La procedura di consultazione (o procedura del parere semplice) è uno dei procedimenti previsti per la formazione degli atti comunitari ed è stata la prima modalità di partecipazione del Parlamento europeo rispetto alla funzione legislativa esercitata dalle altre Istituzioni comunitarie, in particolare dal Consiglio dei ministri.
A differenza della Procedura di cooperazione e della Procedura di codecisione, le cui fasi e passaggi sono chiaramente indicati da specifiche disposizioni generali dei Trattati – Trattato della Comunità europea, TCE (v. Trattati di Roma), Trattato dell’Unione europea, TUE (Trattato di Maastricht) –, la procedura di consultazione non è definita in linea generale nei suoi elementi dai Trattati, in questi semplicemente rinvenendosi una serie di disposizioni che richiedono la consultazione del Parlamento prima dell’adozione di un determinato atto comunitario da parte del Consiglio (si vedano, ad esempio, l’art. 89 TCE in materia di aiuti di Stato e l’art. 48 TUE in materia di modifica dei Trattati). Negli anni si è affermata la prassi per cui il Parlamento è consultato sempre, e non solo nei casi in cui la consultazione è prevista nei Trattati. La procedura di consultazione prende formalmente inizio con l’invio, da parte del presidente del Consiglio in carica (v. Presidenza dell’Unione europea), di una lettera ufficiale di trasmissione della proposta della Commissione europea al Parlamento, sebbene la Commissione invii informalmente le sue proposte al Parlamento prima che questi ne sia formalmente investito dal Consiglio.
Essa può essere di due tipi: facoltativa, nel qual caso l’atto normativo può essere adottato dal Consiglio anche senza che al Parlamento venga richiesto di esprimere il proprio Parere, oppure obbligatoria, nel qual caso il Parlamento deve essere posto in grado di esprimere il proprio parere. La mancata consultazione del Parlamento dà luogo all’annullamento dell’atto considerato (v. le sentenze della Corte di giustizia n. 138/79, Roquette Frères c. Consiglio, in “Raccolta della giurisprudenza”, 1980, p. 3333, e n. 139/79, Maizena c. Consiglio, ibid., 1980, p. 3393); la Corte di giustizia delle Comunità europee (v. Corte di giustizia dell’Unione europea) ha peraltro stabilito che gli effetti dell’atto annullato restano in vigore sino a quando il Consiglio non abbia provveduto a regolare la materia con una nuova normativa (v. la sentenza della Corte di giustizia C-392/95, Parlamento europeo c. Consiglio).
In tutte e due le ipotesi il parere espresso dal Parlamento non è vincolante, ossia non obbliga nei contenuti né la Commissione, che non è tenuta ad adeguare la sua proposta alle osservazioni del Parlamento, né il Consiglio, che può adottare l’atto normativo non conformandosi alle indicazioni del Parlamento.
Sebbene il parere del Parlamento non sia vincolante, specie prima dell’introduzione delle procedure di cooperazione e codecisione, la procedura di consultazione costituiva lo strumento principale per la realizzazione di un equilibrio istituzionale tra la Commissione (organo proponente), il Consiglio (organo decisionale) e il Parlamento, principale organo rappresentativo del popolo europeo.
Nel tempo la Corte di giustizia ha sancito alcuni principi che hanno integrato le scarne dizioni dei Trattati istitutivi: la consultazione del Parlamento è obbligatoria allorché si può scegliere tra una base giuridica per l’adozione dell’atto che non prevede la consultazione e una che la prevede; in questo caso, qualora si sia scelta la base giuridica che non prevede la consultazione, l’atto può essere impugnato; non è sufficiente che il Consiglio abbia richiesto al Parlamento di esprimere il proprio parere, ma è necessario che il Parlamento disponga di un ragionevole periodo di tempo per esprimerlo; qualora il Parlamento non formuli il proprio parere entro il predetto ragionevole periodo di tempo, allora esso non potrà obiettare al Consiglio l’inosservanza della procedura; il parere deve essere dato su un testo che nella sostanza rispecchi quello successivamente adottato dal Consiglio; quindi, nell’ipotesi in cui il Consiglio intenda apportare modifiche sostanziali al testo su cui il Parlamento ha già espresso il proprio parere, sarà necessaria una nuova consultazione del Parlamento.
Gli articoli dal 70 al 73 del regolamento interno del Parlamento disciplinano il seguito da dare al parere espresso dal Parlamento. È prevista la possibilità di sollecitare la Commissione a esaminare gli emendamenti proposti dal Parlamento e, qualora la Commissione rigetti la proposta, il presidente del Parlamento invita il Consiglio a ritirarla.
In ogni caso, una volta acquisito il parere del Parlamento, il Consiglio può deliberare sulla proposta della Commissione, potendola modificare solo con Voto all’unanimità (art. 250 TCE), sicché, in pratica, un accordo politico tra la Commissione e un solo Stato membro basterà alla Commissione per impedire che la propria proposta venga modificata.
Il Trattato che adottava una Costituzione europea, nell’ottica di una semplificazione delle procedure di adozione dei vari atti comunitari, raggruppava sotto la denominazione di “procedure legislative speciali” le attuali procedure di cooperazione e di consultazione (v. art. I-34), cui si poteva far ricorso solo nei casi esplicitamente previsti dal Trattato (ad esempio, in materia di Giustizia e affari interni, bilancio comunitario (v. Bilancio dell’Unione europea), o per aspetti precisi di alcune politiche come le misure ambientali di natura fiscale (v. anche Politica ambientale), i programmi di ricerca e di sviluppo tecnologico (v. anche Politica della ricerca scientifica e tecnologica), la sicurezza sociale e la protezione sociale dei lavoratori (v. Politica sociale).
Raffaele Torino (2007)