante trasferimento di persone, nonché le misure commerciali connesse alla proprietà intellettuale, e cioè quelle dirette a contrastare l’immissione in libera pratica di merci contraffatte. Tale principio è stato poi ripreso dal Trattato di Amsterdam mediante l’inserimento di un nuovo paragrafo all’interno dell’art. 133 in base al quale il Consiglio dei ministri avrebbe avuto la facoltà di estendere, con deliberazione all’unanimità (v. Voto all’unanimità), la disciplina dell’art. 133 (paragrafi da 1 a 4) agli accordi sui servizi e sulla proprietà intellettuale nella misura in cui non fossero già rientranti in tale disciplina (sul fatto che il nuovo testo avrebbe apportato modifiche del tutto marginali ispirandosi ad una logica di più “basso profilo”; v. Nizzo, 1998, p. 290 e ss.). Tale norma non è mai stata utilizzata ed è ora superata dalle nuove disposizioni inserite con il Trattato di Nizza a opera delle quali, la disciplina dell’art. 133, paragrafi 1-4, si estende in ogni caso agli accordi nei settori degli scambi di servizi e degli aspetti commerciali della proprietà intellettuale, se non già rientranti nei menzionati paragrafi, mentre il Consiglio (par. 7) ha la facoltà, deliberando all’unanimità, di estendere ulteriormente l’applicazione di medesimi paragrafi a negoziati e accordi internazionali in materia di proprietà intellettuale nella misura in cui non rientrino già nel nuovo par. 5. L’intervento del Consiglio rimane dunque necessario per quegli aspetti della proprietà intellettuale che non presentano un carattere commerciale. Come può agevolmente evincersi, la competenza riguardo ai nuovi settori è limitata alle relazioni esterne della Comunità, mentre nessun ampliamento è stato previsto per quanto riguarda le competenze interne. Da notare, in ogni caso, che l’art. III-315 del progetto di Costituzione europea, semplificando l’attuale disciplina contenuta nell’art. 133, inserisce direttamente nell’elenco dei settori rientranti nella politica commerciale, gli accordi commerciali e tariffari in materia di servizi, gli aspetti commerciali della proprietà intellettuale e gli investimenti esteri diretti.
Misure a carattere commerciale possono essere inoltre adottate sulla base di altre norme del Trattato, quali l’art. 310, relativo agli accordi di Associazione con paesi terzi, l’art. 177, sulla Politica europea di cooperazione allo sviluppo e, infine, l’art. 301 riguardante le misure commerciali in materia di politica estera.
La qualificazione di una misura come rientrante nella politica commerciale (e dunque principalmente nel campo di applicazione dell’art. 133) non è stata (e non è tuttora) sempre agevole. La questione riveste un certo rilievo sotto il profilo della delimitazione delle competenza della Comunità in materia commerciale sia rispetto alle competenze degli Stati membri, sia riguardo ad altre politiche comunitarie. Due diverse concezioni si sono contrapposte: quella del Consiglio, secondo cui deve essere dato rilievo allo scopo principale perseguito dall’atto; e quella della Commissione europea, la quale sostiene, viceversa, che la finalità sottesa all’adozione dell’atto, di natura commerciale o politica, è irrilevante, mentre a qualificare uno strumento come rientrante nell’ambito della politica commerciale è invece la sua natura obiettivamente intesa. Quanto alla particolare questione che si è posta in relazione alla competenza sulle misure commerciali per finalità di politica estera (in particolare sanzioni economiche nei confronti di Stati terzi), il problema sembra essere stato in parte superato a seguito dell’introduzione, con il Trattato di Maastricht, della nuova base giuridica dell’art. 301. Riguardo a tale ultima disposizione potrebbe tuttavia anche sostenersi che, poiché per l’esercizio di tale competenza è necessaria una previa deliberazione ad hoc da parte degli Stati membri in ambito di Politica estera di sicurezza comune (PESC), la norma dell’art. 301, anziché estendere la competenza comunitaria, l’abbia invece limitata a favore di quella degli Stati membri (v. Cannizzaro, 2004, p. 759).
La Corte, pur avendo sempre affermato che gli elementi oggettivi da tenere in considerazione per la scelta del fondamento normativo di un atto sono sia lo scopo che il contenuto dell’atto, sembra ultimamente dare maggiore rilievo alla sua finalità (Corte di giustizia, causa 347/0312, maggio 2005), sostenendo che una misura rientra nella politica commerciale «solo se verte specificamente sugli scambi internazionali in quanto sostanzialmente destinato a promuovere, facilitare, disciplinare gli scambi commerciali ed abbia effetti diretti ed immediati sul commercio o gli scambi dei prodotti interessati» (Corte di giustizia, 12 maggio 2005, C-347/03; 12 dicembre 2002, C-281/01).
Qualora un provvedimento persegua contemporaneamente più obiettivi (ad esempio sia commerciale che ambientale), occorre determinare quale dei due prevalga; nel qual caso il detto atto dovrebbe avere un unico fondamento normativo, oppure se gli scopi perseguiti siano tra loro inseparabili, l’atto dovrebbe basarsi su una duplice base giuridica. Provvedimenti erroneamente adottati sulla (o sulla sola) base giuridica dell’art. 133 possono essere suscettibili di annullamento da parte del giudice comunitario (Corte di giustizia, 12 dicembre 2002, C-281/01; 7 marzo 1996, C-360/93; 26 marzo 1987, 45/86).
La natura della competenza della Comunità in materia di politica commerciale
A partire dal parere 1/75, la Corte ha ripetutamente affermato che la competenza comunitaria in materia di politica commerciale è di natura esclusiva. Comportamenti unilaterali degli Stati membri potrebbero, infatti, compromettere il raggiungimento di obiettivi comuni. Circostanze gravi ed eccezionali possono giustificare l’adozione di provvedimenti nazionali, i quali devono tuttavia essere espressamente autorizzati dalle Istituzioni comunitarie (Corte di giustizia, 15 dicembre 1976, parere 41/76; 18 febbraio 1986, parere 174/84). Tale deroga troverebbe fondamento giuridico nell’art. 134. La titolarità della competenza esclusiva ha consentito alla Comunità di sostituirsi in via di fatto, agli Stati membri, nella gestione dell’Accordo generale sulle tariffe e il commercio (GATT, 1947) nei rapporti con Stati terzi (Corte di giustizia, 12 dicembre 1972, parere 21-24/72; 14 luglio 1994, C-379/92).
La delimitazione della competenza esclusiva della Comunità in materia di politica commerciale e la individuazione di eventuali competenze residuali degli Stati membri è stata oggetto di numerosi interventi giurisprudenziali, specie nel campo delle relazioni esterne dove la prassi ha visto crescere la conclusione di accordi in maniera congiunta da parte della Comunità e degli Stati membri (cosiddetti accordi misti). Secondo i principi giurisprudenziali, la natura esclusiva della competenza comunitaria in materia non è condizionata dal previo esercizio della competenza sul piano interno, potendo le istituzioni direttamente adottare un atto interno anche in occasione della conclusione di accordi internazionali (sempre parere 1/75). In linea generale, non elide il carattere di esclusività neppure il porre a carico del bilancio degli Stati, e non della Comunità, un eventuale finanziamento dell’accordo (parere 1/75 e parere 1/94), anche se eccezionalmente, la necessità di una copertura finanziaria da parte degli Stati membri potrebbe giustificare una loro partecipazione all’accordo accanto alla Comunità (parere 1/78). La rivendicazione della competenza da parte degli Stati membri si è particolarmente sentita in occasione dei negoziati dell’Uruguay Round, sfociato con la conclusione degli accordi multilaterali General agreement on trade and service (GATS) e Trade-related aspects of intellectual property rights (TRIPS), allegati all’Accordo dell’Organizzazione mondiale del commercio (OMC), il contenuto dei quali, come si è già detto, non era limitato allo scambio di merci ma investiva altri settori quali i servizi e la proprietà intellettuale. La questione è stata risolta nel noto parere 1/94 (v. anche Corte di giustizia, 7 marzo 1996, C-360-93; 24 marzo 1995, parere 2/92), il quale ha definito la competenza a concludere tali accordi come “congiunta” o “ripartita” tra la Comunità e gli Stati membri (sulle problematiche derivanti dall’affermazione di una competenza “ripartita”, v. Nizzo, 1998, p. 288 e ss.) e da esercitarsi previo coordinamento delle rispettive posizioni in sede OMC.
Di natura sicuramente concorrente è la competenza prevista dall’art. 133, paragrafo 5, riguardante gli accordi sugli scambi di servizi e sugli aspetti commerciali della proprietà intellettuale se non già ricompresi nei paragrafi precedenti. Nella nuova formulazione del Trattato di Nizza, la norma non attrae automaticamente i due settori nella sfera della politica commerciale – se così fosse stato la competenza comunitaria sarebbe stata certamente esclusiva – bensì si limita a rendere applicabili anche a questi due settori le disposizioni dell’art. 133, paragrafi 1-4. Occorrerà dunque dimostrare, volta per volta, se eventuali misure contenute in accordi internazionali rientrino per attrazione nella nozione di politica commerciale, così come definita anche nel parere 1/94, o se invece appartengono ai settori nuovi introdotti dal Trattato di Nizza. L’operazione non è di poco conto, dato che riguardo ai settori rientranti nel paragrafo 5 la competenza è, come già detto, di natura concorrente (tale conclusione, che si trae agevolmente dal quarto comma potrebbe implicitamente trarsi anche dai commi secondo e terzo). In tali settori gli Stati membri possono, infatti, mantenere o concludere accordi internazionali con Stati terzi e organizzazioni internazionali, e l’unico limite alla loro azione sarebbe quello di assicurare la conformità con il Diritto comunitario e con altri accordi internazionali pertinenti. Tale precisazione, per certi versi superflua, potrebbe invece assumere il significato di estendere le competenze degli Stati membri al di là di quanto consentito dalla sentenza Aets (Corte di giustizia 31 marzo 1971, parere 22/70). Infatti, secondo i principi affermati in tale sentenza, il previo esercizio della competenza interna da parte della Comunità comporterebbe la preclusione totale per gli Stati membri di concludere unilateralmente accordi internazionali con Stati terzi pur nel caso essi siano compatibili con il diritto comunitario.
Il paragrafo 6 dell’art. 133 definisce infine come “ripartita” la competenza in materia di accordi nei settori dei servizi culturali e audiovisivi, di servizi didattici nonché di servizi sociali e relativi alla salute umana. Tuttavia, poiché per la conclusione di tali accordi è sempre indispensabile la partecipazione sia della Comunità che degli Stati membri, si dovrebbe parlare più precisamente di una competenza “congiunta” (v. Cannizzaro, 2004, p. 762). E d’altra parte è la norma stessa a precisare che gli accordi debbano essere conclusi «congiuntamente dalla Comunità e dagli Stati membri».
La Comunità non è invece competente a concludere accordi contenenti disposizioni che esulino dalla sua competenza interna, e che in particolare comportino un’Armonizzazione in settori in cui il Trattato espressamente la escluda.
Le procedure per l’adozione delle misure rientranti nella politica commerciale
I provvedimenti interni per l’attuazione della politica commerciale, di norma regolamenti, sono adottati secondo uno schema procedurale molto semplice che vede la Commissione formulare una proposta e il Consiglio deliberare a Maggioranza qualificata. La disposizione è rimasta invariata anche con il Trattato di Nizza ed è dunque ancora esclusa la partecipazione del Parlamento europeo (su tale problematica v. Krajewski, 2005, p. 91 e ss.).
Per la stipulazione degli accordi internazionali rientranti nell’ambito di applicazione dell’art. 133 sono previste procedure speciali, in deroga alla norma generale dell’art. 300, e distinte a seconda della tipologia dei settori interessati. Per tutto quanto non espressamente disciplinato, continuano ad applicarsi le disposizioni contenute nell’art. 300.
Riguardo alle misure rientranti nella competenza esclusiva della Comunità, è stabilito che il Consiglio, dopo aver ricevuto raccomandazioni (v. Raccomandazione) dalla Commissione, autorizzi quest’ultima ad aprire i negoziati. È la Commissione a condurre i negoziati in consultazione con un comitato speciale, designato dal Consiglio e composto dai rappresentanti degli Stati membri. La decisione di conclusione dell’accordo è affidata al Consiglio che delibera a maggioranza qualificata. La norma, nella sua nuova formulazione introdotta dal Trattato di Nizza, richiede inoltre, sia al Consiglio che alla Commissione, di «adoperarsi affinché gli accordi negoziati siano compatibili con le politiche e norme interne della Comunità». Tale inciso, che potrebbe costituire solo un’indicazione programmatica per l’attività delle istituzioni (v. Biagioni, 2006, p. 4307) potrebbe anche avere l’effetto di subordinare le azioni esterne in materia di politica commerciale alle altre politiche inserendo così nel Trattato un criterio gerarchico tra le varie politiche.
Analogamente a quanto accade per l’adozione di atti interni, il Parlamento non viene coinvolto nella procedura (v. anche Processo decisionale). L’assenza di una funzione consultiva di tale organo è d’altra parte espressamente confermata nell’art. 300, par. 3 in virtù del richiamo operato all’art. 133, par. 3. (v. anche Procedura di consultazione)
Come già riferito in precedenza, la procedura descritta si estende anche agli accordi nei settori degli scambi di servizi e degli aspetti commerciali della proprietà intellettuale, nella misura in cui i paragrafi 1-4 non si applichino già autonomamente. Tuttavia, in deroga a quanto disposto in via generale, la Decisione del Consiglio non sempre viene deliberata a maggioranza qualificata. L’unanimità è infatti prevista in tre casi: l’accordo contenga disposizioni per le quali sul piano interno è richiesta l’unanimità; la Comunità non abbia ancora esercitato la sua competenza sul piano interno; l’accordo sia di natura orizzontale, e cioè interessi più materie.
Più complessa è la procedura prevista nei settori appartenenti alla competenza ripartita. In questi casi, infatti, oltre a dover sussistere un comune accordo degli Stati membri, si applica la procedura dell’art. 300. In virtù del richiamo operato dal paragrafo 5, terzo comma, la decisione del Consiglio è sicuramente assunta all’unanimità nel caso in cui l’accordo sia di natura orizzontale.
Cristina Schepisi (2007)