Procedura di cooperazione
Prevista dall’attuale art. 252 del Trattato istitutivo della Comunità europea (v. Trattati di Roma) (TCE; già art. 189C), la procedura di cooperazione è stata istituita dall’Atto unico europeo nel 1987 e confermata dal Trattato di Maastricht, con lo scopo di rafforzare il ruolo del Parlamento europeo nell’ambito del processo di adozione degli atti comunitari. Tale procedura, seppure preveda un notevole livello di coinvolgimento del Parlamento nell’adozione degli atti comunitari, lascia peraltro l’ultima parola al Consiglio (v. Consiglio dei ministri) in merito all’adozione dell’atto.
La procedura di cooperazione dispone una doppia lettura del Parlamento in merito agli atti che il Consiglio deve emanare. Durante la “prima lettura” il Parlamento esamina la proposta della Commissione (v. Commissione europea) ed esprime il proprio Parere su questa, eventualmente proponendo delle modifiche. In seguito, la proposta della Commissione e il parere del Parlamento vengono trasmessi al Consiglio, il quale adotta una “posizione comune” a Maggioranza qualificata, ossia il testo dell’atto che, a suo giudizio e tenendo conto della proposta iniziale della Commissione e del parere e delle proposte di modifica del Parlamento, è da adottarsi in via definitiva. Successivamente, la “posizione comune” viene comunicata per la “seconda lettura” al Parlamento, assieme alle motivazioni che hanno indotto il Consiglio ad adottare quella specifica “posizione comune” e alla posizione della Commissione sulla questione. Entro tre mesi dalla comunicazione della posizione comune, in “seconda lettura”, il Parlamento ha tre possibilità. Può approvare la “posizione comune” o non pronunciarsi entro il termine stabilito; in tal caso il Consiglio adotta l’atto conformemente alla “posizione comune”. In alternativa, può respingere la “posizione comune” a maggioranza assoluta dei suoi membri, nel qual caso il Consiglio potrà adottare l’atto secondo la “posizione comune” solamente con voto unanime (v. Voto all’unanimità). È evidente l’importanza di questa disposizione nell’ampliamento del ruolo del Parlamento, poiché è difficile che il Consiglio riesca ad adottare all’unanimità una proposta inizialmente votata a maggioranza qualificata e poi respinta dal Parlamento. Infine, può apportare emendamenti alla “posizione comune” a maggioranza assoluta dei suoi membri, al fine di ripristinare, in modo totale o parziale, la posizione approvata dal Parlamento in “prima lettura” e assicurare così la coerenza della sua posizione nelle due diverse fasi (art. 80 del regolamento interno del Parlamento).
Nel caso in cui in “seconda lettura” il Parlamento proponga emendamenti alla “posizione comune”, la Commissione riesamina entro un mese la “posizione comune” e trasmette una nuova proposta al Consiglio (la “proposta riesaminata”), corredata degli emendamenti proposti dal Parlamento che ha ritenuto di accogliere, nonché delle motivazioni alla base del rifiuto degli emendamenti proposti dal Parlamento che non ha ritenuto di accogliere. Ricevuta la “proposta riesaminata” dalla Commissione, il Consiglio può, entro tre mesi, adottare a maggioranza qualificata la “proposta riesaminata”, che dunque non conterrà gli emendamenti proposti dal Parlamento e non accolti dalla Commissione; oppure può adottare all’unanimità anche gli emendamenti proposti dal Parlamento e non accolti dalla Commissione nella “proposta riesaminata”; oppure ancora può modificare ulteriormente la “proposta riesaminata” e adottarla all’unanimità.
Qualora nel predetto termine di tre mesi il Consiglio non assuma nessuna delle decisioni appena esaminate, la proposta si intende rifiutata in via definitiva.
La previsione dei termini assai ristretti sopra visti, che costituisce una delle peculiarità di questa procedura, è stata generata dall’intenzione di indurre le istituzioni interessate al buon esito della procedura ad essere più disponibili al compromesso con le altre istituzioni (v. anche Istituzioni comunitarie). Un punto debole della procedura è tuttavia rappresentato dalla circostanza che il termine di tre mesi non si applica all’adozione della “posizione comune” da parte del Consiglio.
In ogni caso, il Trattato di Amsterdam ha sensibilmente ridotto l’ambito di applicazione di tale procedura, oggi utilizzabile solo in tema di politica economica e monetaria (v. anche Unione economica e monetaria) (art. 106 TCE, armonizzazione delle denominazioni e delle caratteristiche tecniche delle monete; art. 103 TCE, precisazione delle definizioni per l’applicazione dei divieti gravanti sugli Stati e le amministrazioni pubbliche ai sensi degli artt. 101 e 103 TCE; art. 102 TCE, precisazione delle definizioni necessarie per l’applicazione del divieto di facilitazioni creditizie; art. 99 TCE, modalità delle procedure di sorveglianza multilaterale).
Il Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa (v. Costituzione europea), nell’ottica di una semplificazione delle procedure di adozione dei vari atti comunitari, ha raggruppato sotto la denominazione di “procedure legislative speciali” le attuali procedure di cooperazione e di consultazione (v. Procedura di consultazione) (v. art. I-34), cui si potrà far ricorso solo nei casi esplicitamente previsti dal Trattato – ad esempio in materia di Giustizia e affari interni, bilancio (v. Bilancio dell’Unione europea), o per aspetti precisi di alcune politiche come le misure ambientali di natura fiscale (v. anche Politica ambientale), i programmi di ricerca e di sviluppo tecnologico (v. Politica della ricerca scientifica e tecnologica), la sicurezza sociale e la protezione sociale dei lavoratori (v. Politica sociale).
Raffaele Torino (2007)