Politica europea di sicurezza e difesa
Inquadramento storico
Lo sviluppo della Politica europea di sicurezza e difesa (PESD), che significa l’inserimento nel processo di integrazione europea dei settori della sicurezza e della difesa (v. Integrazione, teorie della; Integrazione, metodo della), ha il suo punto di partenza nel Trattato istitutivo dell’Unione europea (TUE) (v. Trattato di Maastricht). Prima di allora si era dato vita al Patto di Bruxelles nel 1948, diventato Unione dell’Europa occidentale (UEO) nel 1954, e cioè a un’alleanza militare per la difesa collettiva strettamente subordinato all’Alleanza atlantica (v. anche Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico) ed esterna al sistema comunitario. Dopo l’avvio della costruzione comunitaria con la proposta della Comunità europea del carbone e dell’acciaio (CECA) nel 1950, ci furono due tentativi abortiti di estendere l’integrazione alla difesa (nonché alla politica estera), e cioè i progetti di orientamento federale (v. anche Federalismo) della Comunità europea di difesa (CED) e della Comunità politica europea (CPE), negli anni 1950-1954, e il Piano Fouchet, di orientamento rigorosamente confederale, negli anni 1961-1962. Il fallimento di questi progetti, soprattutto di quelli dei primi anni Cinquanta, comportò l’abbandono per molti anni delle iniziative per la europeizzazione della difesa e il concentrarsi del processo di integrazione europea sul terreno economico. La difesa dell’Europa occidentale, nel contesto della formazione dei blocchi contrapposti, fu in sostanza affidata in modo strutturale, pur in presenza delle velleità autonomistiche francesi, al protettorato politico-militare americano. All’ombra dell’egemonia americana e della Guerra fredda, che rendevano inconcepibili i tradizionali conflitti di potenza fra gli Stati nazionali europei, si costituì una comunità di sicurezza implicante la sospensione fra i partecipanti delle regole dell’equilibrio di potenza, secondo cui gli Stati si considerano costantemente come potenzialmente e reciprocamente pericolosi. Proprio questa situazione, facendo venir meno la necessità di subordinare lo sviluppo economico alle possibilità di conflitti di potenza intereuropei, è la ragione fondamentale che ha reso possibile l’integrazione economica, nonostante che si sia messa fra parentesi l’eliminazione radicale, tramite l’europeizzazione della difesa con la creazione di uno Stato federale, dell’equilibrio di potenza fra gli Stati europei.
La fine dell’ordine bipolare e il nuovo disordine internazionale. La dimensione europea della sicurezza e della difesa
Con la svolta degli anni 1989-1991 il contesto entro il quale si era sviluppata l’integrazione europea è cambiato profondamente. Occorre puntualizzare due aspetti fondamentali del nuovo contesto che si è venuto delineando per comprendere l’avvio e lo sviluppo della PESD e valutarne l’adeguatezza.
Occorre sottolineare, in primo luogo, il radicale cambiamento della situazione della sicurezza esterna dell’Europa. Nel contesto dominato dal conflitto Est-Ovest l’esigenza fondamentale era quella del contenimento della potenza sovietica e, quindi, della dissuasione nei confronti di un attacco globale. In questa situazione il protettorato politico-militare americano aveva certo le implicazioni negative sul piano etico-politico, che si manifestano negli Stati che sfruttano la sicurezza senza contribuire seriamente a produrla; e tuttavia la sicurezza dell’Europa democratica era sostanzialmente garantita perché gli americani non potevano nel loro stesso interesse (in un sistema bipolare ogni perdita di potere avvantaggia in modo automatico e drammatico il blocco avversario, poiché non esiste il ruolo equilibratore di altri poli) non farsi pienamente carico della sua difesa ed era pertanto possibile il rinvio sine die dell’europeizzazione della difesa e della piena assunzione di responsabilità internazionale che ciò avrebbe comportato. Con la fine della Guerra fredda e la dissoluzione del sistema bipolare è venuta meno l’esigenza di contenere la minaccia globale sovietica, ma è emerso come problema centrale la necessità di contenere una gravissima instabilità globale, che la solitaria egemonia americana non appare in grado di affrontare in modo efficace.
L’altro aspetto da sottolineare riguarda il rapporto fra sicurezza e difesa. A questo proposito occorre anzitutto evidenziare la differenza fra la politica di sicurezza e quella di difesa. La prima riguarda l’insieme delle politiche che gli Stati adottano per proteggersi dalle sfide emergenti dal sistema internazionale, quindi non solo da quelle specificamente militari, ma anche da quelle politiche, economiche, sociali, ecologiche, sanitarie, criminali; la seconda riguarda invece le politiche dirette specificamente a proteggere le dimensioni fondamentali della loro sovranità, e cioè la difesa del loro territorio e della loro popolazione da un’aggressione esterna. Ciò precisato, una caratteristica fondamentale del sistema internazionale successivo alla fine della Guerra fredda (che si ricollega ovviamente a sviluppi già avviati in precedenza) è rappresentata dalla decisiva crescita di rilevanza dei problemi della sicurezza in senso lato rispetto a quelli della difesa in senso stretto. In un mondo sempre più interdipendente e privo di un efficace governance globale, la sicurezza dell’Europa è gravemente minacciata, oltre che dal terrorismo internazionale e dalla proliferazione delle armi di distruzione di massa, dalle crisi economico-finanziarie, dalla problematica energetica, dalla povertà nel mondo, dagli ingenti flussi migratori, dalle emergenze ecologiche, dalle epidemie, dalla criminalità transnazionale, ed altro ancora. Ciò non ha eliminato l’esigenza della difesa in senso specifico, ma ha reso decisamente più complessa e impegnativa la problematica della sicurezza.
Questo nuovo contesto ha posto all’ordine del giorno la necessità da parte dell’Europa di assumere un ruolo attivo nella produzione della sicurezza per se stessa e per il mondo e, quindi, di perseguire una propria identità in materia di sicurezza e difesa. A questo imperativo si è risposto con l’istituzione, sulla base del TUE, della Politica estera e di sicurezza comune (PESC) e, nell’ambito di questa, della PESD. Per capire cosa effettivamente significa la PESD, il dato basilare da evidenziare è che, a differenza dell’Unione economica e monetaria (pure decisa con il TUE) per la quale si è scelta una soluzione chiaramente federale, non si è affermata, in riferimento alla sicurezza e alla difesa (e evidentemente anche alla politica estera) la volontà da parte dei governi nazionali di realizzare un trasferimento di sovranità. Si è quindi compiuta una scelta rigorosamente confederale (escludendo gli embrioni federali presenti nel sistema comunitario) e, di conseguenza, si è rinunciato a perseguire una sostanziale autonomia europea nel campo della sicurezza e della difesa che avrebbe come automatica implicazione la trasformazione dell’Alleanza atlantica in una partnership USA-UE su basi di parità. Nel TUE in effetti, partendo dall’affermazione che la PESC «comprende tutte le questioni relative alla sicurezza dell’UE, ivi compresa la definizione a termine di una politica di difesa comune, che potrebbe successivamente condurre a una difesa comune», si precisa che l’identità europea in materia di sicurezza e difesa si realizzerà in un processo a tappe successive attraverso l’UEO, intesa come strumento idoneo per rafforzare il pilastro europeo dell’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico (North Atlantic treaty organization, NATO). I rapporti fra l’UEO e l’Unione europea si sarebbero sostanziati in azioni della prima volte alla realizzazione delle decisioni della seconda sempre in conformità delle posizioni adottate in sede di Alleanza atlantica, considerata la sede essenziale in cui affrontare gli impegni in materia di sicurezza e di difesa, e senza porre in discussione la leadership americana.
Su queste basi si è venuta costruendo la PESD, la quale ha avuto nella definizione dei rapporti con l’UEO e con la NATO i suoi momenti più importanti.
Organi, obiettivi e mezzi della PESD
Per quanto riguarda l’UEO, essa ridefinì dapprima i suoi compiti, adattandoli ai problemi di sicurezza propri della situazione postbipolare. Con la decisione del 19 giugno 1992 stabilì che, oltre che per la difesa collettiva, essa si sarebbe impegnata nelle missioni di tipo “Petersberg” (missioni umanitarie e di evacuazione di persone, missioni di mantenimento della pace, missioni di forze armate per la gestione delle crisi e il ripristino della pace) con unità militari messe a disposizione dagli Stati membri. Con il Trattato di Amsterdam le missioni Petersberg divennero un impegno dell’UE. Dopodiché, per poter assolvere concretamente questo impegno, facendo seguito alla Dichiarazione franco-britannica di Saint-Malo del 1998 con la quale il presidente francese Jacques Chirac e il premier inglese Tony Blair concordarono la necessità che l’UE si dotasse di una capacità d’azione nel settore della difesa e per la prima volta il Regno Unito abbandonò la sua contrarietà allo sviluppo di una politica di difesa europea purché in sintonia con la NATO e al Consiglio europeo di Colonia del giugno 1999 che definì obiettivi, strumenti e tappe per la nascita della PESD, il Consiglio europeo di Helsinki del 10-11 dicembre 1999 decise di costituire, grazie a una cooperazione volontaria degli Stati membri dell’UE, la Forza europea di reazione rapida (FERR), cioè una struttura militare di 60.000 uomini in grado di svolgere le missioni Petersberg. Fu stabilito che questi corpi d’armata dovessero essere militarmente autonomi e dotati di capacità di comando, controllo e informazione logistica, nonché di adeguate strutture belliche, e che gli Stati membri dovessero essere in grado di schierare tali forze entro 60 giorni e di mantenere lo schieramento per almeno un anno.
Va ricordato che prima della FERR, che è un’iniziativa dell’UE, erano state costituite nel quadro dell’UEO altre forze multinazionali, e in particolare l’Eurocorpo nel 1993 con la partecipazione di Francia, Germania, Belgio, Spagna e Lussemburgo e con la disponibilità di 50.000 uomini, l’Euroforce e l’Euromarforce, a iniziativa di Francia, Spagna, Italia e Portogallo, con disponibilità, la prima di forze terrestri fino a 10.000 uomini, e la seconda di unità marine fino a 5000 uomini. A Helsinki fu anche deciso di creare apposite istituzioni politico-militari a livello dell’UE per la gestione delle missioni Petersberg, e cioè il Comitato politico e di sicurezza (COPS), il Comitato militare e lo Stato maggiore. Il COPS, formalizzato dal Trattato di Nizza (TN) e diventato operativo nel 2003 con l’entrata in vigore del TN, è un organo politico permanente con sede a Bruxelles, costituito da un ambasciatore (e da alti funzionari) per ogni Stato membro e presieduto dall’Alto rappresentante per la PESC. Il COPS ha il compito di controllare la situazione internazionale nei settori che rientrano nella PESC, di suggerire al Consiglio dei ministri, su richiesta di questo o di propria iniziativa, le conseguenti risposte, di cui esercita il controllo politico e la direzione strategica, di dialogare con gli altri organi dell’UE e gli altri soggetti internazionali e di indirizzare politicamente lo sviluppo delle capacità militari europee. A completamento del COPS sono stati creati il Comitato militare dell’UE e lo Stato maggiore dell’UE. Questi organi, istituiti per l’attuazione del PESD, hanno natura strettamente intergovernativa (v. Cooperazione intergovernativa), implicante il Voto all’unanimità (che è la regola inderogabile per le questioni militari) e non limitano perciò in alcun modo la sovranità degli Stati membri. In particolare, il Comitato militare è un organo militare permanente dell’UE composto dai ministri della Difesa degli Stati membri e avente il compito di fornire pareri e raccomandazioni al COPS e garantire la direzione militare dello Stato maggiore dell’UE. Il compito di quest’ultimo è di fornire consulenza e sostegno in campo militare, e cioè il tempestivo allarme, la valutazione della situazione, la pianificazione strategica, l’esecuzione delle operazioni di gestione militare delle crisi, l’identificazione delle forze europee nazionali e multinazionali da impiegare. Questi due organi sono diventati operativi nel 2003 a completamento del Comitato politico e di sicurezza.
Nel 2002 divennero operativi l’Istituto dell’UE per gli studi sulla sicurezza, con sede a Parigi, e il Centro satellitare dell’UE, con sede a Torrejon di Ardoz, in Spagna, enti che erano stati istituiti nel quadro dell’UEO nel 1993. Il punto di arrivo provvisorio dell’evoluzione del rapporto fra UE e UEO è rappresentato dal TN, il quale ha istituzionalizzato l’integrazione europea nelle questioni di sicurezza e difesa formalizzando il Comitato politico e di sicurezza. Da allora l’UEO ha cessato di esistere come agenzia operativa, trasferendo le proprie competenze agli organi dell’UE deputati a condurre la PESD e mantenendo su di sé il solo compito della difesa collettiva (di cui gli Stati neutrali, come Austria, Svezia, Finlandia e Irlanda, per non essere costretti a partecipare a eventuali guerre, la Gran Bretagna, per timore che si indeboliscano i vincoli della NATO, rifiutano il trasferimento, sia pure su base intergovernativa, all’UE). Il TN, va per altro ricordato, specifica a chiare lettere che lo sviluppo della PESD non «comporta la costituzione di un esercito europeo», dal momento che «la NATO rimane il fondamento della difesa collettiva dei suoi membri». Il Trattato di Lisbona non esclude invece una tale eventualità poiché è indicato che la PESD «condurrà a una difesa comune quando il Consiglio europeo, deliberando all’unanimità, avrà così deciso» (art. 42, par. 2 Trattato sull’Unione europea).
Per quanto concerne lo sviluppo delle capacità civili nell’ambito della PESC e della PESD va ricordato che nel maggio 2000 è stato istituito un Comitato sugli aspetti civili della gestione delle crisi (CIVCOM) presso la Commissione europea, composto da rappresentanti diplomatici degli Stati membri e da un gruppo di lavoro del Consiglio collegato con il Comitato dei rappresentanti permanenti (COREPER). Nel Consiglio europeo di Santa Maria di Feira (giugno 2000) vennero definiti gli obiettivi da raggiungere in merito alle missioni civili, stabilendo tra l’altro l’impegno degli Stati membri di fornire uomini e mezzi per missioni di polizia internazionale, monitoraggio elettorale ecc. Dal febbraio 2001, è attivo il Meccanismo di reazione rapida il quale, attivato in situazione di minacce all’ordine pubblico o alla sicurezza dei cittadini in un paese ha il compito di garantire, in tempo utile e in modo flessibile il sostegno ai mezzi di informazione indipendenti in molti conflitti e consente la fornitura di aiuti non rimborsabili a breve termine in tutti settori non compresi dall’azione dell’Ufficio umanitario della Comunità europea (European Community humanitarian office, ECHO) che dipende dalla Commissione europea.
I rapporti con la NATO
Venendo ora più specificamente ai rapporti con la NATO, il problema fondamentale che la costruzione della PESD ha dovuto affrontare è consistito nell’esigenza di conciliare la messa in opera di una capacità dell’UE di azione militare autonoma (per attuare le missioni Petersberg e cioè contribuire alla produzione di sicurezza nella situazione postbipolare) con la volontà di continuare a contare su una NATO a leadership americana (non essendoci ancora la disponibilità a costruire una vera sovranità militare europea). La risposta a questo problema – rispetto al quale si è manifestata una costante dialettica fra l’atteggiamento più atlantico della Gran Bretagna e quello più autonomistico della Francia – è stata trovata dapprima con la decisione (emersa attraverso la riunione dei capi di Stato e di governo della NATO di Bruxelles dell’11 gennaio 1994 e il Consiglio della NATO di Berlino del 3 giugno 1996) di costituire i Gruppi di forze interarmate multinazionali, dando cioè la possibilità all’UEO di utilizzare le capacità logistiche e operative della NATO in operazioni condotte sotto la propria responsabilità. Questa soluzione comportava però che la NATO controllasse di fatto, oltre alla difesa collettiva, anche le missioni Petersberg e quindi mantenesse una eccessiva subordinazione agli USA. Da qui la decisione da parte del Consiglio europeo di Helsinki di dar vita alla FERR impiegabile anche senza il coinvolgimento della NATO. Con il TN, che ha istituzionalizzato la PESD, si è quindi ribadito il ruolo centrale della NATO nella difesa dell’Europa e di primo piano anche nella gestione delle crisi, specificando che gli sviluppi della PESD erano da intendersi come un contributo al buon funzionamento delle relazioni atlantiche e riconoscendo che la pianificazione delle missioni con partecipazione della NATO debba attuarsi negli organi di questa. Peraltro il Segretario di Stato americano Madeleine Albright chiese nel 1999 all’UE il rispetto di tre condizioni nello sviluppo della PESD: nessuna discriminazione nei confronti degli altri paesi europei della NATO (no discrimination); nessuna duplicazione per le risorse (assets) e le funzioni rispetto a quelle dell’Alleanza (no duplication); nessuna disaccoppiamento tra la considerazione della sicurezza dell’Europa rispetto a quella degli Stati Uniti (no decoupling). Il TN prevedeva d’altro canto la possibilità, nei casi di non coinvolgimento della NATO con le sue strutture militari, di svolgere la pianificazione operativa a livello di quartier generale strategico europeo e, dunque, sotto la responsabilità dell’UE che, con la sostanziale chiusura dell’UEO, decisa nel marzo 2010 e da implementarsi entro il giugno 2011 essendo stato recepito all’interno del Trattato di Lisbona il meccanismo di reciproco aiuto e di assistenza in caso di attacco armato alla base del Trattato di Bruxelles dell’UEO (clausola di reciproca difesa), ha assunto la funzione di gestione delle crisi di quest’ultima.
Le innovazioni previste dal Trattato di Lisbona e le caratteristiche e l’applicazione concreta della PESD (operazioni civili e militari)
In base a quanto previsto dal Trattato di Lisbona la PESD costituisce parte integrante della PESC e assicura che l’UE disponga di una capacità operativa tramite mezzi civili e militari forniti dagli Stati membri in missioni per garantire il mantenimento della pace, la prevenzione dei conflitti e il rafforzamento della sicurezza internazionale conformemente ai principi della Carta delle Nazioni Unite. Meta verso cui tende la PESD è la graduale definizione di una politica di difesa comune dell’UE, garantendo peraltro la specificità della politica di sicurezza e di difesa dei singoli paesi membri. Le missioni di Petersberg sono state ampliate ad altre azioni e rafforzate e ora includono le azioni congiunte in materia di disarmo, le missioni umanitarie e di soccorso, le missioni di consulenza e assistenza in materia militare, le missioni di prevenzione dei conflitti e di mantenimento della pace e le missioni di unità di combattimento per la gestione delle crisi, comprese le missioni tese al ristabilimento della pace e le operazioni di stabilizzazione al termine dei conflitti. Inoltre queste missioni possono contribuire alla lotta al terrorismo (v. Lotta contro il terrorismo), anche tramite sostegno a paesi terzi sul loro territorio. Quest’ultima previsione è conforme alla clausola di solidarietà, aggiunta proprio dal Trattato di Lisbona, secondo la quale l’Unione e gli Stati membri devono agire congiuntamente qualora uno di loro sia vittima di un attacco terroristico o di una calamità naturale o provocata dall’uomo. Un’altra innovazione riguarda l’attività di aiuto umanitario per cui è stata prevista l’istituzione di un Corpo volontario europeo (CCPE). Infine, va ricordata l’introduzione dello strumento della cooperazione strutturata permanente, aperta a tutti gli Stati membri e attivabile con decisione del Consiglio a Maggioranza qualificata, che prevede la possibilità di attivare una cooperazione più ampia e mirata tra gli Stati membri che lo desiderino e che posseggano requisiti specifici in termini di capacità militari adempiendo alle condizioni stabilite dal Protocollo n. 10 allegato al Trattato di Lisbona e che si impegnino a partecipare alle missioni più rilevanti della PESD.
Diversi sono stati i casi di attuazione concreta della PESD a partire dal 2003.
La prima area di intervento ha riguardato complessivamente i Balcani con l’operazione di polizia European Union police mission (EUPM) in Bosnia-Erzegovina (con la partecipazione di tutti i membri dell’UE e anche di altri paesi) iniziata nel gennaio 2003, mentre l’operazione militare Concordia è stata dispiegata nella ex Repubblica iugoslava di Macedonia dal marzo al dicembre 2003, in sostituzione delle truppe NATO e avvalendosi delle strutture e capacità alleate. A essa è poi subentrata, per un anno, la missione di polizia Proxima, incaricata di consolidare l’ordine e la legalità, combattere la criminalità organizzata e riformare il sistema di controllo alle frontiere e di sicurezza locale (terminata a fine 2005 e a sua volta sostituita da un reparto di polizia ridotta, European Union police advisory team, EUPAT).
Nello stesso periodo l’UE ha inviato diverse missioni anche in Africa, nella Repubblica democratica del Congo, a partire dall’operazione militare Artemis che l’UE ha iniziato nel giugno 2003 sotto l’egida dell’ONU per riportare ordine nel paese, alla quale, nella stessa regione, sono subentrate la missione European Union police mission (EUPOL) Kinshasa, lanciata nel dicembre 2004 e composta di agenti ed esperti per formare la polizia locale, la missione EUSEC di aiuto e assistenza a partire dal giugno 2005 e richiesta dal governo per riorganizzare l’esercito e l’amministrazione politica e militare al fine di limitare corruzione e malaffare, la missione militare European union force Repubblica Democratica del Congo (EUFOR RD Congo), avviata su richiesta dell’ONU nell’aprile 2006 per monitorare le elezioni in estate ed autunno in appoggio alle forze ONU e la missione di polizia European union police mission Repubblica Democratica del Congo (EUPOL RDC) per l’assistenza e il sostegno alla riorganizzazione delle forze di sicurezza e polizia del paese avviata nel 2007 e prolungata fino al 2010. Tra il 2005 e il 2006 l’UE ha organizzato una missione civile-militare di sostegno all’intervento AMIS II dell’Unione africana in Sudan, nella regione occidentale del Darfur funestata da diversi anni da una guerra civile, fornendo finanziamenti, personale e assistenza tecnica, senza però riuscire a incidere sensibilmente sulla tragica condizione dell’area. Tra il 2008 e il 2009 la missione militare EUFOR Ciad-Repubblica Centroafricana ha garantito la tutela della popolazione e il mantenimento della pace concludendosi con l’arrivo di una missione dell’ONU, mentre tra il giugno 2008 e il giugno 2010 si è svolta una missione per la riforma del settore della sicurezza (EU’s security sector reform, EUSSR) in Guinea Bissau, richiesta dal governo di quel paese.
La missione EUFOR-Althea (1950 uomini), iniziata nel dicembre 2004, ha sostituito la forza multinazionale SFOR (Stabilisation force) della NATO in Bosnia-Erzegovina (circa 7000 uomini), inquadrata nelle missioni Berlino-Plus (quelle che hanno accesso ad alcune capacità della NATO), mentre la missione EUJUST-Themis in Georgia, prevista per la durata di un anno a partire dal luglio 2004 e composta di esperti civili (amministratori e magistrati) richiesti dal governo georgiano per assistere la riforma del sistema giudiziario dopo la rivoluzione nonviolenta svoltasi alla fine del 2003 (“Rivoluzione delle rose”) è proseguita con il mantenimento in loco di un “Border support team”. Dopo il conflitto russo-georgiano dell’agosto 2008 l’UE ha inviato una missione di monitoraggio in Georgia al fine di vigilare sugli accordi raggiunti al termine del conflitto (European Union monitoring mission – EUMM Georgia), tuttora attiva.
Proseguendo in una sintetica presentazione delle molteplici iniziative della PESD avviate negli ultimi anni si riscontrano anche: la missione integrata sullo Stato di diritto per l’Iraq (EUJUST Lex), la prima di questo genere che coinvolge giuristi e magistrati, che è in corso dal 2005 e con durata prevista fino al 2012, finalizzata alla formazione dell’amministrazione della giustizia e della sicurezza del paese e dotata di un ufficio di coordinamento a Bruxelles e di un ufficio di collegamento a Baghdad; la missione di monitoraggio nella regione dell’Aceh, in Indonesia, colpita dallo tsunami alla fine del 2004, voluta dall’ONU e dalle parti in conflitto (governo e ribelli autonomisti) per garantire il passaggio dei poteri e il disarmo allo scopo di poter pervenire al soccorso e alla ricostruzione economica e sociale nel territorio in collaborazione con Norvegia, Svizzera e l’Associazione delle nazioni dell’Asia Sud-Orientale (ASEAN), durata dal settembre 2005 al dicembre 2006, coinvolgendo duecento operatori europei e un centinaio di asiatici; la missione di polizia EUPOL Copps nei Territori palestinesi, avviata all’inizio del 2006 e composta da una quindicina di ufficiali non armati dislocati per assistere l’Autorità palestinese nell’addestramento della polizia locale per tre anni e poi ampliata e prolungata; la missione di assistenza alla frontiera Europea union border assistence mission (EUBAM) Rafah, tra territori palestinesi ed Egitto iniziata nel novembre 2005, composta da una settantina tra ufficiali e doganieri, volta a garantire il transito di mezzi e persone al confine e molto delicata per i disordini e gli scontri che sono frequenti e hanno provocato anche la sospensione temporanea dell’intervento e del passaggio di frontiera, estesa fino al 2011; la missione EUBAM Ucraina e Moldavia decisa alla fine del 2005 per due anni e più volte prolungata con scadenza prevista attualmente nel 2011.
Le missioni più recenti attive in scenari molto differenti hanno confermato l’impegno dell’UE come forza regionale per la prevenzione dei conflitti e il mantenimento della pace a fronte di sfide ed emergenze molto diverse tra loro. Se nel 2007 è stata avviata una missione di polizia in Afghanistan (EUPOL Afghanistan) con l’impiego di circa 450 uomini per sostenere lo sviluppo delle capacità operative della polizia locale in un contesto alquanto difficile dove una guerra che coinvolge la NATO e gli Stati Uniti contro i talebani è in atto dal 2001, l’UE ha organizzato la sua più ampia e ambiziosa missione civile, EULEX Kosovo, forte di oltre 2700 operatori per contribuire alla lotta contro la corruzione e la criminalità e fornire assistenza nel quadro delle risoluzioni delle Nazioni Unite che prevedono la transizione verso la piena indipendenza del Kosovo e la stabilizzazione dalla regione, area di forti tensioni e ancora incapace di dar vita ad uno Stato democratico e di diritto. Vanno poi ancora ricordate la prima missione militare navale dell’UE, EUNAVFOR Atalanta, attiva dal 2008 e prevista fino al 2012 con l’impiego di oltre un migliaio di uomini allo scopo di garantire, sotto gli auspici delle Nazioni Unite e delle risoluzioni da esse approvate, la sicurezza del trasporto degli alimenti del Piano alimentare mondiale per la Somalia e il transito delle navi nella zona antistante le coste somale infestate dalla pirateria e, infine, la missione militare di addestramento delle forze di sicurezza in Somalia (EU training mission – EUTM Somalia) avviata nel 2010.
Sul piano dello sviluppo delle capacità militari il Consiglio Affari generali e relazioni esterne (CAGRE) ha stabilito nel 2004 un nuovo headline goal per il 2010 che riguarda l’interoperabilità delle forze militari con quelle civili, le capacità di spostamento rapido, il sostegno logistico alle truppe impiegate e la costituzione di raggruppamenti tattici per operazioni di reazione rapida (“Battle groups”) dispiegabili sin dal 2007, definiti nel numero di 13 e composti da 1500 uomini ciascuno durante il Consiglio dei ministri della Difesa e degli Esteri del 22 novembre 2004 (i primi due gruppi, a guida francese e inglese sono pronti dalla fine del 2005 mentre dalla fine del 2006 l’Italia partecipa alla costituzione di altri gruppi insieme a Slovenia, Ungheria, Spagna, Grecia e Portogallo). Anche per lo sviluppo della dimensione civile della PESD sono stati effettuati progressi con la creazione di Civilian response teams composti di esperti mobilitabili per interventi di breve durata e per l’operatività di procedure e coordinamenti al fine di contribuire al consolidamento dei processi di pace e dello stato di diritto.
Un’altra iniziativa significativa, foriera di sviluppi, è la costituzione di una “gendarmeria europea” lanciata al Consiglio informale dei Ministri della difesa di Nordwijk nel settembre 2004, e realizzatasi con la nascita della European gendarmerie force (Eurogendfor, EGF), forza multinazionale di polizia militare con quartier generale a Vicenza, costituita da Francia, Italia, Spagna, Paesi Bassi, Portogallo e Romania pronta ad accogliere nuovi paesi, operativa dalla fine del 2005 con circa 800 uomini capaci di intervenire entro un mese in azione a conclusione di una precedente operazione militare.
Un aspetto molto importante per quanto riguarda la costruzione della PESD è rappresentato dalla cooperazione nel settore degli armamenti, la quale però sta sviluppandosi con grande difficoltà attraverso accordi interstatali al di fuori del quadro istituzionale dell’UE. Un esempio particolarmente significativo al riguardo è la vicenda dell’aereo da trasporto militare A400M, che ha grande importanza per realizzare una capacità di proiezione delle forze militari indispensabile per le missioni Petersberg. A questo progetto, che è stato sbloccato nel 2002, partecipano Germania, Francia, Spagna, Regno Unito, Portogallo, Belgio, Turchia e Lussemburgo, mentre l’Italia, unica fra i grandi paesi dell’UE, se ne è tirata fuori. Dal luglio 2004 a Bruxelles, presieduta dall’Alto rappresentante per la PESC, a base intergovernativa, con la partecipazione di tutti i paesi membri dell’UE a esclusione della Danimarca e con rappresentata la Commissione europea negli organi di gestione, è stata istituita l’Agenzia europea per gli armamenti – prevista come organismo dell’UE dalla. Costituzione europea e poi come Agenda europea per la difesa nel Trattato di Lisbona –, la quale ha il compito di sostenere lo sviluppo della PESD contribuendo a individuare gli obiettivi di capacità militari degli Stati membri e a valutare il rispetto degli impegni in tale settore assunti dagli Stati membri, promuovendo l’armonizzazione delle esigenze operative e l’adozione di metodi di acquisizione efficienti e compatibili, proponendo progetti multilaterali per il conseguimento di obiettivi riguardanti le capacità militari e assicurando il coordinamento dei programmi attuati dagli Stati membri e la gestione di programmi specifici, sostenendo la ricerca nel settore della tecnologia della difesa anche coordinando attività e studi congiunti in funzione di esigenze operative future e contribuendo a individuare azioni per potenziare l’industria della difesa a livello europeo.
Considerazioni conclusive
La PESD, di cui abbiamo visto gli aspetti fondamentali, è, come la PESC di cui rappresenta un’articolazione, un compromesso fra l’imperativo di rispondere alle sfide per la sicurezza europea emerse nel contesto postbipolare e la volontà di conservare una sempre più inconsistente sovranità nazionale nel campo della politica estera, di sicurezza e di difesa (un atteggiamento che il Trattato costituzionale firmato il 29 ottobre 2004 non superava, come similmente neppure il recente Trattato di Lisbona in vigore dal dicembre 2009). Occorre essere consapevoli dei costi che comporta l’opzione di carattere confederale in cui tale compromesso si è concretizzato. Quattro punti vanno opportunamente sottolineati.
Finché non ci sarà la disponibilità a creare un esercito europeo che assorba gli eserciti nazionali (con tutti i loro armamenti, compresi quelli nucleari) e sia sottoposto al controllo degli organi sopranazionali, non si potrà costruire il monopolio della forza legittima a livello dell’UE, che è in generale indispensabile per ottenere la piena efficacia dell’ordinamento giuridico sopranazionale e che è diventato particolarmente urgente per una UE che si avvia a comprendere quasi 600 milioni di abitanti e che è caratterizzata da un pluralismo nazionale, culturale-linguistico, religioso ed economico-sociale che non ha eguali nel mondo.
La Cooperazione intergovernativa – fondata sulla unanimità e i veti nazionali – nel campo della sicurezza e della difesa comporta una gravissima inefficienza economica, mentre una UE federale con una difesa unica potrebbe esprimere una capacità di produrre sicurezza incomparabilmente maggiore dell’attuale e senza aumenti della spesa complessiva. Per rendersene conto, basta pensare agli sprechi enormi derivanti dalla divisione nazionale della spesa, dalla mancata standardizzazione degli equipaggiamenti, dalla dispersione e sovrapposizione delle attività di ricerca, dall’eccesso di personale e dal ridotto livello degli investimenti. Questi sprechi comportano che, per esprimere una capacità militare paragonabile a quella americana, gli europei dovrebbero spendere 5 o 6 volte di più degli Stati Uniti.
L’inefficienza della cooperazione intergovernativa ha come inevitabile conseguenza l’incapacità da parte dell’UE, che è diventata la più forte area economica del pianeta, di svolgere un autonomo ed efficace ruolo internazionale, indispensabile per tutelare i propri valori e i propri interessi e per superare la solitaria egemonia americana, che non è strutturalmente in grado di governare la sempre più profonda interdipendenza globale in direzione di un sistema mondiale più giusto e più pacifico, e quindi capace di rispondere in modo efficace a sfide esistenziali per l’umanità nel suo complesso e che impongono una politica di unificazione mondiale.
C’è infine da segnalare la relazione critica fra l’approccio intergovernativo alla sicurezza e alla difesa e il processo democratico in Europa. Qui c’è una contraddizione acuta. Se non si vuole accentuare il Deficit democratico che caratterizza l’integrazione europea, si deve mantenere uno stretto controllo democratico dei parlamenti nazionali sul comportamento dei rappresentanti nazionali negli organi di cooperazione nel campo della sicurezza e della difesa. Il che non può che rendere più difficile il raggiungimento del consenso, dato che i parlamenti nazionali non hanno il compito di perseguire l’interesse comune europeo. Per contro, la cooperazione intergovernativa può limitare la propria strutturale inefficienza decisionale solo sganciandosi più o meno apertamente dai controlli democratici nazionali. Solo la piena parlamentarizzazione federale dell’UE, facendo acquisire un ruolo decisionale al Parlamento europeo anche all’interno della PESC e della PESD, a fronte anche dei suoi aumentati poteri in materia di bilancio comunitario (v. Bilancio dell’Unione europea) e alla funzione assunta nell’approvazione della Commissione europea ove ora siede un Alto rappresentante per gli affari esteri e la politica di sicurezza che ne è vicepresidente, può conciliare efficienza decisionale e controllo democratico.
Sergio Pistone, Giorgio Grimaldi (2010)