Revisione dei trattati
La procedura di revisione dei Trattati istitutivi delle tre Comunità economiche – Comunità europea del carbone e dell’acciaio (CECA), Comunità economica europea (CEE) e Comunità europea dell’energia atomica (CEEA) – e, in seguito, dell’Unione europea, ha subito nel corso degli anni alcune modifiche dovute all’evoluzione dell’ordinamento comunitario (v. anche Diritto comunitario). In origine, ciascun accordo istitutivo conteneva una clausola di revisione: l’art. 96 per il Trattato CECA; l’art. 236 per il Trattato CEE; l’art. 204 per il Trattato CEEA. Tali disposizioni prevedevano che eventuali emendamenti, adottati con Voto all’unanimità dal Consiglio dei ministri, avrebbero potuto essere direttamente raccomandati agli Stati per la procedura di ratifica, senza che fosse necessaria la convocazione di una Conferenza degli Stati membri (v. anche Conferenze intergovernative).
Con il Trattato di Maastricht sull’Unione europea (TUE), le procedure di revisione sono state unificate nell’art. N, divenuto, a seguito dell’entrata in vigore del Trattato di Amsterdam, l’art. 48 del TUE. In base a tale articolo, ogni Stato membro o la Commissione europea possono presentare un progetto di revisione al Consiglio dell’Unione europea Consiglio dei ministri. Il Consiglio si pronuncia sul progetto sottopostogli, dopo avere consultato il Parlamento europeo (PE), la Banca centrale europea nell’ipotesi in cui la modifica riguardi un aspetto istituzionale del settore monetario, nonché la Commissione nel caso in cui la proposta provenga dagli Stati membri. Se il Consiglio accoglie con voto favorevole il progetto, il presidente di turno (v. Presidenza dell’Unione europea) convoca una Conferenza dei rappresentanti dei governi degli Stati membri (CIG) (v. Conferenze intergovernative) allo scopo di stabilire le modifiche da apportare ai trattati istitutivi. Le modifiche così decise, inserite in un accordo internazionale, entrano in vigore dopo essere state ratificate da tutti gli Stati membri in conformità alle proprie norme costituzionali. In base all’art. 48 TUE, la procedura di revisione si sviluppa dunque in tre fasi: la prima, di natura comunitaria, in cui i principali protagonisti sono le Istituzioni comunitarie; la seconda, di carattere intergovernativo, in cui l’azione principale è svolta dai rappresentanti degli Stati membri che negoziano nel merito il contenuto delle modifiche da apportare ai trattati; infine, una terza, a livello statale, attraverso la quale tali modifiche vengono recepite da ciascuno Stato membro in base alle proprie procedure di ratifica.
Peraltro, la prassi sembra, in parte, discostarsi dalla procedura sopra descritta: in primo luogo, il Consiglio europeo ha ormai sostituito gli Stati membri nella titolarità dell’iniziativa di revisione; in secondo luogo, le istituzioni comunitarie svolgono un ruolo rilevante nell’intera procedura e non solo nella fase iniziale. I rappresentanti della Commissione e talvolta del PE partecipano infatti ai negoziati della CIG e il testo finale da essa adottato è approvato dal Consiglio europeo prima di essere sottoposto alla firma dei rappresentanti degli Stati membri.
Oltre alla procedura di revisione prevista all’art. 48 TUE, il Trattato che istituisce la Comunità europea (TCE) (v. Trattati di Roma) attribuisce al Consiglio la competenza ad apportare modifiche al Trattato con una propria decisione, adottata, a seconda delle materie, a maggioranza qualificata o all’unanimità, senza ricorrere al procedimento solenne sopra descritto. Tale competenza è riconosciuta al Consiglio nell’ambito della Politica comune dei trasporti (art. 80, par. 2) (v. Politica comune dei trasporti della CE), in quelle economica (art. 104) e monetaria (v. Unione economica e monetaria) (art. 107, par. 5), nonché nella determinazione del numero dei giudici e avvocati generali della Corte di giustizia delle Comunità europee (artt. 221 e 222) (v. Corte di giustizia dell’Unione europea) e, per quanto concerne i primi, del Tribunale di primo grado (art. 225, par. 2).
Tra le procedure interne di revisione del TCE, un discorso a parte merita l’art. 308. In base a tale norma, il Consiglio, deliberando all’unanimità, su proposta della Commissione e previo parere del PE, può adottare tutti gli atti che ritenga necessari per raggiungere uno degli scopi della Comunità, nell’ipotesi in cui non siano previsti nel Trattato i poteri necessari. L’articolo introduce in qualche modo una procedura semplificata di revisione, anche se occorre sottolinearne i limiti. Infatti, la norma è applicabile al solo TCE e non è estendibile al TUE, con la conseguenza che qualsiasi ampliamento dei poteri dell’Unione europea deve essere effettuato in conformità all’art. 48. Inoltre, in alcuni pareri resi dalla Corte di giustizia, è stabilito che per ogni modifica di carattere sostanziale e di rilevanza costituzionale dei trattati che comporti la modifica della struttura istituzionale o dell’equilibrio tra le istituzioni (Corte di giustizia delle Comunità europee 28 marzo 1996, parere 2/94, Adesione alla Commissione europea dei diritti umani, in “Raccolta della giurisprudenza”, p. I-1759, punto 35) e la trasformazione di una competenza mista in esclusiva (CGCE 15 novembre 1994, parere 1/94, Organizzazione mondiale del commercio, ivi, I-5267, punti 88, 89 e 101) la procedura di revisione dell’art. 48 debba essere rispettata. Da ciò si ricava che tali materie sono sottratte automaticamente alla procedura di revisione prevista all’art. 308.
Infine, un ultimo problema riguarda l’esistenza o meno di un limite alla revisione dei trattati istitutivi delle Comunità. Si tratta cioè di stabilire se tutte le norme in essi contenute siano modificabili o se alcune, espressione dei principi fondamentali dell’ordinamento comunitario, non possano essere oggetto di revisione o abrogazione. La questione non trova soluzione né nei trattati istitutivi né nella giurisprudenza della Corte di giustizia delle Comunità europee. In effetti, la Corte, pur avendo più volte riconosciuto nelle proprie pronunce l’esistenza di principi fondamentali, non si è quasi mai soffermata sulla loro inderogabilità. L’unico caso in cui la Corte si è pronunciata in tal senso si è avuto nel parere reso il 14 dicembre del 1991 sulla compatibilità tra il sistema giurisdizionale previsto nella prima versione dell’accordo sullo Spazio economico europeo e il TCE. Nell’occasione, la Corte ha affermato l’impossibilità di modificare il sistema giurisdizionale istituito dall’art. 220 del TCE, né per mezzo di un nuovo accordo, né mediante revisione, riconoscendo quindi a esso e alle norme collegate natura inderogabile (CGCE 14 dicembre 1991, parere 1/91, Accordo sullo Spazio economico europeo, in “Raccolta della giurisprudenza”, p. I-6079, punto 71).
In realtà, sebbene da un punto di vista teorico i trattati istitutivi rimangano accordi internazionali e come tali suscettibili di modifica in ogni loro parte, salvo i limiti previsti dal diritto internazionale generale, a livello sostanziale è piuttosto difficile ammettere che le norme fondamentali dell’ordinamento comunitario possano essere oggetto di revisione. Qualora si verificasse questa ultima ipotesi, non ci si troverebbe infatti di fronte a una vera e propria revisione, bensì a una trasformazione del sistema comunitario in un ordinamento nuovo e distinto rispetto a esso.
Massimo Francesco Orzan (2007)