Nonostante la crescente importanza rivestita dagli audiovisivi nella società contemporanea sotto il profilo economico, sociale e culturale la Comunità economica europea ha iniziato relativamente tardi a interessarsi di questo settore nel quale lavorano oltre un milione di persone. Risale infatti al 3 ottobre 1989 la direttiva del Consiglio europeo “Televisione senza frontiere” (89/552/CEE), che ha affrontato per la prima volta in maniera organica tale materia. Questa direttiva si prefiggeva in primo luogo il compito di garantire la libera circolazione dei servizi televisivi nell’ambito del mercato comune, quindi si riproponeva di promuovere la distribuzione e la produzione dei programmi televisivi europei riservando loro una quota maggioritaria nel quadro dei programmi delle reti televisive, e infine stabiliva alcuni obiettivi d’interesse pubblico, cercando di garantire nel contempo la diversità culturale, il diritto di rettifica, la tutela dei consumatori (v. Politica dei consumatori) e la protezione dei minori.
Entrando maggiormente nel dettaglio la direttiva stabiliva che gli Stati membri avrebbero dovuto assicurare la libertà di ricezione per i programmi televisivi provenienti da altri paesi della Comunità europea, e quindi non ostacolarne la trasmissione sul loro territorio. Inoltre, per incoraggiare la distribuzione e la produzione dei programmi televisivi europei, gli Stati membri avrebbero dovuto fare in modo che, ogniqualvolta fosse stato possibile, le emittenti televisive riservassero a opere europee una quota maggioritaria del loro tempo di trasmissione, escluso il tempo dedicato all’informazione, alle manifestazioni sportive, ai giochi, alla pubblicità o ai servizi di televideo e alle televendite. Il compito di vigilanza sulla corretta applicazione della direttiva “Televisione senza frontiere” spettava alla Commissione europea, che ogni due anni riceveva in proposito una relazione e una statistica da parte degli Stati membri.
Un’attenzione particolare era riservata alla pubblicità e alle sponsorizzazioni. Per quanto concerne la pubblicità la direttiva stabiliva le modalità di interruzione dei programmi, vietava gli spot relativi al tabacco e ai medicinali acquistabili dietro prescrizione medica, fissava un tetto quotidiano del 15% e orario del 20% per i cosiddetti “consigli per gli acquisti” e poneva ulteriori divieti sulla base di considerazione di carattere etico. In merito alle sponsorizzazioni, la direttiva si limitava invece ad affermare che esse non avrebbero dovuto compromettere l’indipendenza editoriale dell’emittente, e sottolineava, in particolare, che non potessero essere sponsorizzati i telegiornali e le trasmissioni di informazione politica. Le trasmissioni sponsorizzate, infine, non avrebbero dovuto sollecitare l’acquisto dei prodotti o dei servizi dello sponsor stesso.
L’obiettivo della protezione dei minori si estrinsecava principalmente attraverso il divieto di trasmettere programmi aventi carattere pornografico o di estrema violenza, tranne nel caso in cui la trasmissione fosse inserita in un’opportuna fascia oraria o fosse oggetto di misure tecniche di protezione. Il diritto di rettifica veniva invece concesso a tutte le persone i cui diritti legittimi erano stati lesi a seguito di un’affermazione non veritiera contenuta in un programma televisivo diffuso da qualsiasi emittente soggetta alla giurisdizione di uno Stato membro.
Tale direttiva è stata poi modificata nel 1997 dal Consiglio dei ministri e dal Parlamento europeo, che ne hanno approvato una nuova versione (97/36/CE) tesa a modernizzare le disposizioni iniziali senza tuttavia alterarne lo spirito. In particolare, l’opera di revisione ha rafforzato la tutela dei minori, imponendo agli Stati membri di controllare che tutti i programmi vietati loro, trasmessi in chiaro, fossero preceduti da un idoneo segnale acustico o identificati da un simbolo visibile.
La nuova Direttiva si soffermava inoltre sul principio di giurisdizione, definendo la competenza degli Stati per quanto concerne le reti televisive in funzione del luogo in cui si trova la sede sociale effettiva e del luogo in cui vengono prese le decisioni editoriali in merito al palinsesto. Una particolare attenzione era quindi riservata agli eventi giudicati di grande interesse per la società, in merito ai quali si stabilivano le condizioni per consentire al pubblico di accedere a esse liberamente, in chiaro, anche qualora le reti a pagamento ne avessero acquistato i diritti di esclusiva. Norme più restrittive regolamentavano infine le finestre di programmazione destinate alle televendite.
Nel 2001 iniziava un nuovo processo di revisione a partire dalla verifica dell’effettiva applicazione della direttiva da parte degli Stati membri. Nonostante i primi risultati emersi fossero positivi, nel 2003 è stata comunque avviata una consultazione pubblica, sia nell’ambito dei paesi appartenenti all’Unione europea sia tra quelli candidati, per raccogliere un’ampia gamma di opinioni su alcuni temi specifici, che spaziavano dalla promozione della diversità culturale alla competitività dell’industria europea audiovisiva, sino alle norme relative alla pubblicità e alla protezione dei minori. Anche in questo caso la Commissione ha raccolto pareri per lo più favorevoli, pur non mancando suggerimenti tesi a migliorarne le modalità d’intervento e a garantire maggiormente, all’interno dei singoli Stati, la tutela dei minori nell’ambito on line.
Le conclusioni dell’indagine sono state pubblicate nel dicembre 2003 in una comunicazione intitolata Il futuro della politica europea in materia di regolamentazione audiovisiva. Tale comunicazione conteneva da un lato un’interpretazione delle disposizioni della direttiva “Televisione senza frontiere” e dall’altro avviava un approfondimento da parte dei cosiddetti “Gruppi di riflessione”, formati da esperti del settore, su alcune delle questioni più controverse, concernenti principalmente il campo di applicazione della futura regolamentazione dei contenuti audiovisivi, la determinazione della competenza giuridica, la regolamentazione della pubblicità, il diritto all’informazione e la promozione dei contenuti europei. Parallelamente venivano condotti una serie di studi sull’impatto dello sviluppo delle nuove tecniche pubblicitarie e sulle misure concernenti la promozione della distribuzione e della produzione dei programmi televisivi, erano analizzati gli strumenti di coregolamentazione nel settore dei media e si verificava il trattamento della televisione interattiva sul piano normativo.
Nell’agosto 2006 la Commissione, sulla base delle relazioni presentate dagli Stati membri, comunicava che, tra il 2003 e il 2004, si era registrata una leggera flessione nella programmazione delle opere europee a livello comunitario, che erano passate dal 65% al 63%, flessione che risultava più forte se confrontata però con il 67% conseguito nel 2001, pur rimanendo nettamente al di sopra dell’obiettivo del 50% fissato dalla direttiva. Le ragioni di questo fatto erano individuate non in una tendenza “strutturale”, bensì in due fattori “eccezionali”: l’ingresso nella UE di dieci nuovi paesi che non avevano alcuna esperienza nell’applicazione della direttiva sulle televisioni senza frontiere e l’inserimento nel computo finale di nuovi dati relativi alle piccole emittenti. Da un’analisi più approfondita dei dati emergeva inoltre la positiva crescita delle opere europee realizzate da produttori indipendenti.
Nel dicembre 2007 la Commissione infine presentava una revisione della direttiva sulle televisioni (direttiva 2007/65/CE “Servizi di media audiovisivi senza frontiere”) al fine di modernizzare le norme esistenti, tenendo conto delle evoluzioni tecnologiche e commerciali del settore audiovisivo europeo. Tra gli obiettivi prioritari devono essere sottolineati lo snellimento e la semplificazione delle normative precedenti, con particolare riferimento al settore pubblicitario, nonché la necessità di operare una distinzione tra i servizi “lineari” (televisione tradizionale, internet, telefonia mobile) e “non lineari” (televisione e informazioni su richiesta). La direttiva rendeva inoltre più flessibili le norme per l’inserimento della pubblicità – prendendo in considerazione anche quella virtuale, interattiva e a schermo diviso –, forniva un quadro giuridico chiaro in merito all’“inserimento di prodotti” all’interno di film, notiziari e trasmissioni, promuoveva il pluralismo dei media e ribadiva il principio della diversità culturale.
Guido Levi (2008)