I rappresentanti speciali dell’Unione europea (RSUE) sono delle figure di alto profilo politico-diplomatico incaricate di promuovere le posizioni, gli interessi e le politiche dell’UE, solitamente in specifiche aree geografiche affette da crisi o instabilità. La possibilità di nominare dei RSUE è stata introdotta formalmente dal Trattato di Amsterdam – art. J.8(5) –, sebbene già con il lancio della PESC, avvenuto a Maastricht, il Consiglio dei ministri ebbe modo di nominare degli “inviati speciali dell’UE” con compiti sovrapponibili a quelli dei successivi rappresentanti speciali (il primo fu l’italiano Aldo Ajello, nominato nel 1996 special envoy per la regione africana dei Grandi Laghi). Oggi, la nomina dei rappresentanti è regolata dagli artt. 31(2) e 33 del Trattato sull’Unione europea, che prevedono una delibera del Consiglio, a Maggioranza qualificata, su proposta dell’Alto rappresentante, sotto la cui autorità i RSUE esercitano poi il proprio mandato. Su richiesta del Parlamento europeo, i neorappresentanti si presentano in commissione Affari esteri per partecipare a uno “scambio di vedute” con i deputati (non paragonabile a un’audizione), e per fornire aggiornamenti nel corso del loro mandato. Lo scopo di questi incontri è puramente informativo, non è difatti previsto alcun potere di veto da parte del Parlamento, i cui poteri nell’ambito della PESC rimangono di semplice informazione e consultazione.
Negli anni, i rappresentanti speciali hanno svolto importanti compiti di rappresentanza, coordinamento e mediazione in paesi quali l’Afghanistan, la Bosnia-Erzegovina, il Kossovo, il Sudan; in aree come l’Asia centrale, il Corno d’Africa, e il Sahel; o, ancora, promuovendo tematiche globali come la tutela dei diritti umani.
Storicamente, la possibilità di nominare dei RSUE ha offerto alla politica estera europea l’opportunità di dotarsi, su base temporanea, di diplomatici di alto livello in grado di rispondere alle necessità del momento, e alla penuria di funzionari comunitari dotati di profili politico-diplomatici. Un’opportunità che gli Stati membri hanno difeso durante le negoziazioni per la definizione del SEAE, mossi dall’obiettivo di non privarsi di potenziali incarichi quasi sempre assegnati a funzionari nazionali. È inoltre interessante notare come il primo tentativo di una doppia affiliazione mirante ad apportare più coerenza tra la conduzione delle politiche comunitarie e la PESC, sia stato sperimentato proprio con i RSUE. Erwan Fouéré, funzionario della commissione, nel 2005 fu nominato rappresentante speciale per la Macedonia, e contemporaneamente messo a capo della rappresentanza della Commissione nello stesso paese. Si trattava di due incarichi distinti, ma volutamente abbinati nella ricerca di una complementarietà tra le azioni del primo e del secondo pilastro dell’UE (v. Pilastri dell’Unione europea). Un esperimento che si sarebbe replicato, su ben altra scala istituzionale, con l’introduzione nel Trattato di Lisbona di un Alto rappresentante anche vicepresidente della Commissione ex officio.
Se da un lato si è sostenuto che l’istituzione del Servizio diplomatico europeo abbia diminuito il valore aggiunto portato dai RSUE, dall’altro, si è cercato di migliorare la loro integrazione nell’architettura istituzionale post Lisbona dotandoli più frequentemente un “secondo cappello” (quello di capidelegazione), e affidandogli compiti di coordinamento regionale tra il lavoro delle diverse delegazioni europee. Considerata la loro flessibilità e visibilità, i rappresentanti speciali rimangono uno strumento utile a promuovere la coerenza, e quindi l’efficacia, dell’azione esterna dell’Unione.
Lorenzo Vai (2017)
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