Le differenti fasi del processo di preadesione e le strategie di preadesione
Esaminando il rapporto tra l’Unione europea (UE) e la Repubblica Ceca, si devono stabilire innanzitutto gli inizi delle relazioni tra l’UE e i paesi candidati postcomunisti. Alcuni studiosi (v. Lippert et al., 2001) dividono l’intero processo negoziale, dai primi contatti all’adesione, in circa cinque stadi in cui si assiste a pressioni di varia natura e a diversi effetti del processo di adeguamento: «i primi contatti; gli accordi europei; la pre-adesione; i negoziati; la post-adesione». È essenzialmente una panoramica degli obiettivi che l’Unione europea ha posto in tempi differenti durante il processo di adesione. Analogamente, Grabbe e Hughes (v., 1998) operano una distinzione tra la strategia tecnica di preadesione (v. Strategia di preadesione), le trattative politiche e la decisione di Allargamento.
Il processo di allargamento si basa sugli Accordi europei, proposti inizialmente nel 1991 e poi firmati dalla Repubblica Ceca nel 1993. Tali accordi, che aprirono un dialogo strutturato in prospettiva dell’adesione all’UE, erano tuttavia strumenti di Associazione più che di adesione vera e propria, poiché recepivano solo parti dell’Acquis comunitario. Infatti, gli accordi europei di associazione iniziali vertevano su questioni quali il libero scambio, l’assistenza economica e tecnica, la cooperazione politica e culturale per lo sviluppo, le infrastrutture, la promozione di un generale consolidamento democratico e di un programma di riforme economiche. Sulla politica economica e su quella fiscale, la posizione dell’Unione europea era conforme ai principi del “consenso di Washington”, stabiliti dal Fondo monetario internazionale (FMI). L’Accordo europeo con la Cecoslovacchia erano anche un prolungamento di vari accordi commerciali e di cooperazione (rispettivamente l’Accordo sul commercio e l’Accordo sul commercio e la cooperazione), firmati da Comunità europea e Federazione cecoslovacca nel 1988 e nel 1990. Le linee ispiratrici di tali accordi erano sia la trasformazione di queste economie, sia l’integrazione del paese nelle strutture dell’UE. Tuttavia, tali approcci non erano specificamente finalizzati all’allargamento dell’UE. Il dialogo istituzionalizzato in forma di Consigli d’associazione, con il loro subordinato Comitato di associazione e il Comitato di associazione parlamentare, affiancarono gli Accordi europei. Il Consiglio di associazione riunì i ministri degli Affari esteri dell’UE, il Commissario per le relazioni esterne dell’UE e gli alti funzionari governativi dei paesi associati. Il Comitato e i vari sottocomitati, composti da alti funzionari pubblici, prepararono e coordinarono gli incontri dei Consigli di associazione. Questi ultimi, insieme ai Comitati, avevano programmi che riguardavano soprattutto i seguenti punti: la cooperazione politica, la descrizione degli sviluppi politici ed economici nell’Unione europea e dei paesi associati, il commercio e le questioni relative al commercio, il Programma di aiuto comunitario ai paesi dell’Europa centrale e orientale (PHARE), la cooperazione economica e i rapporti dei sottocomitati (v. Mayhew, 1998, p. 55; Grabbe, Hughes, 1998, pp. 31-32). Questi erano assemblee bilaterali in cui non solo veniva discussa l’attuazione degli Accordi europei e successivamente dei Partenariati d’adesione (PA), ma fornivano anche occasioni di dibattito più generale tra i paesi associati, le istituzioni dell’Unione e i governi nazionali dei paesi membri.
Lo spirito di queste assemblee animò la “Conferenza europea”. Quest’ultima forniva una struttura multilaterale che riuniva tutti i paesi desiderosi di aderire all’Unione europea e che ne condividevano valori e finalità (v. Cox, Chapman, 1999, cap. 6). La conferenza era costituita dai 15 paesi membri dell’Unione europea e dai 12 paesi candidati. Il gruppo tendeva a risolvere questioni rilevanti per tutti i paesi interessati e a rafforzare i principi sui quali era stata costituita la conferenza (cioè, i valori e le finalità dell’Unione europea). Queste conferenze includevano temi quali la Politica estera e di sicurezza comune, la Giustizia e affari interni, la cooperazione regionale e la cooperazione economica. Il primo incontro ebbe luogo il 12 marzo 1998 a Londra.
Per quanto questi accordi e queste riunioni rafforzassero il legame tra UE e Repubblica Ceca, essi non indicavano la via o i tempi di un’integrazione della Repubblica Ceca nell’UE. Di qui l’atteggiamento cauto dei vertici cechi nei confronti dell’adesione all’UE e l’adeguamento relativamente limitato ai requisiti dell’Unione attuato nella Repubblica Ceca prima del 1997.
A partire dal 1993, i consigli europei iniziarono a delineare le strategie di preadesione e i Criteri di adesione. Il Consiglio europeo del 1993 a Copenaghen produsse due risultati importanti. Il primo fu la creazione di una piattaforma per la valutazione di potenziali candidati e la verifica dei loro progressi verso l’adesione. Tale piattaforma costituì un primo passo per delineare i criteri di adesione, i cosiddetti “criteri di Copenaghen”, che fissavano i seguenti requisiti: una stabilità istituzionale che garantisse la democrazia, il principio di legalità, il rispetto dei Diritti dell’uomo, il rispetto e la protezione delle minoranze; l’esistenza di un’economia di mercato funzionante nonché la capacità di rispondere alle pressioni concorrenziali e alle forze del mercato all’interno dell’Unione; la capacità di assumersi gli obblighi di tale appartenenza, e, segnatamente, l’adesione agli obiettivi dell’unione politica, economica e monetaria (www.europa.eu.int).
Uno slancio verso l’obiettivo della preadesione, stabilito nel Consiglio europeo di Essen del 1994, fu il secondo risultato del summit di Copenaghen. La strategia si concentrò sull’adesione al mercato interno dei paesi associati, sulla promozione dell’integrazione economica, sullo sviluppo della cooperazione tra i paesi associati, sugli ulteriori sviluppi nell’assistenza e nell’aiuto da parte dell’Unione europea nell’incorporazione dei tre Pilastri dell’Unione europea del Trattato di Maastricht (v. Mayhew, 1998, p. 165). Gli accordi europei ratificati nel 1994 e 1995 crearono una struttura generale per la cooperazione economica. Sebbene questi sviluppi fossero importanti per l’intensificazione delle relazioni tra Unione europea e potenziali candidati e fornissero una base per l’europeizzazione, il vero cammino verso l’allargamento e l’adesione venne stabilito rispettivamente dal Libro bianco Preparazione dei paesi associati dell’Europa centrale e orientale all’integrazione del mercato interno dell’Unione (approvato dal Consiglio europeo di Madrid del dicembre 2005) (v. Libri bianchi) e dall’“Agenda 2000” – che la Commissione europea presentò al Parlamento europeo al termine della Conferenza intergovernativa (v. Conferenze intergovernative) di Amsterdam, il 16 luglio 1997 –, nonché dai successivi processi d’adozione dell’acquis comunitario da parte dei candidati all’Unione europea. Questo periodo è stato descritto (v. Lippert et al., 2001) come l’inizio dei cambiamenti amministrativi di base nei paesi candidati per far fronte al processo di preadesione. Inoltre, il summit di Madrid del dicembre 1995 stabilì un sistema di relazioni nel quale la Commissione europea doveva sistematicamente valutare i paesi associati. Questo summit fu anche il punto di partenza per l’apertura dei negoziati con quei candidati che soddisfacevano i criteri di Copenaghen. Mentre i medesimi criteri e il Consiglio europeo di Essen avevano delineato il quadro di riferimento per l’allargamento e la strategia di preadesione, le trattative “capitolo per capitolo” e i programmi nazionali iniziarono ufficialmente a Bruxelles il 31 marzo 1998 (si trattava di risposte alle carenze riscontrate nei pareri della Commissione europea) con l’obiettivo di fare adottare e applicare l’acquis comunitario da parte dei paesi postcomunisti, essendo stati stabiliti i percorsi procedurali e sostanziali verso l’adesione all’Unione europea (nel gennaio del 1996 la Repubblica Ceca si era ufficialmente candidata per l’adesione). I negoziati vennero condotti durante conferenze bilaterali tra i paesi candidati e l’Unione europea su base tematica, “capitolo per capitolo”, e riconobbero il fatto che ogni paese procedeva a proprio ritmo. È importante notare che queste trattative erano conformi ai pareri periodici espressi dalla Commissione europea e alle conseguenti risposte politiche dei paesi candidati.
Questo percorso procedurale e sostanziale era anche sottolineato negli Accordi di adesione firmati tra l’Unione europea e, rispettivamente, la Polonia nel 1998 e la Repubblica Ceca nel 1999. I Partenariati di adesione (PA) stabilivano una serie di priorità a breve e medio termine, che fornivano una struttura unica ai paesi candidati in modo da soddisfare i requisiti dell’acquis comunitario (v. Cox, Chapman, 1999, cap. 6). Inoltre, gli accordi obbligavano i candidati a preparare i Programmi nazionali per l’adozione dell’acquis (PNAA). In questi programmi si richiedeva ai paesi di far fronte alle carenze descritte nei pareri (v. Parere) della Commissione, di indicare i fondi finanziari richiesti e disponibili per i cambiamenti e la condizionalità associata all’aiuto di preassistenza. L’“Agenda 2000” fu il primo documento a spianare la strada a un sistematico allargamento dell’Unione europea, riconoscendone la desiderabilità e indicando il percorso da seguire per conseguirlo. Il processo d’ampliamento in sé iniziò seriamente soltanto nel marzo del 1998, con l’apertura dei negoziati. La Repubblica Ceca, nel dicembre 1997, fu uno dei primi sei paesi a iniziare le trattative. In questo contesto, rientrano i metodi di gestione del PHARE per le riforme del 1997 e del 1998, l’introduzione dell’Instrument for structural policies for pre-accession (ISPA) e dello Special accession program for agriculture and rural development (SAPARD). Il processo d’adesione mirava a rafforzare la strategia di preadesione, adottando uno stile manageriale consolidato al fine di permettere ai paesi candidati di adottare l’acquis comunitario ottemperando gli ampi criteri di Copenaghen per l’allargamento.
Gli approcci attraverso i quali l’Unione europea interagisce con i paesi candidati possono essere ricompresi in cinque categorie. La prima categoria comprende l’acquis comunitario, ossia l’insieme di norme, modelli e requisiti che sono alla base dell’adesione a pieno titolo all’Unione europea. La seconda categoria include gli accordi di legge e i documenti politici da implementare. Esempi di accordi giuridici sono gli Accordi europei e i Multi-financing agreements. Esempi di documenti politici sono i Libri bianchi e i Partenariati di adesione. Gli approcci giuridici sono istituzionalizzati e resi esecutivi da organismi preposti alla loro applicazione, come i Consigli di associazione. I documenti politici non sono giuridicamente vincolanti, ma il progresso verso l’adesione è talvolta direttamente condizionato dall’attuazione delle proposte. La terza categoria comprende i negoziati, condotti secondo il metodo “capitolo per capitolo”. I risultati e l’esatto andamento delle trattative vengono mantenuti segreti come se fossero atti del Consiglio dei ministri. La quarta categoria comprende gli strumenti di preadesione (PHARE, ISPA e SAPARD) che offrono supporto all’adozione dell’acquis comunitario. Questi strumenti sono stati usati unicamente nell’ambito dell’allargamento all’Europa dell’Est. La quinta categoria comprende infine il dialogo, formale o informale, di natura sostanzialmente indicativa. Un esempio di dialogo informale è costituito dai contatti tra i funzionari nazionali e quelli della Commissione o del Parlamento europeo. Un esempio di dialogo formale sono le Relazioni periodiche (“Regular reports on the accession process in the candidate countries”) pubblicate dalla Commissione europea e le successive proposte politiche dei paesi candidati. La Conferenza europea biennale è un ulteriore esempio di dialogo formale.
La Repubblica Ceca e la preadesione all’UE
Dopo il 1989, la Cecoslovacchia, come gran parte dei paesi ex comunisti dell’Europa centro orientale, ha vissuto un importante processo di trasformazione della società imperniato sulla transizione verso la democrazia e sul passaggio a un’economia di mercato. Sul piano della politica estera, un “ritorno all’Europa” – sia sotto il profilo della politica di sicurezza, sia, soprattutto, sotto il profilo dell’adesione all’Unione europea – era considerato necessario. Tale aspirazione fu espressa in particolare dalla comunità dei dissidenti, per la quale l’Europa rappresentava il rispetto dei diritti dell’uomo e della democrazia. Václav Havel considerava altresì l’adesione all’Europa essenziale per la promozione di un pluralismo politico ed economico, per il rispetto dei diritti civili e delle libertà, e per la decentralizzazione dell’amministrazione statale (v. Bugge, 2003). Sebbene Havel inizialmente concepisse il Consiglio d’Europa come l’elemento trainante della confederazione europea, maturò la convinzione che soltanto la Comunità europea avrebbe potuto condurre alle riforme e all’integrazione (v. Integrazione, metodo della), contribuendo a contrastare la corruzione e l’instabilità delle strutture statali e del sistema partitico, la debolezza dell’amministrazione pubblica e dell’economia, nonché l’assenza di una società civile. Tutti questi fattori erano in qualche modo collegati all’eredità di un potere autoritario con un’economia pianificata e centralizzata.
Sebbene facessero capo all’organizzazione “ombrello” di gruppi politici dissidenti, il Forum Civico, eterogeneo conglomerato politico post transizione, le idee di Havel rimasero inizialmente dominanti riguardo le relazioni tra Unione europea e Repubblica Ceca. La divisione della federazione cecoslovacca tuttavia diminuì l’influenza politica di Havel. Dopo il cosiddetto “divorzio di velluto”, la sua posizione di venne sempre più contrastata dal primo ministro, Václav Klaus, del Partito democratico civico (Občanská demokratická strana, ODS), il quale credeva fermamente nell’idea di “un solo paese”, e di una costruzione di un’identità nazionale ceca, nonché di un modello economico ceco. L’adesione all’UE sarebbe stata positiva per i benefici economici del Mercato unico europeo. Tuttavia, Václav Klaus si opponeva a una integrazione che comportasse poteri normativi e politici sovranazionali sempre maggiori, o persino un’unione politica.
Di orientamento liberal-conservatore, Klaus invocava una rapida liberalizzazione dell’economia e una stabilizzazione della macroeconomia al fine di consentire una rapida crescita del prodotto interno lordo. Ciò avrebbe contribuito a controbilanciare le difficoltà che la popolazione avrebbe dovuto affrontare in seguito queste alle riforme economiche. Sul tema delle riforme e dell’amministrazione pubblica, Klaus proponeva una riduzione dell’apparato di governo, cosa che comportava l’eliminazione di settori del governo regionale, principalmente allo scopo di espellere gli ex dirigenti comunisti. A livello esecutivo centrale, Klaus preferì accordi istituzionali più informali di coordinamento e governance, che gli permettessero maggiore discrezionalità nell’organizzazione dell’esecutivo centrale. Per ciò che concerne la regolamentazione del mercato, Klaus era un grande ammiratore di Margaret Thatcher e credeva fermamente che il mercato dovesse avere completa libertà di azione. Il principio dello “Stato minimo” propugnato dall’ODS e l’atteggiamento più cauto nei confronti dell’ingresso nell’Unione europea fecero sì che la preparazione all’adesione e l’adeguamento ai requisiti dell’UE non fossero al passo con quelli di altri paesi candidati.
Tuttavia furono fatti alcuni passi avanti. Nel 1994 il governo ceco, per soddisfare i criteri dell’Unione stabiliti al Consiglio di Copenaghen del 1993, costituì la Commissione governativa per l’integrazione europea (CGIE), presieduta dal primo ministro Václav Klaus, e formata dai ministri delle Finanze, dell’Agricoltura, dell’Industria e commercio e degli Affari esteri. Il coordinamento fu affidato principalmente alla Commissione di lavoro presieduta dal viceministro degli Affari esteri. L’anno successivo, fu approvato un documento politico sull’integrazione europea, “Le priorità per l’applicazione del Libro bianco nella Repubblica Ceca”. In questo documento il governo prospettava ulteriori trasformazioni nell’amministrazione statale e nella tutela e politica ambientale, nonché cambiamenti in materia di tassazione e politica sociale. Tuttavia la CGIE, essendo alle dipendenze dei viceministri per il Coordinamento, si rivelò un organismo poco efficace e i progetti politici non corrisposero sempre necessariamente all’attuazione politica. Il ruolo centrale assunto dal ministro degli Affari esteri che supervisionava il coordinamento dei rapporti con l’UE indicava altresì che per l’amministrazione di Klaus, l’ingresso nell’UE rimaneva soprattutto una questione di politica estera (v. Rovna, 2002).
Un cambiamento importante avvenne nel 1997, allorché la coalizione di governo guidata dall’ODS di Václav Klaus fu coinvolta in uno scandalo finanziario interno al partito. La defezione dei membri più importanti del partito portò alle dimissioni di Václav Klaus. Questo periodo coincise anche con una grave crisi economica. Sebbene, secondo le teorie della transizione, dopo uno shock iniziale l’economia avrebbe iniziato a risollevarsi, le crescenti disuguaglianze regionali e la crisi finanziaria che investì le economie di transizione dell’Europa centrale e orientale minarono la fiducia dell’elettorato ceco nelle capacità di gestione economica di Václav Klaus. Un terzo sviluppo si ebbe, nel dicembre 1997, al Consiglio europeo di Lussemburgo, con l’invito rivolto alla Repubblica Ceca, a iniziare i negoziati. Il Libro bianco del 1995 solamente segnò l’inizio di un concreto processo di adesione, molto più istituzionalizzato e strutturato, basato sullo studio della compatibilità della legislazione e delle procedure amministrative ceche con quelle dell’UE. Il partito socialdemocratico (Česká Strana Sociálne Demokratická, ČSSD) di Miloš Zeman, che costituiva una minoranza dopo le elezioni del 1998, era anch’esso più apertamente favorevoli all’Europa rispetto agli esponenti dell’ODS di Václav Klaus. Più che una questione di politica estera, l’adesione europea divenne uno degli obiettivi dell’agenda della politica interna, assumendo addirittura un’importanza prioritaria (v. Rovna, 2002). In particolar modo, la politica interna avrebbe dovuto soddisfare i requisiti stabiliti dalla Commissione europea per l’adesione.
Due fattori resero più difficile la preparazione all’adesione all’UE. In primo luogo l’“accordo di opposizione”, che aveva permesso la formazione di un governo di minoranza con l’ODS, dava ancora al partito di Klaus all’opposizione il potere di frenare il programma di riforme interne, specialmente in relazione alla politica di bilancio e alle misure macroeconomiche. In secondo luogo, le severe valutazioni della Commissione europea evidenziarono come l’amministrazione precedente non avesse attuato le riforme necessarie nei settori chiave, nonché le difficoltà di adeguamento alle direttive dell’Unione, sovente molto specifiche, nonché ai criteri di Copenaghen. Nel 1998, il primo Rapporto sui progressi della Repubblica Ceca indicava le seguenti aree critiche nell’ambito delle riforme interne: la questione della minoranza rom, le riforme nella pubblica amministrazione, le leggi a garanzia della libertà di stampa, le riforme del sistema giudiziario nonché la lotta alla corruzione. Inoltre, la Commissione europea temeva che il cambiamento di governo non avesse sostanzialmente mutato la posizione ceca sull’ingresso nell’Unione europea.
La valutazione critica del Rapporto del 1999 diede una scossa all’élite politica ceca. Alla guida della riforma nella pubblica amministrazione venne posto un gruppo speciale e furono intrapresi passi concreti relativamente al problema dell’istruzione dei bambini rom. Inoltre, il governo avviò un programma molto efficace, mirato a riacquistare il ruolo di paese leader dell’adesione all’UE. Miloš Zeman rinegoziò e corresse l’accordo di opposizione con l’ODS, in particolare la clausola concernente la collaborazione nella preparazione all’adesione all’UE. Nel 2002 a Zeman successe Vladimir Spidla, membro dell’ala sinistra del ČSSD e convinto europeista. Spidla formò una coalizione di governo libera dalle costrizioni dell’“accordo d’opposizione” e presiedette alle trattative finali per l’adesione.
Le riforme nella gestione degli aiuti per la preadesione avviate dalla Commissione europea nel 1998 produssero tre importanti risultati. Per prima cosa, l’aiuto venne indirizzato alle aree indicate come problematiche nei Rapporti e agli ambiti prioritari segnalati nei Partenariati di adesione. In secondo luogo, si cercò di assicurare all’amministrazione interna un ruolo attivo nella programmazione UE, anziché considerare la programmazione stessa come un aiuto dall’estero. In terzo luogo, venne prevista una struttura di sostegno alla preadesione sotto forma di fondi di coesione e strutturali. Rientrava in tale strategia l’adozione dei programmi SAPARD e ISPA. La tabella I mostra la distribuzione degli aiuti di preadesione PHARE stanziati tra il 1999 e il 2002 per la Repubblica Ceca.
Tabella I: stanziamento annuale PHARE per la Repubblica Ceca.
Milioni di euro | 1999 | 2000 | 2001 | 2002 |
Rafforzamento della capacità istituzionale e amministrativa | 5,8 | 7 | 4,75 | 2,7 |
Sostegno alla capacità di applicazione di norme e regolamenti del Mercato interno | 5,6 | 6,5 | 18,3 | |
Effettuazione di adeguamenti istituzionali richiesti per l’applicazione delle norme ambientali dell’acquis | 4,3 | 5,1 | 7,4 | |
Ristrutturazione dell’industria statale e riduzione dei costi sociali | ||||
Preparazione all’adozione della Politica agricola comune (PAC) | 6,2 | 8,28 | 12,4 | |
Rafforzamento della cooperazione nei settori della Giustizia e degli Affari interni (controllo delle frontiere, criminalità organizzata, ecc.) | 4 | 12,6 | 13,25 | 18,7 |
Sviluppo della coesione socioeconomica (norme sull’occupazione, sviluppo delle piccole-medie imprese, ecc.) | 5,35 | 17,5 | 13,55 | 6,3 |
Programmi per il consolidamento del sistema democratico (sviluppo della società civile, protezione delle minoranze, difesa dei diritti umani). | 0,5 | 3 | 3 | |
Partecipazione a vari programmi comunitari come Leonardo, Gioventù, e SOCRATES | 5 | 6,52 | 7 | 7,9 |
Politica regionale | ||||
Rispetto degli standard di sicurezza e di salute sul lavoro dell’acquis comunitario | 1,75 | 7,4 | ||
Cooperazione in vari programmi di finanziamento multilaterale e orizzontale (tra cui l’Ufficio di assistenza tecnica per lo scambio di informazioni) | ||||
Trasporti (sostegno agli investimenti) | 2 | 0,7 | ||
Totale escluso CBC (Cross-border cooperation, CBC) | 21 | 59 | 101 | 86,6 |
CBC | 29,4 | 10 | 19 | 19 |
Fonte: Regular reports.
L’importanza di tali fondi non risiedeva soltanto nel finanziamento a sostegno della preparazione all’adesione, ma anche nel graduale adeguamento dell’amministrazione ceca alle procedure della programmazione dell’UE. In effetti, la trasformazione dei modelli UE indicava che le istituzioni europee cominciavano a considerare la Repubblica Ceca più come uno Stato membro che come un paese candidato, se non addirittura come un paese associato.
Nel 1999 venne compiuto un passo notevole verso la preparazione all’adesione all’UE: una nuova procedura accelerata del Parlamento per l’armonizzazione della legislazione ceca con l’acquis comunitario. Questa procedura accelerata implicava un ruolo di primo piano del principale organo esecutivo, ossia l’Ufficio governativo della Repubblica Ceca. I compiti di coordinamento e di implementazione vennero gradatamente centralizzati nell’esecutivo nazionale. Un ulteriore, positivo sviluppo fu rappresentato da un nuovo documento sulla questione della minoranza rom.
Il Rapporto del 2000 giudicava positivamente l’avvio di riforme strutturali in concomitanza con la fine della recessione del 1999. Tuttavia, con gran dispiacere del governo ceco, il Rapporto non considerava ancora la Repubblica Ceca come un’economia di mercato pienamente funzionante. Questo giudizio si doveva principalmente all’assenza di una legge sull’amministrazione pubblica, che entrò in vigore soltanto nel 2002, e a dubbi persistenti sulla possibilità che il sistema giudiziario fosse in grado di garantire l’osservanza delle norme. Nel complesso, i Rapporti del 2001 e 2002 fornivano un quadro positivo sui passi compiuti per il soddisfacimento dei criteri politici ed economici, mettendo in rilievo i grandi progressi compiuti dalla Repubblica Ceca.
La Repubblica Ceca al momento dell’adesione
Per ciò che concerne i negoziati per l’adesione, le trattative terminarono nel dicembre 2002 con la chiusura di tutti i capitoli, fatta salva la possibilità di riaprire determinati capitoli dopo l’adesione. Tuttavia, la Commissione europea prevedeva severe sanzioni per gli Stati membri che avessero deciso in questo senso. Il Trattato di adesione fu firmato ad Atene il 16 aprile 2003, dopo che il Parlamento europeo ebbe votato a favore dell’allargamento, il 9 aprile 2003. Il Trattato di adesione elencava per capitoli i progressi dei negoziati e conteneva una serie di clausole per i regimi di transizione, relativamente all’acquisto di terreni agricoli e di residenze estive da parte di cittadini dell’UE, alla riforma dell’industria dell’acciaio, al mercato dell’energia, ad alcune imposte indirette, ad alcuni tipi di inquinamento industriale, ecc. Una questione importante nei negoziati riguardò i costi dell’adesione, per coprire i quali vennero richiesti pagamenti forfettari o perfino anticipi sui Fondi strutturali. Tra gli altri aspetti controversi vi erano la graduale introduzione da parte dell’UE di stanziamenti decennali all’agricoltura e la Libera circolazione delle persone all’interno dell’Unione. Per la Repubblica Ceca e per il governo di Vladimir Spidla risultavano particolarmente rilevanti i problemi di bilancio. La Repubblica Ceca, nei negoziati, riuscì a ottenere dall’UE fondi aggiuntivi sotto forma di anticipi sui pagamenti dei fondi strutturali.
Il referendum ceco del 13 giugno 2003 si concluse con una schiacciante vittoria dei voti a favore, con il 77% dei consensi. L’affluenza alle urne peraltro (55,2%) fu relativamente bassa. Il presidente Václav Klaus non prese posizione nel referendum. Il suo partito, l’ODS, ospitava molti euroscettici. Il referendum dimostrò la validità delle politiche perseguite da Vladimir Spidla e preparò la strada per l’adesione del maggio 2004.
Subito dopo l’ingresso nell’UE, i cittadini cechi parteciparono alle seste Elezioni dirette del Parlamento europeo, nel giugno 2004, pur con una percentuale dei votanti di appena il 28,32% degli aventi diritto.
Box 1 → Banca Nazionale Ceca
Box 2 → Mladá Fronta Dnes
Box → Partito civico democratico della Repubblica Ceca (ODS)
Christian C. van Stolk (2008)
Bibliografia
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