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Rapporto Tindemans

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In un momento difficile della costruzione comunitaria, sotto la duplice pressione della crisi del sistema monetario internazionale e della crisi energetica, il Vertice di Parigi del 9-10 dicembre 1974 affidò al primo ministro del Belgio, Léo Tindemans, il compito di preparare un Rapporto sull’Unione europea. Il Rapporto (RT), inviato al Consiglio europeo il 29 dicembre 1975, reso pubblico il 7 gennaio 1976, scaturì da una missione effettuata nei nove paesi membri nel corso del 1975. Per la prima volta sull’Unione europea si aprì un dibattito che coinvolse le forze politiche e sociali, perché il mandato affidato a Tindemans prevedeva espressamente che, oltre ai governi, fossero consultati «gli ambienti rappresentativi dell’opinione pubblica».

Il RT conteneva una serie di proposte per lo sviluppo dell’integrazione europea (v. Integrazione, teorie della; Integrazione, metodo della) che volevano dare una risposta complessiva tanto alle questioni di politica estera, economica e sociale, quanto ai problemi di carattere istituzionale di fronte ai quali si trovava la Comunità economica europea. Definire la concezione globale dell’Unione europea, termine che secondo quanto stabilito dal Vertice del 1972 doveva caratterizzare entro la fine degli anni Settanta l’insieme delle relazioni tra gli Stati della Comunità, era la missione di Tindemans. L’Unione europea delineata nel suo Rapporto ruotava intorno a quattro punti essenziali: un’Europa che si presentasse unita al mondo esterno, avesse una politica comune nel campo economico e monetario, nel settore industriale e agricolo come in materia di energia e ricerca, favorisse un’associazione più stretta dei cittadini europei al fenomeno dell’integrazione, e, infine, fosse dotata di istituzioni democratiche con l’autorità necessaria per definire azioni politiche comuni.

Relativamente alla politica estera, il Rapporto elaborato da Tindemans introduceva esplicitamente la nozione di una politica estera comune basata su due proposte: una di carattere istituzionale, l’altra di carattere procedurale. La prima misura riguardava un centro di decisione unico, che eliminasse la distinzione tra le riunioni ministeriali tenute a titolo di cooperazione politica (v. anche Cooperazione politica europea) in un quadro intergovernativo (v. Cooperazione intergovernativa) e le normali riunioni che si occupavano delle attività coperte dai Trattati. La proposta non era chiara, perché le due attività sarebbero rimaste istituzionalmente separate. Dal punto di vista procedurale, la novità suggerita era di rendere obbligatoria la decisione comune, presa dopo le varie consultazioni: la minoranza avrebbe dovuto conformarsi alla maggioranza. Il RT individuava quattro campi privilegiati per azioni concrete: un nuovo ordine economico mondiale, i rapporti Europa-Stati Uniti, la sicurezza, le crisi che si manifestavano nell’ambito geografico contiguo all’Europa. In particolare, per i rapporti con gli Stati Uniti il RT suggeriva di dare vita alla figura di un negoziatore unico per l’Unione europea, da individuarsi tra i membri del Consiglio europeo. Emerse subito la diffidenza dei piccoli paesi verso una soluzione di questo tipo, per il timore di veder cadere la scelta sul rappresentante di un paese maggiore. Molto radicale sul terreno della politica estera il RT, pur riconoscendo che la sicurezza non poteva essere lasciata ai margini dell’Unione europea, aveva un atteggiamento molto pragmatico verso l’ipotesi che i paesi membri sviluppassero una politica di difesa comune, limitandosi a suggerire come misure intermedie uno scambio di opinioni sui problemi della difesa e la creazione di un’Agenzia europea per gli armamenti, al fine di accrescere l’autonomia e la competitività dell’industria europea per la difesa (v. anche Politica europea di sicurezza e difesa).

Passando alle questioni economiche, il RT, basandosi sulla situazione di divergenza oggettiva delle condizioni economico-finanziarie dei paesi europei, indicò la proposta – che riprendeva un’idea avanzata per la prima volta da Willy Brandt nel 1974 – di un’Europa a due velocità (v. Europa “a più velocità”): da una parte il gruppo dei paesi in grado di avanzare più rapidamente sulla strada dell’Unione economica e monetaria UEM), dall’altra i paesi che marciavano più lentamente e che avrebbero potuto ricevere aiuto dai primi, oltre che partecipare alle decisioni di interesse comune. Benché Tindemans non menzionasse esplicitamente alcun paese, questa proposta suscitò immediate e numerose contestazioni, dato che avrebbe finito per codificare una separazione dell’Europa in due gruppi di paesi, i cui archetipi apparivano in quel momento la Germania e l’Italia, ponendosi quasi in contraddizione con l’idea stessa di unione propugnata nel Rapporto. Indubbiamente vi era il rischio di una accentuazione degli squilibri e una profonda inadeguatezza degli strumenti che avrebbero dovuto far progredire insieme lo stesso convoglio di testa, anche perché tutto si riduceva in un rafforzamento del “Serpente monetario”. La base economica del RT restava il Rapporto Werner, ma nessuna indicazione veniva data, per esempio, su come pervenire a una moneta europea, definita “un grande passo” che a un certo punto sarebbe stato necessario compiere. Pur con i limiti presenti in una proposta che non affrontava alla radice le cause della spinta disgregatrice proveniente dalla divergenza dell’andamento delle economie europee, il RT attirava l’attenzione sui mezzi per sbloccare il Processo decisionale, introducendo la possibilità di ammettere, in via transitoria, un grado di integrazione più accentuato tra alcuni Stati membri. Una questione che più avanti acquisterà sempre più rilevanza nei dibattiti comunitari, e non solo relativamente al settore monetario. Per quest’ultimo, in ogni caso, proprio il Trattato di Maastricht, sia pure in un contesto differente, sancirà la possibilità per i paesi in grado di farlo di entrare nella terza tappa dell’UEM.

Le questioni istituzionali erano affrontate rafforzando, quasi allo stesso modo, le varie Istituzioni comunitarie e rendendo il quadro istituzionale ancor più complicato attraverso una “diffusione” di poteri. Il RT proponeva per esempio di modificare i trattati per attribuire al Parlamento europeo (PE) un vero e proprio diritto di iniziativa. Una proposta che il Rapporto Vedel aveva scartato, perché se la Commissione europea poteva essere rimproverata di sacrificare lo spessore politico delle sue proposte alla ricerca di soluzioni che raccogliessero l’unanimità in Consiglio dei ministri, un potere formale d’iniziativa al PE avrebbe messo in pericolo la principale prerogativa della Commissione e la sua autonomia. Il RT ripresentò la proposta che il Presidente della Commissione europea, dopo la nomina da parte del Consiglio europeo, vedesse confermata la sua designazione da un voto di fiducia del PE e potesse in seguito scegliere egli stesso gli altri membri del collegio.

A seguito dell’evolvere della situazione politica generale in Europa e delle crescenti preoccupazioni di carattere economico, i governi si mostrarono esitanti ad affrontare una discussione approfondita del Rapporto, che fu messo all’ordine del giorno delle riunioni del Consiglio europeo, senza alcun risvolto concreto. Niente di quello che il premier belga aveva proposto fu ripreso e il RT subì un lento processo di insabbiamento. Gli Stati non erano disposti a limitare la propria sovranità nell’ambito fondamentale della politica estera (v. anche Politica estera e di sicurezza comune), soprattutto i più forti, Francia e Regno Unito, il cui interesse verso la Cooperazione politica europea (CPE) era finalizzato al rafforzamento della propria politica estera. Un Rapporto poco incisivo o realista? Nella lettera di accompagnamento che inviò ai capi di governo, il primo ministro belga dichiarò espressamente di avere scelto di seguire un approccio realista, rifiutandosi di proporre un modello ideale d’Europa o di delinearne la fisionomia finale. Quindi non un Rapporto che avesse la pretesa di essere la costituzione della futura Unione europea. Benché Tindemans si dichiarasse personalmente convinto del fatto che solo se si fosse avviata in una direzione “federalista” l’Europa avrebbe avuto un vero senso, il suo Rapporto rifletteva una linea volta alla ricerca di soluzioni di compromesso a ogni livello. L’Europa prefigurata dallo statista belga si ritrova parzialmente nel Trattato di Maastricht, anche se una politica estera basata su regole maggioritarie resta ancora un obiettivo lontano.

Marinella Neri Gualdesi (2009)