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Ramadier, Paul

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R. (La Rochelle 1888-Rodez 1961), avvocato, laureato in legge, appartiene a una famiglia di notabili cattolici del Gévaudan. Massone, militante socialista dal 1904 e attivo nel Mouvement coopératif international, il suo feudo elettorale è il bacino carbonifero di Aubin-Decazeville. Nel 1919 è eletto sindaco di Decazeville, nel 1928 è deputato; esercita queste funzioni fino al 1940, ma nel 1933 lascia la Section française de l’Internationale socialiste (SFIO) con i neosocialisti. Fra giugno 1936 e aprile 1938 si susseguono responsabilità ministeriali: come esperto in questioni energetiche è sottosegretario di Stato all’energia nel governo Blum nel giugno 1936; riorganizza il mercato carbonifero e dà un forte impulso allo sviluppo delle altre fonti di energia. Il 10 luglio 1940 rifiuta di votare i pieni poteri al maresciallo Pétain. Nell’aprile 1941 è destituito dalle funzioni di sindaco; solo dopo la Liberazione recupera tutti i suoi mandati e aderisce nuovamente alla SFIO. Tra settembre 1944 e maggio 1945 è ministro per gli Approvvigionamenti del governo guidato da Charles de Gaulle, nel 1946 è relatore del progetto di nazionalizzazione del gas e dell’elettricità.

Nel 1947, nel contesto del Piano Marshall e dell’inizio della Guerra fredda, R., all’epoca primo presidente del Consiglio della IV Repubblica, comincia a manifestare le sue convinzioni europeiste. Fino all’estate del 1947 concepisce un’Europa che includa l’URSS ed è favorevole all’apertura a Est del Piano Marshall, rifiutando l’allineamento sulla politica del contenimento voluta dagli americani. I limiti internazionali e la situazione interna della Francia modificano la sua concezione dell’Europa, che limita gradualmente all’area occidentale (v. Bossuat, 1990). Alla delusione segue la speranza: come frutto delle contingenze storiche l’Europa diventa un orizzonte nuovo, il solo che consenta di uscire dal marasma economico e di assicurare la pace. Presentata come una garanzia di indipendenza, gli permette di giustificare l’adesione al Piano Marshall. Da allora R. difende l’idea di un’Europa che sia la terza forza internazionale fra le due grandi potenze, il fattore di equilibrio che il fallimento dell’ONU rende indispensabile.

Vicepresidente del Conseil français pour l’Europe unie, R. afferma concretamente il suo ruolo nella costruzione europea quando, nel maggio 1948, presiede la commissione politica del Congresso dell’Aia, contro la volontà della SFIO (v. Guillen, 1990). Nel suo rapporto sul progetto di risoluzione pone alcune condizioni all’unione, urgente, dell’Europa: giudicando indispensabile la partecipazione del Regno Unito e sostenendo una politica della porta aperta nei confronti dell’Est europeo, R. sottolinea tuttavia la necessità per i suoi membri di rispondere ai criteri della democrazia politica e sociale, di elaborare una carta europea dei Diritti dell’uomo che includa quelli dei lavoratori e di assicurare lo sviluppo dei paesi d’oltremare. In merito alle istituzioni, ai due eccessi rappresentati ai suoi occhi dal rifiuto di qualsiasi delega della sovranità, da una parte, e dal Federalismo assimilato a “una sorta di colpo di Stato internazionale”, dall’altra, R. oppone la creazione di un’autorità sovranazionale dalle competenze ben definite che prenda le decisioni a maggioranza. Infine si pronuncia a favore della costituzione di un’assemblea europea eletta dai Parlamenti nazionali, consultiva e non legislativa, organo della “voce popolare”, capace di dare impulso alla costruzione europea e di superare le resistenze, giudicate legittime, dei governi.

R., nominato presidente della Commissione istituzionale del Movimento europeo, è al centro dei dibattiti che portano alla nascita del Consiglio d’Europa e nel contempo è un presidente molto attivo del gruppo parlamentare internazionale del Movimento europeo fino al 1951. Il ritorno alle responsabilità ministeriali, in particolare alla Difesa, dal settembre 1948 al novembre 1949 nel governo Queuille, lo porta a partecipare ai negoziati del Patto atlantico, che approva pur insistendo sulla necessità di mantenere il Patto di Bruxelles, presentato come «il principio della creazione di un’unità storica»: nell’ottobre 1949 chiede ai governi una dichiarazione sul mantenimento dei suoi principi essenziali (v. Du Réau, 1990).

L’atteggiamento di R., dal Piano Schuman del maggio 1950 ai Trattati di Roma, presenta due costanti: l’insistenza sulla partecipazione della Gran Bretagna, giudicata indispensabile per equilibrare la potenza della Germania, e le riserve espresse in merito alla sovranazionalità, considerata brutale e irrealistica. Ritenendo impossibile ignorare l’esistenza delle nazioni, R. adotta una «concezione federalista graduale» (v. Gégot, 1990, p. 80). Considera il Piano Schuman «un gesto di portata storica», ma il 26 luglio 1950 comunica all’Assemblea nazionale le sue riserve sul testo in discussione: critica il carattere non democratico dell’Alta autorità, composta di tecnocrati e in pratica priva di responsabilità, mentre manifesta i timori del mondo minerario e siderurgico, si preoccupa delle disparità strutturali tra Francia e Germania e delle conseguenze economiche e sociali di una concorrenza che l’industria francese non è in grado di sostenere. Quindi chiede protezioni e un’integrazione a tappe, per lasciare alle industrie il tempo di adeguarsi. Pur moltiplicando i moniti, riconosce all’atto della ratifica che il progetto primitivo è stato migliorato e, malgrado “le vive preoccupazioni”, finisce per aderirvi.

R. adotta un atteggiamento analogo nei confronti della Comunità europea di difesa (CED). Opponendosi alla ricostituzione di un esercito tedesco, sottolinea il rischio di un’egemonia tedesca all’interno dell’esercito europeo. L’esigenza di contenere la Germania rende necessario dotare l’esercito europeo di un’autorità politica. Quindi accoglie con favore il progetto di comunità politica, per coordinare il “mosaico” delle integrazioni settoriali, ma la cui costituzione, pur ineluttabile, non dev’essere precipitosa. Alla fine R. si associa alla decisione dell’Ufficio esecutivo internazionale del Movimento europeo: rifiutare il trattato metterebbe in pericolo l’idea europea. Quindi è meglio adottarlo e lavorare in seguito per migliorarlo.

Le riserve di R. sulla Comunità europea del carbone e dell’acciaio (CECA) e la CED non passano inosservate: nel 1955 la sua candidatura alla successione a Jean Monnet a capo della CECA viene ritirata dal governo di Edgar Faure. Ma in qualità di ministro degli Affari economici e finanziari nel governo di Guy Mollet, fra 1956 e 1957, è di nuovo in prima linea nei negoziati sui Trattati di Roma. Diffida dell’Euratom e sostiene lo sforzo atomico francese, ma appoggia la creazione del Mercato comune (v. Comunità economica europea), pur esigendo delle garanzie in una congiuntura preoccupante e di fronte alle inquietudini degli ambienti economici: l’Armonizzazione degli oneri sociali, dei costi di produzione, delle politiche monetarie e fiscali, la possibilità di ritirarsi se le difficoltà diventano eccessive e inoltre un periodo di transizione di 20-30 anni. D’altra parte, insiste perché il Mercato comune sia esteso alla politica agricola (v. Politica agricola comune) e difende energicamente l’associazione dei paesi d’oltremare, per suddividere fra i Sei un onere finanziario diventato insostenibile per il bilancio del paese. L’accelerazione dei negoziati all’indomani della crisi di Suez e il loro orientamento liberale lo preoccupano: ricorda con fermezza a Christian Pineau i punti “essenziali” sui quali la Francia non può transigere (v. Guillen, 1990). Gli interessi francesi non possono essere sacrificati sull’altare dell’Europa, un’Europa che per R. dev’essere sociale.

L’avvento della V Repubblica segna la fine della sua carriera politica. «L’Europa non si farà in un giorno», era solito dichiarare. Realismo, pragmatismo e costanza nella prudenza sono le tre parole chiave di R., che pur non avendo nulla del visionario non è per questo meno profondamente europeo.

Anne-Laure Ollivier (2012)

Bibliografia

Bossuat G., Paul Ramadier et le plan Marshall: une rupture en politique étrangère, dans Berstein S. (dir.), Paul Ramadier, la République et le socialisme, Complexe, Bruxelles 1990.

Du Reau E., Paul Ramadier et els prémisses du Pacte Atlantique, in S. Berstein (a cura di), Paul Ramadier, la République et le socialisme, Complexe, Bruxelles 1990.

Fonvieille-Vojtovic A., Paul Ramadier (1888-1961): élu local et homme d’Etat, Publications de la Sorbonne, Paris 1993.

Gegot J.C., La pensée européenne de Paul Ramadier, in Paul Ramadier, la République et le socialisme, cit.

Guillen P., Paul Ramadier et l’Europe, in Paul Ramadier, la République et le socialisme, cit.