Introduzione: la cooperazione euromediterranea
Viene chiamato “Processo di Barcellona” il processo di cooperazione euromediterranea avviato dall’Unione europea (UE) al fine di instaurare un partenariato globale con i paesi del bacino del mar Mediterraneo, inauguratosi con la Conferenza ministeriale svoltasi a Barcellona il 27 e 28 novembre 1995. Alla Conferenza parteciparono i 15 paesi membri dell’UE e 12 Stati delle coste meridionali del Mediterraneo (Algeria, Cipro, Egitto, Israele, Giordania, Libano, Malta, Marocco, Siria, Tunisia, Turchia e Autorità palestinese) e, in qualità di invitati, la Lega degli Stati arabi, l’Unione del Maghreb arabo (UMA) – organizzazione costituitasi nel 1989 tra Algeria, Libia, Marocco, Mauritania e Tunisia con il Trattato di Marrakech – e la Mauritania, in quanto membro di quest’ultima organizzazione regionale. In tale occasione, i 27 Stati hanno sottoscritto la Dichiarazione di Barcellona che prevede l’obiettivo di garantire la sicurezza nella regione del Mediterraneo attraverso tre aree di intervento (cooperazione politica e di sicurezza, cooperazione economico-finanziaria e cooperazione sociale, culturale e umana) allo scopo di realizzare uno spazio euromediterraneo di libero scambio entro il 2010 e un programma di lavoro comune. A seguito dell’Allargamento dell’UE avvenuto il 1° maggio 2004 con l’ingresso di dieci nuovi paesi, due paesi terzi mediterranei o PTM (Cipro e Malta) sono divenuti Stati membri dell’UE. Dopo l’adesione di Bulgaria e Romania, dal 2007 il Partenariato euromediterraneo (Euro-Mediterranean partnership, Euromed) coinvolge 39 paesi (27 paesi membri dell’UE e 12 PTM – Algeria, Egitto, Israele, Giordania, Libano, Marocco, Autorità palestinese, Siria, Tunisia e i tre paesi candidati all’ingresso nell’UE, Croazia, ex Repubblica iugoslava di Macedonia e Turchia).
Le relazioni euromediterranee della Comunità economica europea fino agli anni Sessanta
I rapporti tra la Comunità europea (CE) (v. Comunità economica europea) e l’area mediterranea rientrano nel settore della cooperazione allo sviluppo (v. anche Politica europea di cooperazione allo sviluppo) e delle relazioni esterne (v. anche Politica estera e di sicurezza comune), e sono stati influenzati dalle relazioni esistenti tra gli Stati europei (nonché, per lo più, dai precedenti legami coloniali di alcuni di essi, in particolare della Francia) e i paesi extracomunitari del Maghreb (Marocco, Algeria e Tunisia) e del Mashreq (Egitto, Giordania, Israele, Libano, Siria, Giordania, Autorità palestinese). Attraverso la Politica commerciale comune della Comunità, che consente la conclusione di accordi per la regolazione del commercio estero, essa ha progressivamente stabilito accordi differenziati con singoli paesi: dagli accordi di Associazione con la Grecia (1962) e la Turchia (1964), in previsione di una futura adesione alla Comunità, ad accordi commerciali preferenziali di varia natura. La peculiarità del rapporto tra CE e area mediterranea – sulla base dell’art. 310 del Trattato della Comunità economica europea (v. Trattati di Roma) –, a differenza di quello con altri paesi in via di sviluppo come, ad esempio, gli Stati dell’Africa sub sahariana, Carabi e Pacifico (ACP) – regolati sulla base degli artt. 182-187 del Trattato CEE –, è dovuta tanto alla vicinanza geografica tra Comunità e PTM quanto alla compresenza tra i paesi del Mediterraneo di Stati europei, africani e asiatici e dalla necessità di garantire la sicurezza e la pace affrontando la complessità e la varietà di questioni politiche, economiche, sociali e culturali. Negli anni Sessanta prevalsero i rapporti bilaterali tra Stati europei e PTM, e soltanto nei primi anni del decennio successivo la CE iniziò a valutare un approccio complessivo e strutturato alle relazioni euromediterranee.
Dalla Politica mediterranea globale (PMG) alla Politica mediterranea rinnovata (PMR)
Nel 1971 il Parlamento europeo (PE) chiese la promozione di una politica unitaria e coerente nei confronti dei PTM e, sulla base di una proposta della Commissione europea si giunse, durante il Consiglio europeo di Parigi (19-21 ottobre 1972), al lancio della Politica mediterranea globale (PMG) per il periodo 1976-1990, che intendeva superare la fase degli accordi commerciali sostituendola con un quadro giuridico e politico unitario nel quale inserire la cooperazione economica, politica, sociale e culturale. Questo tentativo di rafforzare i legami con i PTM, che prevedeva entro il 1° luglio 1977 la rimozione delle barriere per il commercio dei prodotti industriali, a eccezione di quelli tessili e del petrolio raffinato, nonché l’apertura della Comunità a prodotti agricoli del Maghreb, la cooperazione allo sviluppo in termini di cooperazione finanziaria e tecnica e l’individuazione di organismi comuni, naufragò ben presto di fronte a difficoltà e ostacoli dovuti alle crisi internazionali quali quella petrolifera ed energetica del 1973-1974 e del 1979 e alle divergenze manifestatesi tra i paesi della Comunità (il Regno Unito non voleva che fossero messe a rischio le sue relazioni privilegiate con i paesi del Commonwealth; l’Italia e la Francia erano preoccupate di difendersi dalla concorrenza che i PTM potevano esercitare nei settori agricolo e tessile danneggiando le loro economie). A seguito di questa situazione di stallo, aggravatasi con l’ingresso nella Comunità di alcuni paesi europei mediterranei (la Grecia nel 1981, la Spagna e il Portogallo nel 1986), e della creazione dei Programmi integrati mediterranei (PIM), volti a favorire la coesione territoriale e a ridurre i divari tra le diverse regioni della CE ma che finirono per approfondire i divari sociali ed economici tra i PTM e gli Stati comunitari, si affermò l’esigenza di ravvivare la cooperazione euromediterranea. Nacque così la Politica mediterranea rinnovata (PMR), decisa il 18 dicembre 1990 e preceduta nel mese di giugno dalla comunicazione “Un nuovo profilo per la politica mediterranea: proposte per il periodo 1992-1996” della Commissione europea (comunicazione 812/90), alla quale si affiancava parallelamente il forum informale di collaborazione denominato Gruppo 4+5, costituito da quattro paesi comunitari (Francia, Italia, Portogallo e Spagna) e dai cinque paesi dell’UMA allo scopo di potenziare iniziative comuni (soprattutto in campo ambientale) e dal 1991 allargatosi anche a Malta divenendo così il Gruppo o Foro 5+5. La PMR, attivata nel 1992, prevedeva programmi multilaterali di cooperazione sia tra paesi comunitari e PTM, sia tra questi ultimi, investendo molti settori d’intervento – dal trasferimento tecnologico (programmi Med-Campus e Avicenne) al campo culturale, dallo sviluppo economico delle piccole e medie imprese (programma Med-Invest) a quello urbano (Med-Urbs), dal potenziamento dei mass media (programma Med-Media), alla tutela dell’ambiente (programmi Metap e Mast).
La Conferenza e la Dichiarazione di Barcellona: i settori d’intervento del partenariato euromediterraneo
Nell’ottobre 1994 la Commissione europea formulò la proposta di rivedere integralmente i rapporti tra UE e PTM dando vita a un partenariato (comunicazione 427/94) e il Consiglio europeo di Essen (9-10 dicembre 1994) approvò una strategia per il Mediterraneo basata su questa indicazione, anche al fine di riequilibrare l’attenzione verso i rapporti euromediterranei rispetto a quelli verso l’Europa centro orientale a seguito della svolta impressa nel 1989 dalla caduta del comunismo nei paesi di quest’area.
La Conferenza e la Dichiarazione di Barcellona costituiscono l’avvio di un processo di cooperazione multilaterale globale, complementare alle intese bilaterali già stipulate tra i paesi partecipanti tra i quali figuravano Stati coinvolti in conflitti in corso (Turchia e Grecia riguardo alla questione cipriota e Israele e Autorità palestinese in Medio Oriente). Il processo delineato, basato sul dialogo politico, si caratterizzava per l’apertura ad altri soggetti e temi e per una logica incrementale. La cooperazione politica e di sicurezza per la creazione di uno spazio di pace e stabilità prevedeva di istituire un confronto generale e regolare a integrazione delle relazioni bilaterali già inserite negli accordi di associazione e il perseguimento di obiettivi comuni per garantire la stabilità, impegnando le parti ad agire nel rispetto della Carta delle Nazioni Unite, della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo e di altri trattati regionali e internazionali, con particolare attenzione per la tutela dei Diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (comprese la libertà di espressione, la libertà di associazione, la libertà di pensiero, di coscienza e di religione) stimolando gli scambi di informazioni su questi argomenti nonché in tema di razzismo e xenofobia (v. anche Lotta al razzismo e alla xenofobia). Alcuni impegni di ordine generale, da assumersi nel rispetto della sovranità e dell’autonomia degli Stati, erano sottolineati come parte integrante del partenariato politico: lo sviluppo dello Stato di diritto e della democrazia; il rispetto dell’integrità territoriale degli Stati; la Lotta contro il terrorismo, la Lotta contro la criminalità internazionale e contro la droga; la promozione della sicurezza regionale; la non proliferazione di armi nucleari, chimiche e biologiche; il controllo degli armamenti e il rispetto degli accordi sul disarmo; l’eliminazione di armi di distruzione di massa in Medio Oriente.
Un secondo settore di intervento, il partenariato economico-finanziario, era concepito per promuovere lo Sviluppo sostenibile, il miglioramento delle condizioni di vita delle popolazioni, la crescita del livello occupazionale e la cooperazione e l’integrazione regionale, provvedendo alla creazione di zone di libero scambio mediante specifici accordi euromediterranei e accordi tra i PTM per l’abolizione graduale e concordata delle tariffe doganali e degli altri ostacoli al libero commercio riguardo ai prodotti manifatturieri, al fine di giungere alla liberalizzazione del commercio agricolo e dei servizi. Era inoltre prevista una cooperazione economica in diversi settori e il rafforzamento dell’aiuto finanziario dell’UE ai PTM. L’adozione di norme sulla certificazione e la tutela dei diritti di proprietà intellettuale, industriale e di concorrenza, l’introduzione di regole necessarie per lo sviluppo di politiche volte a realizzare l’economia di mercato e l’integrazione economica con attenzione ai bisogni sociali locali, la riforma e la modernizzazione delle strutture economiche e sociali al fine di attutirne gli impatti sociali, l’implementazione di meccanismi tesi a sviluppare trasferimenti di tecnologia, l’armonizzazione di tecniche e procedure doganali e l’eliminazione di restrizioni non necessarie allo scambio di prodotti agricoli costituivano le principali misure da attuare. Venivano indicati anche alcuni ambiti prioritari in cui agire per creare le condizioni di una cooperazione economica effettiva (investimenti e risparmio privato, trasferimenti tecnologici, cooperazione regionale, cooperazione industriale e sostegno alle piccole e medie imprese, cooperazione per la difesa dell’ambiente, promozione del ruolo della donna, azioni comuni per la gestione e la tutela delle risorse ittiche, cooperazione per la gestione delle risorse idriche e in campo energetico, ristrutturazione del settore agricolo). La Dichiarazione sottolineava l’impegno delle parti a programmare interventi prioritari anche in altri settori (trasporti, informatica, telecomunicazioni, pianificazione territoriale, cooperazione tra enti e comunità locali, statistica).
Il terzo asse del Processo di Barcellona è rappresentato dal partenariato sociale, culturale e umano, che si fonda sul riconoscimento e il rispetto reciproco di popoli, culture e religioni diverse e sulla valorizzazione degli elementi comuni a civiltà differenti, e prevede altresì lo sviluppo del dialogo interculturale e religioso, il potenziamento del ruolo dei mass media nel favorire la conoscenza delle culture del Mediterraneo, lo sviluppo di programmi e risorse nel campo culturale al fine di aumentare scambi, attività educative, progetti comuni, il rafforzamento dei servizi sanitari e del rispetto dei diritti sociali, e la necessità di coinvolgere la società civile nel dialogo euromediterraneo e nella cooperazione decentrata.
Governance, accordi, programmi e organi del partenariato euromediterraneo
Il partenariato euromediterraneo costituisce un regime internazionale singolare di governance senza un’autorità superiore, dotato di sistemi regolatori tipici del diritto internazionale, ma con un orientamento teso a fare acquisire ai PTM sistemi giuridici convergenti con quello sovranazionale comunitario. Esso si manifesta sia attraverso attività bilaterali tra l’UE e ciascun PTM, sia mediante il dialogo regionale, coinvolgendo l’UE e diversi paesi PTM. Nell’ambito degli accordi bilaterali figurano, tra i più importanti, gli accordi di associazione euromediterranei, conclusi, a partire da quello sottoscritto con la Tunisia nel 1998, con tutti i PTM (incluso quello siglato ad interim con l’Autorità palestinese) a eccezione della Siria (con la quale i negoziati tecnici per l’accordo si sono comunque conclusi nel 2004). Questi accordi hanno sostituito gli accordi preesistenti tra CE e PTM (a eccezione di quelli stipulati con Cipro, Malta e Turchia), hanno previsto istituzioni specifiche (il Consiglio d’associazione chiamato ad adottare misure vincolanti i paesi contraenti, coadiuvato dal Comitato di associazione e dalla Conferenza parlamentare di associazione) e presentano rilevanti differenze tra loro riguardo a modalità, tempi e livello di cooperazione in vista della realizzazione di un’area di libero scambio. Attraverso la dimensione regionale il Processo di Barcellona cerca invece di sviluppare una cooperazione multilaterale e strategica che ha trovato parziale realizzazione soprattutto con l’accordo siglato da Egitto, Giordania, Marocco e Tunisia con la Dichiarazione di Agadir del maggio 2001, entrato in vigore dal gennaio 2003, e aperto a future adesioni (processo di Agadir) e suggellato con l’accordo firmato nella stessa località il 25 febbraio 2004 al fine di creare un’ampia zona di libero scambio tra questi paesi entro il 2010. Altre iniziative in corso degne di nota per le quali sono stati attivati appositi programmi e finanziamenti sono costituite dal tentativo di creare un mercato regionale del gas tra Egitto, Giordania, Libano e Siria (Euro-Arab Masreq Gas Market, EAMGM) e da un analogo sviluppo per la produzione di energia elettrica riguardante i paesi del Maghreb (programma Electric market integration Maghreb 2007-2010).
Allo scopo di far decollare il partenariato euromediterraneo l’UE ha creato, sin dal 1995, il programma Mesures d’accompagnement (MEDA), quale strumento finanziario privilegiato del Processo di Barcellona, che offre misure di supporto tecnico e sostegno finanziario finalizzate alla riforma del sistema economico e sociale dei PTM per la transizione al libero mercato mediante programmi di aggiustamento strutturali e interventi di riforma dell’amministrazione, per lo sviluppo rurale, per l’occupazione e lo sviluppo del settore privato. Il programma MEDA era gestito dalla Direzione generale (DG) Relazioni esterne (già DG1B) della Commissione europea, che aveva il compito di preparare i programmi indicativi triennali in base ai quali l’Ufficio di cooperazione EuropeAid della Commissione europea redigeva i piani di finanziamento annuale e sovrintendeva alle fasi di attuazione dei progetti. Circa l’85% delle risorse distribuite dal programma MEDA (stabilito dal regolamento 1488/96) sono state impiegate negli accordi bilaterali, e soltanto il restante 15% ha interessato la dimensione regionale del partenariato e le spese di funzionamento tecnico degli uffici. Il programma MEDA (nel quale non era più inserita dal 2002 la Turchia, poiché ammessa tra i paesi beneficiari dei finanziamenti stabiliti dalla Direzione generale Allargamento) dopo due fasi (MEDA I, 1995-1999 e MEDA II, 2000-2006, istituito con reg. CE 2698/2000), a seguito dell’inserimento del partenariato euromediterraneo nella politica europea di vicinato o di prossimità dell’UE varata nel 2004 è stato sostituito dallo strumento europeo di vicinato e partenariato (European neighbourhood and partnership instrument, ENPI), previsto all’interno del pacchetto per l’aiuto esterno dell’UE del bilancio comunitario (v. Bilancio dell’Unione europea) per il periodo 2007-2013. Dotato complessivamente di circa 12 miliardi di euro, dei quali circa il 10% destinati a progetti regionali, esso comprende anche lo strumento di preadesione (Instrument for pre-accession assistance) (v. Strategia di preadesione) e lo strumento di cooperazione allo sviluppo (Development cooperation instrument). Anche la Banca europea per gli investimenti (BEI), sotto forma di prestiti, contribuisce finanziariamente al partenariato, in particolare tramite il Fondo euromediterraneo d’investimento (Facility for Euro-Mediterranean investment and partnership, FEMIP) avviato nel 2002. Tra i progetti regionali finanziati figurano la rete di istituti e di osservatori di politica estera Euromesco, il network di istituti di ricerca economica Femise, la cooperazione in materia statistica (Medstat I e II), la rete di associazioni imprenditoriali Unimed, il programma d’azione a breve e a medio termine per l’ambiente (Short and medium-term priority environmental action programme, SMAP I, II e III), un sistema informativo per la gestione delle risorse idriche locali (Enwis/Semide) e il programma MEDA Water, il programma culturale Euromed heritage (avviato nel 1998 e che, attivo dall’anno successivo, è giunto alla terza fase di finanziamento e sviluppo), il programma euromediterraneo per la gioventù (Euromed youth programme), il programma Euromed visiteurs per i rappresentanti dei mass media e delle organizzazioni non governative (ONG), e le attività Euromed d’informazione e diffusione. Ulteriori sviluppi più recenti riguardano programmi per investimenti nelle telecomunicazioni, nella cooperazione energetica, per il miglioramento dell’efficienza e della regolazione in campo energetica, per la promozione dell’energia solare, per il miglioramento della protezione civile e per la prevenzione dell’influenza aviaria e delle epidemie nell’area mediterranea. Sin dalla nascita del partenariato è anche attivo il Forum civile Euromed, costituito da associazioni e ONG al fine di promuovere il dialogo euromediterraneo tra istituzione e società civile (v. anche Forum della società civile), svoltosi per la prima volta a Barcellona dal 29 novembre al 1° dicembre 1995 e, successivamente, in concomitanza delle conferenze ministeriali euromediterranee.
La Dichiarazione di Barcellona prevedeva riunioni periodiche dei ministri degli Esteri dei paesi partecipanti al partenariato euromediterraneo, istituite da un Comitato euromediterraneo per il processo di Barcellona costituito da un alto funzionario per ogni PTM e per la troika dell’UE (un rappresentante dello Stato che detiene la Presidenza dell’Unione europea, un rappresentante dello Stato che succederà a questo nella presidenza, un rappresentante della Commissione europea e l’Alto rappresentante per la Politica estera e di sicurezza comune) nonché, dal 1997, dai rappresentanti di tutti i paesi dell’UE non appartenenti alla troika in qualità di osservatori. Questo Comitato era incaricato di monitorare, valutare lo stato di avanzamento verso gli obiettivi e aggiornare il programma d’azione del Processo di Barcellona, oggetto di verifica durante riunioni tematiche a diversi livelli (ministeriale, funzionari, esperti, ecc.), mediante scambi di esperienze e di informazioni, contatti tra esponenti della società civile e delle istituzioni. Dopo la prima Conferenza euromediterranea di Barcellona sono state convocate otto Conferenze dei ministri degli Esteri del partenariato euromediterraneo. La successiva si è svolta a Malta (15-16 aprile 1997), seguita da quelle di Stoccarda (15-16 aprile 1999) – dove per la prima volta è stata invitata e ha partecipato la Libia in qualità di osservatore, status che ha mantenuto sino a oggi –, Marsiglia (15-16 novembre 2000), Valencia (22-23 aprile 2002), Napoli (2-3 dicembre 2003), Lussemburgo (30-31 maggio 2005), Tampere (27-28 novembre 2006) e Lisbona (5-6 novembre 2007). Oltre a queste, si sono tenute la Conferenze ministeriale ad hoc di Palermo (3-4 giugno 1998) – dove venne presentata la Carta euromediterranea per la pace e la stabilità volta a rafforzare il dialogo politico e a istituire le modalità per la prevenzione e la gestione delle crisi, di cui però la Conferenza di Marsiglia decise di rinviarne l’adozione a data da destinarsi a causa della ripresa del conflitto tra Israele e Autorità palestinese –, la Conferenza dei ministri degli Esteri di Bruxelles (5-6 novembre 2001), gli incontri di mezzo termine dei ministri degli Esteri di Creta (26-27 maggio 2003) e di Dublino (5-6 maggio 2004) e quella dell’Aia (29-30 novembre 2004) convocata per preparare il vertice (v. anche Vertici) del decennale tenutosi a Barcellona il 27 e 28 novembre 2005. Vi sono state inoltre, in particolare negli ultimi anni, diverse riunioni di settore a livello ministeriale, quali quelle dei ministri dell’Economia e delle finanze (la prima tenutasi a Rabat-Skhirat nel giugno 2005) su aspetti del partenariato economico e finanziario (commercio – conferenza di Marsiglia nel luglio 2008 –, industria, ambiente, acqua, società dell’informazione – conferenza del Cairo del febbraio 2008 –, energia, agricoltura e infrastrutture, investimenti e sicurezza degli approvvigionamenti energetici, turismo – conferenza di Fez dell’aprile 2008) e di quello sociale, culturale e umano (cultura – conferenza di Atene del maggio 2008 –, salute, occupazione e lavoro – conferenza di Marakesh del novembre 2008) nonché, più di recente, Per attuare il dialogo tra le varie istituzioni parlamentari dei paesi del Mediterraneo, sulla base del riferimento espresso nella Dichiarazione di Barcellona e su iniziativa del PE, il Forum parlamentare euromediterraneo, fondato nell’ottobre 1998, ha raccomandato nel dicembre 2003 la creazione di un’Assemblea parlamentare euromediterranea (APEM). La Conferenza ministeriale di Napoli, svoltasi nello stesso mese, ne ha sancito la nascita. L’APEM, composta da 250 deputati (120 dell’UE, dei quali 75 designati dai parlamenti nazionali e 45 dal PE, e 120 dei PTM) e articolata in tre Commissioni corrispondenti ai tre settori della Dichiarazione di Barcellona, è dotata di poteri consultivi e si è riunita per la prima volta il 22 e 23 marzo 2004 ad Atene.
Nei primi cinque anni di attuazione molte difficoltà politiche ed economiche, in particolare la rottura del processo di pace avviato tra Israele e Autorità palestinese (processo di Oslo), impedirono il decollo del Processo di Barcellona. Fino al 2000 entrarono in vigore soltanto gli accordi di associazione euromediterranea con la Tunisia, il Marocco, Israele e, in forma provvisoria, con l’Autorità palestinese, e venne utilizzato solo il 26% dei fondi del programma MEDA. Alla Conferenza ministeriale di Valencia, svoltasi nell’aprile 2002, è stato proposto un rilancio del partenariato, con l’adozione di un piano d’azione che riflette lo schema della Dichiarazione di Barcellona. Particolare rilievo è stato dato all’impegno comune nella lotta al terrorismo a seguito dell’attentato alle Torri gemelle di New York dell’11 settembre 2001, all’apertura di un dialogo politico sull’evoluzione della Politica europea di sicurezza e di difesa (PESD), alla costituzione di un quadro strategico per lo sviluppo sostenibile e allo sviluppo della cooperazione regionale nel campo della giustizia, della lotta al crimine organizzato e alla droga e in tema di immigrazione e circolazione delle persone avviata nel 2003. Sono stati altresì previsti comitati e gruppi di lavoro per valutare e sviluppare nuove iniziative, un accordo per la creazione di una fondazione euromediterranea per dialogo tra le culture e le civiltà (costituitasi nel 2004 e con sede ad Alessandria d’Egitto e a Stoccolma e intitolata all’ex ministro svedese degli Affari esteri Anna Lindh, uccisa in un attentato l’anno precedente) e un programma per la gioventù, l’istruzione e i mezzi di comunicazione. Dall’ottobre 2005 è attivo un Centro di informazione Euromed previsto nell’ambito del Programma di comunicazione e informazione regionale finanziato dall’Ufficio Europeaid e volto a divulgare le conoscenze riguardanti il processo euromediterraneo lavorando con i mass media e la società civile.
Le tensioni politiche tra paesi mediterranei (ad esempio in occasione della crisi tra Spagna e Marocco per l’isola di Perejil, sotto la sovranità spagnola occupata temporaneamente, nel luglio 2002, da truppe marocchine e poi evacuate, o in merito ai fondi concessi all’Autorità palestinese dall’UE e contestati da Israele oppure le ben più gravi guerre del Libano nell’estate del 2006, provocata da attacchi di Hezbollah a Israele, e della Striscia di Gaza condotta da Israele contro il partito Hamas tra dicembre 2008 e gennaio 2009) hanno trovato soluzioni o compromessi al di fuori del partenariato euromediterraneo, relegandolo a un ruolo politico marginale. La Commissione europea è intervenuta con una comunicazione del maggio 2003 per imprimere un impulso alle azioni dell’UE al fine di promuovere i diritti umani e la democrazia all’interno del partenariato euromediterraneo (comunicazione 294/2003) recepito alla conferenza di Barcellona del 2005 prevedendo il finanziamento di un apposito meccanismo finanziario rivolto a tale scopo e, nell’ambito della Politica estera e di sicurezza comune (PESC), l’UE ha adottato una strategia comune quadriennale per il Mediterraneo nel giugno 2000 su decisione del Consiglio europeo, rinnovata con l’approvazione, nel giugno 2004, di una Strategia di sicurezza verso il Mediterraneo e il Medio Oriente che offre un quadro generale delle politiche esistenti sia nel partenariato euromediterraneo, sia nei riguardi dei paesi del Consiglio di cooperazione del Golfo e di altri paesi quali l’Iran, l’Iraq e lo Yemen. Tuttavia, nonostante i più recenti sviluppi, nella conferenza di Barcellona del novembre 2005 in occasione del decennale del Processo e dell’Anno mediterraneo proclamato dall’UE, è stato constatato il sostanziale fallimento degli obiettivi del partenariato, evidenziato anche dall’impossibilità di vedere riuniti in un vertice comune tutti i capi di Stato e di governo dei paesi partecipanti a causa della mancata partecipazione delle massime autorità dei paesi arabi (a eccezione di Turchia e Autorità palestinese) e dei contrasti esistenti, in particolare a proposito della distinzione tra terrorismo e lotta di liberazione per il proprio paese, non accettata dall’UE e invece proposta dai paesi arabi. La conferenza ha comunque individuato un programma di lavoro per i successivi cinque anni del partenariato, al cui interno, ai tre settori della Dichiarazione di Barcellona si è aggiunto quello riguardante la giustizia, la sicurezza, l’immigrazione e l’integrazione sociale – con i programmi Euromed Justice I (2005-2007), Euromed Justice II (2008-2011), Euromed Police II (2007-2010), Euromed Migration I (2004-2007) e Euromed Migration II (2008-2011) nonché il già citato programma Euromesco e quelli riguardante il Processo di pace in Medio Oriente e i Seminari di Malta di formazione per i diplomatici sull’europartenariato e sulle istituzioni europee –, e ha adottato un codice di condotta comune per contrastare il terrorismo. Il 14 e 15 novembre 2006 si è tenuta a Istanbul la prima conferenza ministeriale euromediterranea sul rafforzamento del ruolo delle donne nella società che ha lanciato il programma regionale “Donne nella vita economica” per facilitare l’ingresso nel mondo del lavoro delle donne e contribuire alla loro qualificazione professionale.
Considerazioni finali e nascita dell’Unione per il Mediterraneo
Diversi sono stati i punti deboli evidenziati dal partenariato euromediterraneo, tra i quali si possono ricordare l’esito deludente delle politiche di aggiustamento strutturale nei PTM, lo scarso coinvolgimento del settore privato, delle piccole e medie imprese e delle società civili dei PTM nel partenariato, l’applicazione unilaterale, senza un confronto politico aperto euromediterraneo, del principio di condizionalità che lega la cooperazione e i finanziamenti europei verso i PTM al rispetto dei principi di democrazia e dei diritti umani, l’incapacità di dar vita a una vera politica multilaterale regionale nell’intera area, riconducendo nel partenariato anche altri paesi esclusi (ad esempio quelli dei Balcani occidentali).
Nel tentativo di rivedere e rinnovare il processo di cooperazione e integrazione con l’area mediterranea nel 2008 ha preso il via lo sviluppo del progetto di Unione per il Mediterraneo. Sulla scia di un dibattito aperto dall’iniziativa politica del neoeletto presidente francese Nicolas Sarkozy nell’ottobre 2007 con le dichiarazioni riguardanti la proposta di creare un’Unione mediterranea, inizialmente intesa come un’unione politica, economica e culturale basata sulla completa eguaglianza delle parti contraenti senza legami con il Processo di Barcellona, il progetto iniziale è stato rivisto nei primi mesi del 2008, a seguito delle critiche mosse dalle Istituzioni comunitarie riguardo alla sovrapposizione di tale Unione con il partenariato euromediterraneo e dai paesi dell’UE non mediterranei riguardo alla loro potenziale esclusione, portando la Francia riformulare la proposta di organizzazione, ribattezzata Unione per il Mediterraneo, quale entità complementare e integrativa rispetto alla cooperazione euromediterranea. Il Consiglio europeo dell’UE del 13 e 14 marzo 2008 ha approvato il principio di creare un’Unione per il Mediterraneo invitando la Commissione europea a presentare proposte e modalità finalizzate ad attuare questo cambiamento e rafforzare le relazioni multilaterali euromediterranee rendendole più visibili ai cittadini della regione. Partendo da questo impulso, la Commissione europea ha presentato nel maggio 2008 la comunicazione “Processo di Barcellona – Unione per il Mediterraneo” (comunicazione 319 del 2008) che si esprimeva per una continuità degli organismi e delle strutture presenti, prevedendone però un rafforzamento e la creazione di una copresidenza (con un presidente espresso dall’UE ed un altro dai PTM) e un segretariato congiunto. Il 13 e 14 luglio 2008, a Parigi, il capo di Stato francese Nicolas Sarkozy, presidente di turno dell’UE e principale promotore di questo sviluppo sin dal suo insediamento all’Eliseo nel 2007 e artefice del primo accordo intergovernativo (v. anche Cooperazione intergovernativa) in proposito nel vertice tra Francia, Italia e Spagna tenutosi il 20 dicembre 2007 a Roma con la partecipazione dei capi di governo italiano Romano Prodi e spagnolo José Luis Rodríguez Zapatero, ha diretto l’incontro che ha sancito la costituzione dell’Unione per il Mediterraneo (UpM). Tale organizzazione internazionale, dotata effettivamente di una copresidenza affidata a primi ministri (e soltanto temporaneamente, per i primi due anni, in deroga a questa norma, garantita da due capi di Stato, lo stesso Sarkozy e il presidente dell’Egitto Muhammad Hosni Mubarak), ha un proprio Segretariato con sede a Barcellona, incaricato di individuare e promuovere progetti di interesse regionale, subregionale e transnazionale nei diversi settori d’attività. Rispetto al Processo di Barcellona l’Unione per il Mediterraneo si è allargata fino a comprendere 43 paesi: i 27 paesi membri dell’UE, 15 paesi partner del Mediterraneo meridionale e del Medio Oriente (Albania, Algeria, Bosnia-Erzegovina, Croazia, Egitto, Giordania, Israele, Libano, Marocco, Mauritania, Monaco, Montenegro, Autorità palestinese, Siria, Tunisia) e un paese mediterraneo quale membro osservatore (Libia). Finalità principali dell’Unione per il Mediterraneo, evoluzione diretta del Processo di Barcellona e le cui caratteristiche sono state definite con la dichiarazione finale approvata dalla Conferenza dei Ministri degli esteri euromediterranei tenutasi a Marsiglia il 3 e 4 novembre 2008, sono la regolamentazione dell’immigrazione dai PTM, la lotta al terrorismo, la soluzione del conflitto arabo-israeliano e la tutela del patrimonio ecologico mediterraneo. L’organizzazione si è data sei priorità concrete da perseguire negli anni a venire: il disinquinamento del mar Mediterraneo; la costruzione di autostrade marittime e terrestri per migliorare i collegamenti nell’area; il rafforzamento della protezione civile allo scopo di fronteggiare i disastri naturali e quelli causati dall’uomo; la creazione di un piano comune per lo sfruttamento dell’energia solare; lo sviluppo di un’università euromediterranea (inaugurata a Portorose, in Slovenia); un’iniziativa a favore dello sviluppo delle piccole e medie imprese. La bandiera ufficiale dell’Unione per il Mediterraneo è costituita da due strisce orizzontali, quella superiore di colore bianco per simboleggiare il cielo e quella inferiore di colore blu per richiamare il mare.
Gli sviluppi più recenti hanno manifestato diverse difficoltà: il perdurare e l’inasprirsi del conflitto arabo-israeliano con l’invasione di Gaza da parte di Israele alla fine del 2008 ha prodotto uno stallo nel corso del 2009 dovuto alla protesta della copresidenza egiziana verso l’attacco, tradottasi nel blocco del processo di costituzione degli organi istituzionali fino al 12 gennaio 2010 quando è stato nominato alla carica di Segretario dell’UpM l’ambasciatore giordano Ahmed Massa’deh.
La prima inchiesta annuale commissionata dalla Commissione europea all’Istituto Europeo del Mediterraneo (IeMed) al fine di valutare progressi, successi e debolezze del Processo di Barcellona – elaborata all’interno del programma “Promuovere la conoscenza reciproca, la comprensione e la cooperazione tra l’UE e i paesi della Politica di vicinato (EuropeAid/125411/ACT / C/Multi- Lot3), cofinanziato dall’UE nell’ambito del volet regionale dello Strumento europeo di vicinato e partenariato – Instrument européen de voisinage et de partenariat, IEVP, pubblicata nel maggio 2010, ha coinvolto tramite intervista 371 esperti e soggetti provenienti da tutti i paesi dell’UpM che lavorano direttamente nel campo delle relazioni euromediterranee e ha evidenziato rischi di paralisi del partenariato nel medio e lungo periodo legati al conflitto medio orientale, alla scarsità e ai conflitti per l’acqua e alle tensioni sociali che alimentano le migrazioni nell’area mediterranea verso l’UE. Altri punti dolenti riguardanti il partenariato risultano la mancanza di volontà politica nell’attuazione di riforme nei paesi mediterranei, la scarsa integrazione tra gli stati meridionali, mentre vengono fatti risaltare come elementi positivi lo sviluppo della cooperazione e la conoscenza reciproca di culture, religioni e società, il maggior coinvolgimento lobbistico e di organizzazioni della società civile e il miglioramento delle attività economiche (pur senza incrementi occupazionali di rilievo). Il partenariato risulta comunque altamente complesso e differenziato: diverse sono le iniziative e i programmi attivati, ma rimangono da chiarire gravi problemi funzionali e istituzionali legati alle strutture esistenti dell’UpM e al ruolo dell’UE al suo interno.
Giorgio Grimaldi (2010)
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