La Politica europea di vicinato (PEV) si sviluppava, tra il 2002 e il 2004, principalmente come conseguenza del grande Allargamento del 2004 a otto paesi dell’Europa centrale e a due paesi mediterranei. Con l’espansione dei confini europei si ponevano nuovi imperativi alla Politica estera e di sicurezza comune, soprattutto verso quei paesi in Europa orientale che diventavano schiacciati tra l’Unione europea allargata e la Russia. Tra i paesi membri dell’Unione, la Gran Bretagna (v. Regno Unito) e la Svezia sono stati tra i primi ad argomentare la necessità di sviluppare una politica più incisiva verso l’Ucraina e la Moldova, paesi che chiedevano un maggiore impegno di Bruxelles e la possibilità di avere una prospettiva di Adesione.
La prospettiva geografica, tuttavia, si è subito estesa a tutti i paesi confinanti con l’Unione allargata. I paesi meridionali dell’UE, preoccupati di uno spostamento del baricentro europeo verso Est, insistevano per includere nella nascente politica i paesi della sponda sud del Mediterraneo che facevano parte del Partenariato euromediterraneo (PEM), una strategia regionale dell’Unione europea sviluppatasi nel contesto delle grandi difficoltà del conflitto in Medio Oriente e che, secondo molti, richiedeva un rinnovamento. L’inclusione del Nord Africa e del Medio Oriente soddisfaceva anche quei paesi UE che volevano sottolineare che la PEV non era intesa come anticamera di un nuovo processo di allargamento. Nel 2003 il primo documento (Commissione europea, Wider Europe – Neighbourhood: A new framework for relations with our Eastern and Southern neighbours, COM/2003/104, def., Bruxelles, 11 marzo 2003; v. anche Commissione europea, Paving the way for a new neighbourhood instrument, COM/2003/ 393, def., Bruxelles, 1 luglio 2003) quindi comprendeva i paesi del PEM (tranne Malta, Cipro e Turchia: paesi candidati all’adesione) e quelli dell’Europa orientale, abbracciando una vasta area che andava dal Marocco fino alla Russia. Nel 2004 (Commissione europea, European neighbourhood policy. Strategy paper, COM/2004/373, def., Bruxelles, 12 maggio), poi, la prospettiva geografica cambiava ulteriormente: la Russia declinò la sua partecipazione alla PEV preferendo sviluppare i propri rapporti con Bruxelles e le capitali europee su base bilaterale, mentre si aggiungevano i tre paesi del Caucaso meridionale, Armenia, Azerbaigian e Georgia. Quest’ultima proprio nell’autunno del 2003, aveva iniziato a cercare il sostegno europeo dopo la “Rivoluzione delle rose”.
Il vicinato europeo quindi è un’area estremamente eterogenea, composta da paesi con regimi diversi e con diverse aspettative nei confronti di Bruxelles. Soprattutto nell’Europa orientale, la Commissione europea ha sottolineato più volte che la PEV non offre un percorso verso l’adesione. In questo senso, la creazione della PEV deve essere compresa anche come modo per rispondere ad alcuni problemi posti dall’allargamento: trattandosi di una delle strategie di maggior successo nella storia dell’integrazione europea (v. Integrazione, teorie della; Integrazione, metodo della), l’adesione alla PEV era anche molto richiesta dai paesi vicini. Tuttavia, con i problemi di “digestione” del grande allargamento del 2004, e la promessa di adesione già offerta ai paesi balcanici e alla Turchia, l’UE non voleva impegnarsi ulteriormente. La bocciatura della Costituzione europea nei referendum del 2005 ha giustificato, successivamente, questa cautela.
Il rapporto con la strategia di allargamento è evidente anche nei contenuti e nei metodi della PEV: “tutto tranne le istituzioni”, secondo lo slogan che l’ha descritta. La PEV, quindi, propone di sostenere una maggiore integrazione dei paesi limitrofi senza però offrire l’integrazione politica. Gli incentivi principali che l’Unione offre sono di natura economica, politica, culturale e nel campo migratorio: commercio preferenziale e più aperto ai prodotti dei paesi confinanti; possibilità di accedere a settori del mercato interno; facilitazioni per la circolazione dei cittadini, ad esempio per coloro che attraversano frequentemente la frontiera di Schengen o per coloro che partecipano ai programmi e alle attività promosse dall’Unione; cooperazione nella prevenzione delle minacce alla sicurezza, soprattutto nei traffici illegali e nella Lotta alla criminalità internazionale e contro la droga; un maggior coinvolgimento dell’Unione nella prevenzione dei conflitti, promuovendo, tra le altre cose, una Politica estera e di sicurezza comune (PESC) e una Politica europea di sicurezza e difesa (PESD) più trasparenti; rafforzamento dell’impegno per la promozione dei Diritti dell’uomo, delle riforme politiche, del buon governo e per la cooperazione culturale; integrazione infrastrutturale, soprattutto nei trasporti, nelle telecomunicazioni, nella ricerca e nell’importante settore dell’energia (il vicinato è composto da molti paesi produttori o di transito di risorse energetiche), e infine nuovi strumenti per la promozione degli investimenti e il sostegno all’integrazione dei paesi vicini nelle strutture economiche globali, soprattutto nell’Organizzazione mondiale del commercio.
Pur trattandosi di un approccio regionale, la politica si articola essenzialmente in modo bilaterale, ossia tra l’UE e il singolo paese del vicinato. La novità più importante è rappresentata dal Piano d’azione, negoziato tra Bruxelles e il paese in questione, un documento della durata dai tre ai cinque anni che indica gli obiettivi da perseguire. La negoziazione congiunta indica che i Piani d’azione riflettono maggiormente le esigenze dei paesi partner e che non risultano essere semplicemente una lunga lista di riforme che Bruxelles ritiene necessarie per tutti i paesi vicini, a prescindere dalle loro condizioni specifiche. Questa differenziazione tra paesi, poi, permette ad alcuni di essi di sganciarsi dal formato regionale che governa le relazioni tra l’UE e la sponda sud del Mediterraneo. Marocco e Giordania, ad esempio, sono risultati a fine 2006 i paesi che più hanno perseguito le riforme concordate nei Piani d’azione e potranno quindi beneficiare di maggiori incentivi. A fine 2006, la Commissione ha prodotto una serie di documenti che fotografano la situazione attuale nei rapporti tra UE e partner, identificando le aree da rafforzare e, indirettamente, sollecitando il Consiglio dei ministri ad approvare l’offerta di incentivi soprattutto per quei paesi che fanno i maggiori progressi (Commissione europea, Communication on strengthening the European neighbourhood policy, COM/2006/726, def., Bruxelles, 4 dicembre 2006).
Nel corso del 2004 sono stati negoziati i primi sette Piani d’azione (Marocco, Tunisia, Giordania, Autorità Palestinese, Israele, Ucraina e Moldova); a fine 2006 sono stati resi pubblici i Piani d’azione con Armenia, Azerbaigian e Georgia, e a gennaio 2007 è stato approvato quello con il Libano, ritardato per via della guerra dell’estate 2006. Restano ancora da approvare quello con l’Egitto, mentre gli altri paesi per ora non hanno interesse alle prospettive offerte dalla PEV.
L’altra innovazione consiste negli aiuti. Le risorse per il 2007-2013, aumentate di circa un 30% rispetto alla spesa per quei paesi nel periodo 2000-2006, sono state razionalizzate sia nell’identificazione delle priorità, sia nei meccanismi che governano l’esborso, nel quadro della riforma del 2004 dell’assistenza esterna. I Piani d’azione cominceranno a essere operativi nel 2007 e sono accompagnati da alcuni strumenti specifici: uno per la promozione dei diritti umani, una governance facility per il buon governo che dovrebbe essere utilizzato per premiare i paesi che portano avanti le riforme. Inoltre, il commissario Benita Ferrero Waldner ha proposto un Fondo di investimento per il vicinato – che si aggiungerebbe al Fondo euromediterraneo di investimento e partenariato (FEMIP) della Banca europea di investimenti per il Mediterraneo – per canalizzare risorse comunitarie insieme a quelle bilaterali.
I Piani d’azione basati sul concetto di ownership da parte dei paesi del vicinato e le migliorate risorse finanziarie costituiscono i principali punti di forza della PEV, mentre le sue debolezze restano da affrontare. La PEV contribuisce poco a modificare le strategie UE verso quei paesi (più autoritari) che non hanno interesse a migliorare i rapporti con Bruxelles (Bielorussia, Siria, Libia). Inoltre, resta una politica debole in tutte quelle aree dilaniate da conflitti irrisolti: Moldova (dove però la PEV ha dato qualche piccolo contributo), l’intero Caucaso meridionale, il Medio Oriente, e il Sahara occidentale. In entrambi i campi, le debolezze della PEV riflettono i problemi della politica estera europea. La PEV, infatti, è una politica sostanzialmente gestita dalla Commissione europea, mentre le strategie più squisitamente politiche vengono sviluppate in seno al Consiglio europeo. Finché perdurerà una gestione “bicefala” del vicinato, l’impatto e l’efficacia della PEV saranno limitati.
Rosa Balfour (2008)