Procedura di codecisione
Disciplinata dall’art. 251 del Trattato istitutivo della Comunità europea (CE; già art. 189B) (v. Trattati di Roma), la procedura di codecisione rappresenta l’unica procedura legislativa in cui il Parlamento europeo e il Consiglio dei ministri sono effettivamente posti su un piano di sostanziale parità.
Introdotta dal Trattato di Maastricht, la procedura di codecisione ha conosciuto una notevole espansione con il Trattato di Amsterdam, che ha trasferito nell’ambito di questa procedura quasi tutte le materie che prima ricadevano sotto l’iter della Procedura di cooperazione, e un ulteriore ampliamento dell’ambito di applicazione in seguito al Trattato di Nizza.
La procedura di codecisione si articola in tre fasi principali. Nella prima fase, la Commissione europea presenta la proposta normativa al Consiglio e al Parlamento europeo, il quale formula un proprio Parere in cui può proporre o meno emendamenti (c.d. “prima lettura”). Il Consiglio, deliberando a Maggioranza qualificata, può adottare l’atto se accetta integralmente gli emendamenti proposti dal Parlamento (v. Commissioni parlamentari) (oppure se non vi sono emendamenti); in caso contrario, il Consiglio adotta una “posizione comune” che viene sottoposta nuovamente all’esame del Parlamento (c.d. “seconda lettura”).
Nella seconda fase, in “seconda lettura”, il Parlamento entro tre mesi può approvare la “posizione comune” o non pronunciarsi, e in entrambi i casi il Consiglio adotterà l’atto in conformità alla “posizione comune”, oppure può respingere la “posizione comune” a maggioranza assoluta dei suoi membri, e in tal caso la procedura si interrompe. In alternativa, il Parlamento può emendare la “posizione comune”, a maggioranza assoluta dei suoi membri; in tal caso, previo parere della Commissione, il Consiglio, entro tre mesi dalla ricezione degli emendamenti, può o approvare tutti gli emendamenti – a maggioranza qualificata se questi sono stati accettati dalla Commissione, all’unanimità in caso contrario (v. Voto all’unanimità) – e quindi adottare l’atto secondo tale formulazione ovvero, in difetto, è tenuto a convocare un “Comitato di conciliazione”.
Nella terza fase, il Comitato di conciliazione attivato dal Consiglio è composto dai membri del Consiglio medesimo o dai loro rappresentanti e da un medesimo numero di rappresentanti del Parlamento e ha il compito di predisporre un testo di compromesso (“Progetto comune”), alla cui stesura partecipa anche la Commissione in funzione di mediatore tra le posizioni del Consiglio e del Parlamento. Il funzionamento del Comitato di conciliazione è disciplinato dalla Dichiarazione comune del 4 maggio 1999 sulle modalità pratiche della nuova procedura di codecisione. Il Comitato di conciliazione dispone di sei settimane dalla sua convocazione per giungere a un accordo sul Progetto comune, che deve essere approvato a maggioranza qualificata dai membri del Consiglio o dai loro rappresentanti e dalla maggioranza dei rappresentanti del Parlamento. Qualora non venga raggiunto l’accordo sul Progetto comune, la procedura si interrompe e l’atto si considera non adottato. Qualora, invece, sia approvato dal Comitato di conciliazione il Progetto comune, il Consiglio e il Parlamento hanno un termine di sei settimane dalla scadenza del tempo concesso al Comitato di conciliazione per adottare l’atto secondo il Progetto Comune (il Parlamento a maggioranza assoluta dei voti espressi, il Consiglio a maggioranza qualificata); se una delle due istituzioni non approva il Progetto comune entro tale termine, l’atto si considera non adottato.
Nell’originaria formulazione del Trattato di Maastricht, la procedura di codecisione era più complessa, prevedendo “tre letture”. Successivamente alla posizione comune del Consiglio, il Parlamento poteva dichiarare, a maggioranza assoluta dei suoi membri, di respingere la “posizione comune” e il Consiglio poteva – senza però averne l’obbligo – convocare il Comitato di conciliazione. Il Parlamento poteva in seguito confermare (sempre a maggioranza assoluta dei suoi membri) di respingere la posizione comune, determinando la non adozione dell’atto, o proporre emendamenti, comunicando il testo emendato al Consiglio e alla Commissione; con ciò la “seconda lettura” poteva ritenersi conclusa. A questo punto il Consiglio poteva o approvare gli emendamenti del Parlamento e adottare l’atto oppure, qualora non avesse inteso approvare gli emendamenti del Parlamento, il suo presidente era tenuto a convocare il Comitato di conciliazione (c.d. “terza lettura”). Il Trattato di Amsterdam, presumibilmente in considerazione del maggior numero di materie rispetto le quali trova applicazione tale procedura, ne ha snellito l’iter, sopprimendo la “terza lettura”.
Il Trattato che adotta una Costituzione europea riprende senza alcuna modifica sostanziale la procedura di codecisione, denominandola “procedura legislativa ordinaria” (artt. I-34 e III-396) ed estendendone notevolmente il campo di applicazione, nell’ottica di un ampliamento dei poteri del Parlamento europeo.
Raffaele Torino (2007)