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Politica industriale

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Il Trattato istitutivo della Comunità economica europea (CEE) (v. Trattati di Roma) non conteneva inizialmente disposizioni specifiche sulla politica industriale; tuttavia questa era rinvenibile nell’applicazione globale all’industria o ai singoli settori industriali dell’insieme delle norme dei Trattati, in particolare di quelle relative al mercato interno (v. anche Mercato unico europeo). Con il Trattato di Maastricht del 1992 si è voluta introdurre una specifica base giuridica. L’attuale articolo 157 del titolo XVI, intitolato appunto “Industria”, volto all’attuazione di una politica industriale comunitaria, mira al rafforzamento della competitività dell’industria europea, intervenendo in quattro principali campi d’azione: favorire l’adeguamento rapido dell’industria ai cambiamenti strutturali; promuovere un ambiente favorevole all’iniziativa e allo sviluppo imprenditoriali, con particolare riguardo alle piccole e medie imprese (PMI); incoraggiare la cooperazione tra imprese; trarre i massimi vantaggi dalle politiche di innovazione, ricerca e sviluppo tecnologico (v. anche Politica della ricerca scientifica e tecnologica). In questi settori la Commissione europea svolge innanzi tutto un ruolo di coordinatore delle politiche e iniziative nazionali; inoltre, può proporre misure specifiche la cui approvazione, previa consultazione del Comitato economico e sociale, non richiede più il sostegno unanime (v. anche Voto all’unanimità) del Consiglio dei ministri, il quale, in seguito agli emendamenti apportati dal Trattato di Nizza (2001), può ora pronunciarsi a Maggioranza qualificata nell’ambito della Procedura di codecisione con il Parlamento europeo. È bene notare che il Trattato che istituisce una Costituzione europea del 2004 riproduce fedelmente il testo attuale della disposizione, specificando che, trattandosi di uno dei settori in cui l’Unione europea si limita a svolgere un ruolo di sostegno, coordinamento e complemento, non sono ammesse misure di Armonizzazione legislativa o regolamentare.

La politica industriale europea ruota attorno ai concetti di competitività, innovazione, imprenditorialità, sostegno alle PMI e complementarità con le politiche adiacenti. La politica a favore delle PMI ha avuto inizio con il primo programma d’azione a esse dedicato, adottato nel 1983 al termine dell’anno europeo delle PMI e dell’artigianato e oggi giunto al quarto rinnovo (v. sotto). Tuttavia, è solo nel 1990 che la Commissione presenta una prima strategia coerente di politica industriale comunitaria nella sua Comunicazione “La politica industriale in un contesto aperto e concorrenziale”. Nel 1993, con la pubblicazione del Libro bianco (v. Libri bianchi) sulla crescita, competitività e occupazione, seguito nel 1995 dal Libro verde (v. Libri verdi) sull’innovazione e dal piano d’azione “L’innovazione al servizio della crescita e dell’occupazione in Europa”, la Commissione ha richiamato l’attenzione sull’importanza della ricerca, della formazione, dell’innovazione e dello sviluppo tecnologico come motori della competitività e dunque della crescita. Negli anni successivi sono state pubblicate altre relazioni e comunicazioni da parte della Commissione, ma è solo con il Consiglio europeo di Lisbona del 23 e 24 marzo 2000 che si è impresso nuovo slancio alla politica delle imprese, stabilendo per l’Unione europea un nuovo ed estremamente ambizioso obiettivo strategico: «[…] divenire entro il 2010 l’economia basata sulla conoscenza più competitiva e dinamica al mondo, in grado di realizzare una crescita economica sostenibile con nuovi e migliori posti di lavoro e una maggiore coesione sociale». Il perseguimento di tale obiettivo richiede dunque di riformare la politica industriale, rispettando al tempo stesso il modello sociale europeo. A questo scopo già nell’aprile dello stesso anno la Commissione ha presentato la comunicazione “Sfide per la politica delle imprese nell’economia fondata sulla conoscenza”, contenente la proposta per il Programma pluriennale 2001-2005 a favore delle imprese e dell’imprenditorialità (v. sotto) (v. anche Programmi comunitari), il quale è stato poi adottato con decisione del Consiglio del 20 dicembre. Tale programma raccoglie le sfide che l’economia europea si trova ad affrontare, individua le linee d’intervento e rappresenta anche un primo passo per attuare gli obiettivi fissati dalla Carta europea per le piccole imprese (v. sotto), approvata in occasione del Consiglio europeo di Feira il 19 e 20 giugno sempre del 2000.

L’insieme di queste comunicazioni e decisioni, cui se ne aggiungono altre relative ad azioni più specifiche, individua le sfide prioritarie che l’economia europea si trova ad affrontare e stabilisce il quadro generale dell’azione comunitaria nel campo della politica industriale. Per creare un’economia competitiva sono stati individuati tre assi d’azione principali: incoraggiare lo spirito imprenditoriale e creare le condizioni per facilitare il costituirsi di nuove imprese; stimolare la capacità di crescita, di innovazione e di aggiustamento delle imprese esistenti; assicurare a queste imprese un effettivo accesso al mercato, europeo ed estero. Dunque una politica industriale efficace si presenta come una politica a 360°, capace di sviluppare sinergie e complementarità con tutte le altre politiche adiacenti, allo scopo di creare un ambiente il più possibile favorevole allo sviluppo delle imprese: dalla politica di ricerca e innovazione alla Politica di coesione, dalla Politica fiscale (v. Politica fiscale nell’Unione europea) alla Politica dell’istruzione, dalla Politica dell’energia al mercato interno e alla Politica commerciale comune, contribuendo tutte alla coerenza ed efficacia della strategia.

L’azione in materia di imprese, in particolare nel quadro della Strategia di Lisbona, si attua principalmente attraverso il “metodo aperto di coordinamento”, che incoraggia gli Stati membri a lavorare insieme, creando piattaforme di dialogo e di confronto che facilitano non solo l’identificazione dei problemi, ma anche la diffusione delle pratiche migliori, le quali assurgono a paradigma di riferimento (benchmarking). I paesi si impegnano, su base volontaria e coordinati dalla Commissione, a conseguire determinati risultati quantitativi, da essi stessi fissati, in un certo numero di settori chiave per la politica delle imprese. In questo modo la Commissione favorisce l’identificazione di indicatori comuni e la predisposizione di statistiche comparative. La struttura di questo sistema di coordinamento è definita dalla procedura Business environment simplification task force (BEST), varata nel 2000 e così chiamata dal nome del gruppo di lavoro che l’ha elaborata. La procedura prevede che la Direzione generale Imprese della Commissione identifichi le aree prioritarie di discussione e confronto, di comune accordo con gli Stati membri e dopo aver sentito il parere del gruppo Politica delle imprese, costituito da esperti del mondo imprenditoriale, statale e accademico. I progetti in discussione sfociano spesso nell’adozione di raccomandazioni (v. Raccomandazione), pur non vincolanti. La procedura BEST fino a questo momento si è dimostrata un utile strumento per avere informazioni preziose sulle pratiche dei vari Stati membri (peer review); va tuttavia rafforzata la fase del reciproco insegnamento, spingendo a prendere esempio dai comportamenti migliori (peer pressure).

La Strategia di Lisbona e i documenti a essa collegati, che meglio la definiscono e la sostengono (in particolare il Programma pluriennale 2001-2005 a favore delle imprese e la Carta europea per le PMI, v. sotto), individuano cinque questioni chiave nella politica industriale europea.

Innanzi tutto promuovere l’imprenditorialità. Secondo i dati dell’Eurobarometro, il 47% degli europei preferirebbe un lavoro indipendente, ma solo il 17% riesce a realizzare questa aspirazione. Per incoraggiare lo spirito imprenditoriale è essenziale, come evidenziato nella Comunicazione della Commissione “Un’agenda europea per l’imprenditorialità” (2004), che ha fatto seguito al Libro verde sull’imprenditorialità in Europa (2003), alimentare una cultura imprenditoriale fra i giovani, promuovendola innanzi tutto nei sistemi educativi nazionali, attraverso programmi di formazione all’imprenditorialità. Secondariamente è necessario ribilanciare rischi e ricompense del diventare imprenditori. Questo significa attenuare le conseguenze negative del fallimento, distinguendo chiaramente fra fallimento fraudolento e fallimento onesto, al quale deve seguire una seconda opportunità; favorire la cessione di imprese; rivedere gli schemi di protezione sociale a favore degli imprenditori, nonché meccanismi d’incentivo per categorie specifiche, come donne e minoranze etniche, le cui esigenze sono spesso trascurate. Fondamentali sono poi il contesto amministrativo-regolamentare, la normativa fiscale e l’accesso al finanziamento.

In secondo luogo, lo snellimento delle procedure regolamentari e amministrative è indispensabile per creare un ambiente che sia veramente business friendly. A questo proposito la Commissione ha sottolineato l’importanza di limitare il più possibile il ricorso allo strumento legislativo, a livello sia nazionale sia comunitario, e di valutare preventivamente gli effetti, positivi e negativi, che le misure in via d’introduzione potrebbero avere sulle imprese. Nel 2002 la Commissione ha stabilito un nuovo metodo integrato per la valutazione dell’impatto delle nuove misure normative, il Regulatory impact assessment (RIA), che si avvale della consultazione di tutte le parti interessate e contribuisce a una maggiore trasparenza, senza tuttavia pretendere di arrivare a conclusioni e raccomandazioni definitive.

Per quanto riguarda, infine, l’accesso al finanziamento, nel 2000 è stato approvato il Programma pluriennale 2001-2005 a favore delle imprese e dello spirito imprenditoriale e in particolare delle PMI, con una dotazione di 450 milioni di euro destinata a tre settori d’intervento: la rete dei Centri d’informazione europea (Centri euro info, v. sotto), lo sviluppo di politiche migliori (procedura BEST, v. sopra) e gli strumenti finanziari. Il programma non prevede un sostegno diretto alle imprese: la gestione dei 317 milioni di euro destinati agli strumenti finanziari è, infatti, affidata al Fondo europeo per gli investimenti (FEI) che se ne serve per operazioni di venture capital o per concedere garanzie. Per le prime esistono due programmi: lo “sportello d’avviamento” European technology facility (ETF) start-up, che prevede una partecipazione del FEI, pari al 10%-20%, in fondi o incubatori destinati a fornire capitale alle piccole imprese in fase di avviamento; l’azione “capitale d’avviamento” (Seed capital action), che sostiene l’assunzione di giovani manager. Le garanzie sono invece concesse per quattro tipi di operazioni: prestiti, microcredito, partecipazioni e investimenti nelle tecnologia dell’informazione e della comunicazione (TIC). Al di là del Programma 2001-2005, le imprese possono ottenere finanziamenti tramite altri strumenti, quali: i Fondi strutturali, in particolare il Fondo europeo di sviluppo regionale e il Fondo sociale europeo; il programma Innovazione PMI con le sue numerose sottoiniziative; la Banca europea per gli investimenti che, nella sua attività istituzionale, concede prestiti globali indiretti (tramite linee di credito concesse a istituti finanziari) e prestiti individuali diretti (per importi superiori ai 25 milioni di euro), al fine di contribuire allo sviluppo equilibrato dell’Unione.

L’innovazione e la ricerca tecnologica sono intese quali fattori chiave per accrescere la competitività delle imprese. La Commissione promuove l’investimento nella ricerca pubblica e privata, la produzione e l’utilizzo di brevetti, l’applicazione all’industria delle TIC, nonché un legame più stretto tra scienza e industria, tra sistema educativo e mondo imprenditoriale. La politica dell’innovazione è al cuore della Strategia di Lisbona ed è principalmente finanziata dal Programma quadro di ricerca e sviluppo tecnologico. In particolare, la Commissione vuole incoraggiare la diffusione dell’e-commerce e l’accesso via internet alle amministrazioni statali dei paesi membri (cosiddetta on-line administration). Per consolidare il coordinamento tra Stati membri e rafforzare un approccio sistemico tra le attività collegate alla ricerca, all’industria e al mercato interno, è stato istituito nel 2002 un apposito Consiglio competitività, cui la Commissione presenta periodiche relazioni sui progressi compiuti.

Infine, quinto aspetto della politica industriale europea, la Commissione favorisce lo sviluppo dei servizi di sostegno alle imprese e agevola l’accesso agli stessi nonché l’accesso alle reti comunitarie di sostegno e di consulenza alle imprese. I servizi collegati alle imprese impiegano il 55% degli occupati dell’Unione europea e rappresentano un fattore chiave per la competitività delle imprese europee. La Commissione ha inoltre creato, nell’ambito dell’iniziativa Business to Europe (B2Europe), varie reti di sostegno alle imprese europee. Tra queste la più diffusa è quella dei Centri euro info o Eurosportelli, istituita nel 1987, che informa, assiste e consiglia le imprese su tutte le questioni comunitarie, specialmente in materia di finanziamenti, ma funge anche da interfaccia tra attori locali e Commissione. Altri sportelli, con competenze più settoriali, sono i Centri di collegamento per l’innovazione, le organizzazioni per la promozione delle tecnologie energetiche, i Centri europei d’impresa e d’innovazione, i servizi pubblici dell’occupazione.

La politica industriale europea riconosce l’importanza delle PMI (circa 20 milioni in Europa) come motore dell’innovazione e dell’occupazione, grazie alla loro dinamicità e capacità di adattarsi ai cambiamenti di mercato. La Commissione sostiene lo sviluppo delle PMI attraverso misure volte a eliminare gli ostacoli e le difficoltà che possono derivare dalle piccole dimensioni. La già citata Carta europea per le piccole imprese (2000), in particolare, impegna i governi nazionali e la Commissione a migliorare il contesto in cui operano le PMI sulla base di 10 linee d’azione, che sostanzialmente esplicitano gli obiettivi della Strategia di Lisbona. Nel dicembre 2001 è stata inoltre creata la posizione di “inviato speciale della Commissione per le PMI”, con il compito di assicurare che gli interessi e bisogni specifici delle PMI siano presi in debita considerazione nelle varie fasi del Processo decisionale comunitario.

Infine, la politica per le imprese non può limitarsi a un’azione strettamente europea, ma, in un mondo ove i processi economici sono sempre più integrati e transnazionali, deve necessariamente estendersi anche alla cooperazione internazionale e al dialogo con i partner principali dell’Unione. Specifiche iniziative comunitarie promuovono la collaborazione industriale con determinate aree geografiche: Asia-invest e AL-invest per la cooperazione tra imprese europee e imprese asiatiche o latinoamericane; la cooperazione industriale UE-MED con i paesi della sponda sud del Mediterraneo nell’ambito del Processo di Barcellona; il Centro per lo sviluppo dell’impresa (CDE), finanziato dal Fondo europeo di sviluppo, per la promozione industriale negli Stati dell’Africa sub sahariana, Carabi e Pacifico (ACP); il Centro UE-Giappone per la cooperazione industriale. Inoltre sono state create nel corso degli anni diverse tavole rotonde geografiche che riuniscono periodicamente i rappresentanti del settore industriale europeo ed estero, ma anche funzionari nazionali e comunitari, per uno scambio di vedute in materia industriale (ad esempio il Forum per le imprese UE-MERCOSUR o il Dialogo transatlantico tra imprese).

La politica industriale gioca dunque un ruolo importante nel migliorare la competitività dell’Unione e deve saper rispondere alle sfide imminenti. Non a caso dopo cinque anni di implementazione, non soddisfatto dei risultati raggiunti, il Consiglio europeo ha deciso nel 2005 di ridare un nuovo vigore alla Strategia di Lisbona per la crescita e l’occupazione, focalizzandosi sugli aspetti della produttività, dell’occupazione e della conoscenza, concentrandosi su un numero minore di obiettivi e di azioni comuni e semplificando maggiormente la struttura di coordinamento.

Elisabetta Holsztejn (2007)