Rapporto Cecchini
Il Rapporto Cecchini, intitolato La sfida del 1992. Una grande scommessa per l’Europa, è stato presentato nel 1988 e ha fornito i risultati di uno studio compiuto da un gruppo di lavoro al cui vertice venne posto un Comitato direttivo presieduto da Paolo Cecchini, all’epoca Consigliere speciale presso la Commissione europea. Scopo della ricerca, voluta dal vicepresidente della Commissione stessa Lord Francis Arthur Cockfield, era quello di fornire una solida base di analisi scientifica dei costi della frammentazione del mercato europeo e dei vantaggi che avrebbe potuto offrire la rimozione delle barriere secondo quanto previsto dal Libro Bianco (v. Libri bianchi) sul completamento del mercato interno – comunicazione COM (1985) 310 def. –, adottato dalla Commissione il 14 giugno 1985 ed esaminato dal Consiglio europeo di Milano del 28 e 29 giugno 1985. Si intendeva, in altri termini, calcolare quali fossero i c.d. costi della non Europa, cioè a dire i benefici economici e sociali persi da ciascuno degli Stati comunitari a causa della mancata instaurazione di uno spazio europeo omogeneo.
Il gruppo di lavoro, costituitosi nel 1986, si avvalse del contributo di funzionari della Commissione, appartenenti alla Direzione generale II (Affari economici e finanziari) e alla Direzione generale III (Mercato interno e affari industriali) nonché del supporto di eminenti esperti esterni, provenienti dall’Università Bocconi di Milano; dal Ministero dell’economia, delle finanze e del bilancio francese; dal Centre d’études prospectives et d’informations internationales di Parigi; dalla Banca europea per gli investimenti; dall’Institut für Wirtschaftsforschung di Monaco di Baviera; dall’Università del Sussex; dall’Università cattolica di Lovanio; e dall’Istituto europeo di amministrazione pubblica di Maastricht. All’inizio, il Comitato direttivo scelse di limitare l’ambito dell’indagine agli ostacoli agli scambi e al commercio (che il Libro bianco del 1985 si proponeva di superare) e di far sì che gli studi individuali da avviare nel corso del progetto coprissero, tra gli allora dodici Stati membri delle Comunità, i quattro Stati maggiori, lasciando aperta la possibilità di ampliare poi caso per caso questa matrice geografica. Il Comitato medesimo dedicò inoltre particolare attenzione alla messa a punto di strumenti rigorosi che permettessero l’identificazione e la valutazione quantitativa degli effetti dinamici prodotti dall’eliminazione degli ostacoli non tariffari (v. Cecchini, 1988, p. 207 e ss.).
Il Rapporto ha espresso vari aspetti di originalità: la portata delle sue finalità; la novità della materia esplorata; le difficoltà metodologiche nell’accertamento e nel confronto delle cifre.
Nella sua prima parte, il Rapporto Cecchini si è preoccupato di illustrare nel dettaglio quali fossero i problemi causati dal gran numero di barriere che ancora sussistevano nell’Europa comunitaria a trent’anni dalla stipula dei Trattati di Roma. Esso è giunto, in conclusione, a confermare l’obiettivo politico del Libro bianco del 1985: la necessaria soppressione delle barriere non tariffarie per far sì che imprese, consumatori e governi godessero appieno del grande Mercato unico europeo.
Le barriere da smantellare sono state riunite in tre grandi categorie: le barriere fisiche (controlli alle frontiere intracomunitarie con i relativi ritardi e con le duplicazioni nella documentazione richiesta); le barriere tecniche (ad esempio, l’obbligo per l’esportatore di beni e servizi di soddisfare normative tecniche nazionali divergenti; l’obbligo per le imprese di sottostare a legislazioni societarie differenti e confliggenti tra loro; le difficoltà connesse all’ingresso nei mercati protetti degli appalti pubblici); le barriere fiscali (differenze tra gli Stati membri nelle aliquote dell’Imposta sul valore aggiunto e delle accise).
Si è pertanto proceduto ad analizzare i costi del carico amministrativo e dei ritardi dovuti alle formalità burocratiche alle frontiere; delle pratiche protezionistiche negli appalti pubblici; della confusione dovuta a normative tecniche discordanti per prodotti analoghi; di regolamentazioni disuguali in materia di tassazione e diritto societario tali da ostacolare l’attività transnazionale delle imprese sul mercato comunitario. Particolare attenzione è stata inoltre dedicata all’impatto della frammentazione del mercato sull’economia dei servizi finanziari, alle imprese e di telecomunicazioni; e quali fossero le conseguenze per i settori manifatturieri delle apparecchiature per telecomunicazioni, delle automobili, dei prodotti agroalimentari, dei materiali per l’edilizia, del tessile e abbigliamento, e dei prodotti farmaceutici (v. Cecchini, 1988, p. 28 e ss.).
Presa nel suo insieme, la prima parte del Rapporto denota il tentativo di capire e conteggiare gli effetti della non Europa, e lascia emergere un quadro inequivocabile di spese inutili e di occasioni mancate.
La seconda parte del Rapporto Cecchini è incentrata sulla misurazione del giovamento globale che l’abbattimento delle barriere avrebbe comportato per l’insieme dell’economia comunitaria. L’ordine di grandezza delle convenienze realizzabili è stato stimato per mezzo di due approcci distinti e complementari: uno microeconomico, l’altro macroeconomico.
L’approccio microeconomico ha avuto come punto di partenza l’impatto che l’eliminazione delle barriere non tariffarie avrebbe provocato sui singoli attori dell’economia comunitaria (imprese, consumatori, governi), cercando di stabilire quali profitti sarebbero per essi derivati. Ne è risultato un tornaconto sostanziale per i consumatori, dal momento che i prezzi dei beni sarebbero calati mentre sarebbero aumentate, sotto la spinta della concorrenza, la scelta e la qualità dei prodotti. Quanto al sistema delle imprese nel suo complesso, la riduzione dei ricavi (specie se derivanti da monopoli o da posizioni protette) immaginabile nel breve periodo, avrebbe poi suscitato, nel lungo periodo, un adeguamento al nuovo contesto della concorrenza, ad esempio elevando il volume della produzione, sperimentando in proposito tecniche più confacenti, eliminando le inefficienze manageriali e migliorando la capacità di innovazione (v. Cecchini, 1988, pp. 138 e ss., p. 141 e ss.; Scherer, Ross, 1990, p. 12 e ss.). I vantaggi connessi a questi e ad altri aggiustamenti sarebbero confluiti nell’innalzamento della ricchezza generale della Comunità europea, il cui incremento avrebbe costituito il guadagno netto di benessere indotto dal completamento del mercato interno.
L’approccio macroeconomico ha invece riguardato il modo in cui lo choc sul versante dell’offerta, provocato dall’abbattimento delle barriere non tariffarie, si sarebbe ripercosso sui principali indicatori dell’economia della Comunità, come il prodotto nazionale lordo, l’inflazione, l’occupazione, il deficit pubblico, il saldo esterno. Il meccanismo sarebbe stato avviato dal calo dei costi di produzione e dallo sviluppo del rendimento (effetti primari dell’accresciuta integrazione dei mercati). A essi sarebbero seguite le riduzioni dei prezzi, che a loro volta avrebbero stimolato sensibilmente i principali ingranaggi macroeconomici del sistema. Ne sarebbero scaturiti una estensione del potere di acquisto; una modifica della posizione competitiva di ciascuno Stato membro della Comunità rispetto ai rispettivi partner e della Comunità stessa rispetto al resto del mondo; un’azione durevole contro la disoccupazione; uno stimolo della domanda senza che venisse alimentata l’inflazione (v. Catinat, 1988, p. 1 e ss.; Cecchini, 1988, pp. 139 e ss., 171 e ss.). Si sarebbero così determinate prospettive e traiettorie del tutto nuove per una crescita economica fino alla fine del XX secolo.
Lo studio condotto dal gruppo di lavoro guidato da Paolo Cecchini ha dunque inteso verificare quale fosse la situazione del mercato interno della Comunità europea nella seconda metà degli anni Ottanta del Novecento e quali fossero le sue prospettive per gli imminenti anni Novanta. L’intento, come detto, era quello di individuare i costi della mancata realizzazione di un vero mercato interno e di mettere in risalto i benefici che si sarebbero al contrario avuti, in seguito alla eliminazione dei costi medesimi, per l’economia dei dodici Stati membri (a favore di imprese e consumatori ma anche, più ampiamente, a livello politico e sociale). La cancellazione delle barriere non tariffarie venne ritenuta la chiave di volta che avrebbe impresso una scossa salutare all’intera economia della Comunità e portato al rilancio dell’integrazione (v. Integrazione, metodo della; Integrazione, teorie della). Il mercato unico avrebbe eliminato gradualmente le strozzature macroeconomiche che avevano vincolato fino a quel momento la crescita dell’economia europea. Ne sarebbero derivati effetti positivi non soltanto per imprese e consumatori ma anche per il deficit pubblico, per l’inflazione e per l’occupazione.
I vantaggi del mercato unico, conseguenti all’abbattimento entro il 1992 delle barriere non tariffarie agli scambi intracomunitari secondo quanto previsto dal Libro bianco sul completamento del mercato interno del 1985, furono valutati approssimativamente in 200 miliardi di ECU (ai prezzi del 1988) (v. Unità di conto europea) e ritenuti aumentabili con l’aiuto di politiche economiche cautamente positive; vennero altresì stimate la creazione di 5 milioni di nuovi posti di lavoro e una crescita supplementare del prodotto interno comunitario pari al 5% (v. Cecchini, 1988, p. 12 e ss.).
Pierluigi Simone (2012)