Rey, Jean
R. (Liegi 1902-ivi 1983) è stato un avvocato e uomo politico belga ed europeo, deputato liberale di Liegi (1939-1958), più volte ministro (1949-1958), membro (1958-1967) e poi presidente (1967-1970) della Commissione europea.
R., che Raymond Barre ha definito «europeo fino alla radice dei capelli», curiosamente figura di rado nel pantheon dei “padri dell’Europa”. Eppure la sua carriera politica, sia a livello belga che europeo, ne testimonia l’impegno incondizionato a favore dell’integrazione europea (v. Integrazione, teorie della; Integrazione, metodo della). Se la Seconda guerra mondiale, durante la quale è prigioniero in Germania, gli fa prendere coscienza dolorosamente della necessità vitale di unificare l’Europa, sono senz’altro le sue origini – svizzere, tedesche, italiane, francesi, belghe – e il suo ambiente familiare che lo condizionano a “pensare da europeo”.
«Figlio e artefice dell’Europa» (v. Fenaux, 1972), forte di un’eredità familiare al tempo stesso protestante, liberale e internazionalista, R. si lancia nella vita politica.
Dopo gli studi umanistici all’Athénée royal di Liegi, il giovane R., grazie a una borsa di studio della fondazione universitaria, si dedica alla giurisprudenza all’Università di Liegi. Segnato dall’insegnamento del sociologo Ernest Mahaim, esperto di diritto internazionale e collaboratore del Bureau International du Travail (BIT), R. si entusiasma per l’attività della Società delle Nazioni. Ammiratore di Aristide Briand e di Paul Hymans, il giovane studente aderisce alla sezione dell’Union belge pour la Société des Nations di Liegi (v. Poorterman, 1984, p. 5) e nel 1928, dieci anni dopo la fine della Prima guerra mondiale, invita a Liegi alcuni pacifisti tedeschi. Questa fedeltà all’opera di Wilson rimane intatta ancora per molto tempo dopo il fallimento dell’istituzione ginevrina. Nel luglio 1939 organizza a Liegi, insieme a Paul Struye e Herman Vos, il quarto congresso dell’Union belge pour la Société des Nations (v. Balace, 2004, p. 29).
Dopo la laurea in giurisprudenza R. si iscrive come avvocato alla Corte d’appello di Liegi (1926-1958) e nel settembre 1930 aderisce al Congrès de concentration wallonne. Tre anni dopo, insieme a Fernand Dehousse, lancia il settimanale “L’Action wallonne” per difendere i progetti di difesa delle frontiere e l’alleanza franco-belga del 1920, e per fustigare Rex, il Vlaams Nationaal Blok (VNV), Henri De Man, Paul-Henri Charles Spaak e la politica d’indipendenza del Belgio. Nel 1924 entra nelle file del Partito liberale, sia per convinzione che per tradizione familiare (v. Balace, 2004, p. 19). Questa scelta “pericolosa” in una Vallonia in cui il voto, dopo l’instaurazione del suffragio universale, tende a confluire verso il Parti ouvrier belge (POB), si rivela vantaggiosa. Consigliere comunale a Liegi nel 1935, entra a far parte della Camera dei rappresentanti. In questo emiciclo manifesta nel modo più esplicito la sua opposizione nei confronti della politica neutralista incarnata da Paul-Henri Spaak. «È falso affermare che il Belgio non ha interessi essenziali in gioco», dichiara nel giugno 1939, «abbiamo un interesse immenso, quello della pace […]. Ma ne abbiamo anche un altro altrettanto importante: vedere regnare nell’Occidente dell’Europa un regime internazionale rispettoso dei trattati e dell’indipendenza dei piccoli Stati» (intervento di R. alla Camera dei rappresentanti, Annales parlementaires, giugno 1939). Ma il 10 maggio 1940, quando la Germania invade il Belgio, R. assiste in uniforme alla seduta della Camera, «stringe la mano a Spaak dicendogli che i loro contrasti sono dimenticati, che ormai non ci sono che i Belgi in lotta contro lo stesso nemico» (v. Balace, 2004, p. 36).
R. è fatto prigioniero dai tedeschi durante la campagna dei diciotto giorni e rientra in Belgio solo nel 1945. Ritrova il suo seggio di deputato liberale (1946-1958), ma milita su vari fronti: Federalismo, liberalismo ed Europa (v. Poorterman, 1984, p. 26). R., che in un articolo pubblicato nel 1937 sulla rivista “Le Flambeau” delineava i tratti federalisti dello “Stato del domani”, partecipa nell’ottobre 1945 al congresso nazionale vallone di Liegi. Sostiene con forza l’opzione federalista per contrastare, in particolare, la volontà di alcuni membri che vorrebbero annettere la Vallonia alla Francia: «La soluzione federalista è quella che presenta più vantaggi immediati per cercare di mantenere unita la Vallonia, una Vallonia capace di azione o di unione nell’immediato. Per questo vi invito a pronunciarvi per la soluzione federale» (cit. in Poorterman, 1984, p. 26). Quest’esortazione si concretizza nel 1947 in una proposta di legge sull’organizzazione di uno Stato federale – proposta che i parlamentari si rifiuteranno di esaminare.
R. vive la sua prima esperienza internazionale come delegato supplente alla terza assemblea generale dell’ONU che si tiene a Parigi nel 1948. È favorevole al Trattato di Bruxelles e all’Alleanza atlantica (v. Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico). Nel 1949, quando è delegato supplente alla prima assemblea del Consiglio d’Europa, è nominato ministro della Ricostruzione nel governo Eyskens (agosto 1949-aprile 1950). Quanto alla questione regale, si dichiara favorevole a una consultazione popolare in merito al ritorno di Leopoldo III. Ma qualche mese dopo, tornando sui banchi dell’opposizione, si dichiara contrario al rientro incondizionato del sovrano – la popolazione vallona si era pronunciata in maggioranza contro. Consapevole della posta in gioco a livello europeo, R., una volta diventato ministro degli Affari economici (23 aprile 1954-gennaio 1958) nel governo Van Acker, asseconda Spaak «cedendogli i suoi collaboratori più preziosi, come il barone Jean-Charles Snoy et d’Oppuers e l’ambasciatore van der Meulen e appoggiando con fermezza la firma dei Trattati di Roma» (v. Conrad, 2007, p. 112).
Liberale vallone, europeo convinto, forte di una seria esperienza acquisita nel Consiglio dei ministri della Comunità europea del carbone e dell’acciaio (CECA) (1954-1958), R., nel contesto politico belga, ha il profilo ideale per far parte della Commissione sul Mercato comune istituita dai Trattati di Roma (27 marzo 1957). Il 10 gennaio 1958 è nominato membro della prima Commissione europea della Comunità economica europea (CEE) presieduta da Walter Hallstein. Ottiene la presidenza del Gruppo relazioni esterne e in questa veste dirige fino al 1967 un notevole numero di negoziati – Accordo generale sulle tariffe e il commercio (GATT), Comitato Mauldling, accordi d’Associazione, negoziati d’adesione, ecc. I più famosi restano quelli del Kennedy Round (v. Kennedy, John Fitzgerald); in occasione di questi negoziati, avviati a Ginevra il 4 maggio 1964 al fine di ridurre le barriere doganali per il commercio dei prodotti primari, agricoli, industriali, manifatturieri, R., con la sua forza di persuasione e la sua tenacia, riesce a negoziare a nome dei Sei un abbassamento tariffario dell’ordine del 35-40%. Una vittoria, considerato che gli Stati Uniti miravano a una riduzione tariffaria del 50% senza garantire alla Comunità europea una reciprocità accettabile. «Alla base degli accordi commerciali – nota R. nel maggio 1967 alla fine dei negoziati – c’è una verità che l’esperienza conferma: l’aggressività commerciale è un sostitutivo delle conquiste militari; offre gli stessi pericoli e le stesse minacce; la politica comunitaria rappresenta l’antidoto contro questi pericoli e, una volta affermatasi, il rimedio» (cit. in Planchar, 2004, p. 62). In effetti in questi primi anni R., che si scontra spesso con Hallstein, intenzionato a essere, de facto, il padrone della politica estera, tenta di imporre il “suo rimedio”. In una parola, la Commissione deve assumere la dimensione politica della sua funzione, i suoi membri devono essere «dei profeti e non soltanto un clero» (cit. in Conrad, 2007, p. 118).
Anche se R. si mostra interessato al risvolto commerciale del suo portafoglio, insiste regolarmente con i colleghi affinché la Commissione europea intervenga nel dibattito politico europeo e rifletta sull’avvenire e l’Approfondimento del Mercato comune. Tenta anche di rimediare alle crisi che attraversano le Istituzioni comunitarie. Nell’ottobre 1962, poiché i governi sono sempre bloccati dall’impasse conseguente al fallimento del Piano Fouchet, R. suggerisce vent’anni prima del Trattato di Maastricht di creare un pilastro per la politica estera e la difesa e un secondo pilastro per rafforzare le comunità economiche (v. anche Politica estera e di sicurezza comune). Nel gennaio 1963, quando il generale Charles de Gaulle pone il suo veto all’Adesione britannica interrompendo i negoziati, R. si indigna che si possa liquidare per opportunismo la leadership della Commissione. Ritiene che quest’ultima «debba difendere i suoi meccanismi e il suo spirito moltiplicando le sue iniziative e la sua presenza» (Archives de l’Université Libre de Bruxelles: Papiers Jean Rey AULB, 126 PP, VI-34: Note de Jean Rey pour le dossier Grande-Bretagne, 23 gennaio 1963). All’epoca della crisi della “sedia vuota” il tandem Spaak-R. svolge un ruolo importante per garantire l’intangibilità dei Trattati (v. Planchar, 2004, p. 65). Questa grande fermezza porterà la Francia a riprendere il suo posto nel Consiglio il 29 gennaio 1966 (Compromesso di Lussemburgo).
Nel luglio 1967 R. succede ad Hallstein a capo della Commissione. Il nuovo presidente, forte del successo ottenuto nei negoziati del Kennedy Round, si confronta con due sfide prioritarie: la fusione degli esecutivi e delle loro rispettive amministrazioni (Trattato di fusione dell’8 aprile 1965) e la questione dell’Allargamento. Grazie all’aiuto di Émile Noël, segretario esecutivo della CEE, R. riesce rapidamente ed efficacemente a mettere in cantiere una commissione unica. Da oltre due anni Noël ha preparato in un comitato ristretto, con la collaborazione dei segretari generali degli altri due esecutivi (Euratom e CECA), la riorganizzazione dell’amministrazione e quella del collegio della Commissione. Il 20 settembre R. si presenta insieme ai membri della sua nuova Commissione allargata davanti al Parlamento europeo. All’atto di questa investitura il presidente, che esprime la sua volontà di giocare la carta della collegialità e del dialogo con gli Stati membri, insiste sul nuovo slancio politico da dare all’Europa. A suo parere tre sono gli assi da privilegiare: la Politica industriale, la Politica dell’energia e la Politica della ricerca scientifica e tecnologica, fino a quel momento intralciate dalla frammentazione degli esecutivi. R. conserva come sua prerogativa la politica generale e durante il suo mandato si adopererà per rafforzare l’informazione europea al fine di chiarire le idee all’opinione pubblica. In questo senso appoggia i progetti della direzione generale incaricata dell’informazione, ma prende anche delle iniziative più generali all’interno del collegio (programma d’azione pluriennale, dibattiti aperti alla società civile, ecc.). Nel 1968 R. ammette che la Comunità europea è in crisi a causa delle posizioni della Francia gollista, tuttavia «continua instancabilmente a lavorare per migliorare la situazione e cogliere dei segnali che permettano di sperare» (v. Conrad, 2007, p. 124). Sotto la sua presidenza si determinano anche alcuni importanti cambiamenti. Il 1° luglio 1968, con diciotto mesi di anticipo sul calendario, si realizza la prima tappa del Mercato comune, quella dell’Unione doganale inserita all’inizio dei Trattati di Roma. Vengono introdotti anche i primi abbassamenti tariffari concordati durante i negoziati del Kennedy Round. La Commissione adotta parallelamente nuovi regolamenti doganali e commerciali ed elabora ampi programmi di riforma strutturale nei settori agricolo, monetario, tecnologico, regionale ed energetico (v. anche Programmi comunitari).
Le dimissioni di de Gaulle dalla presidenza della Repubblica il 28 aprile 1969 e la sua sostituzione con Georges Pompidou aprono una fase nuova della costruzione europea. La Commissione da questo momento può riaffrontare il capitolo delle adesioni – del Regno Unito, dell’Irlanda, della Danimarca e della Norvegia. R. ne approfitta per difendere l’idea di un approfondimento e di una riforma istituzionale per ottimizzare l’allargamento. Temendo il pericolo di negoziati bilaterali divergenti, spera di associare maggiormente la Commissione ai negoziati per l’adesione. Ma è ostacolato da Jean-François Deniau, che a nome della Francia si oppone talvolta brutalmente a questi progetti di riforma istituzionale.
Malgrado la freddezza diffusa, Pompidou prende l’iniziativa di promuovere una Conferenza intergovernativa (v. Conferenze intergovernative). Il Vertice dell’Aia ha Haye des 1er et 2 décembre 1969 marque un nouveau tournant dans l’histoire de la construction européenne puisque, pour la première fois, la Commission est associée partiellement à un Sommet du Conseil. Jean Rey, accompagné des vice-présidents et de hauts fonctionnaires, participe à une partie des négociations notamment sur base d’un mémorandum. Ce document « aide-mémoire » porte indéniablement la griffe de Jean Rey. Avec l’aide de Raymond Barre, jeune commissaire français, le président de la Commission entend insuffler un nouvel élan à la politique européenne en élaborant trois objectifs : l’achèvement du Marché commun, l’approfondissement des institutions et l’élargissement à la Grande-Bretagne, l’Irlande et les pays scandinaves. Si à l’issue de la conférence, Rey est déçu – aucun progrès n’est réalisé en ce qui concerne l’Europe politique, aucun renforcement des institutions n’a même été envisagé –, il se rallie à l’enthousiasme générale : « L’importance des événements qui se sont produits dans la Communauté, dans les derniers mois, est considérable », déclare-t-il en mai 1970, à la veille de son départ à la tête de la Commission. « La Communauté est […] sortie de sa période de transition et elle entre dans une nouvelle phase de son existence » (Déclaration de Jean Rey publiée dans Le Bulletin des Communautés européennes, reproduit dans Poorterman, 1984, p. 319).
Jean Rey ne participera plus directement à cette nouvelle phase de l’intégration européenne. Suite à la réduction du nombre de commissaires européens voulue par la France et relayée activement par Jean Monnet, seul un Belge peut désormais siéger à la Commission. Dès lors, Jean Rey qui est pourtant soutenu par le ministre des Affaires étrangères, Pierre Harmel, entre en compétition avec Albert Coppé. Issu de la CECA, ce commissaire tient absolument à rester en place et, pour ce faire, sollicite le soutien de l’aile flamande du parti social-chrétien. C’est donc avec amertume que Rey apprend que le gouvernement belge a décidé de nommer Coppé comme unique représentant belge à la Commission. En juin 1970, il quitte la Commission européenne suscitant, de toute part, d’élogieux commentaires (Cf. Conrad, 2007, pp. 126-128).
Alors qu’au terme de son mandat, Rey répond aux invitations du secteur privé – il est commissaire chez Philips Electrical, président du conseil d’administration de la Sofina et des Papeteries de Belgique – il poursuit une activité européenne. Président du conseil d’administration du Collège d’Europe à Bruges et de la Société d’études et d’expansion de Liège, il est nommé, à la suite d’Hallstein, président du Mouvement européen (1947-1978). C’est à ce titre qu’il organise, début 1976, un Congrès de l’Europe, qui réunit l’ensemble des personnalités européennes de l’époque. Sa « dernière ambition politique » (Planchar, 2004, p. 69) est atteinte lorsqu’en 1979, il est élu, avec plus de 40 000 voix de préférence, député européen au Parlement de Strasbourg.
Si Jean Rey asegnato profondamente la storia della Comunità europea per la sua azione decisa e costruttiva; l’impegno europeo riprende quota. A prescindere dal periodo fra le due guerre, i discorsi pronunciati alla Camera dei deputati sulla CECA (giugno 1952) e sulla Comunità europea di difesa (novembre 1953) testimoniavano già un’adesione incondizionata di R. alla causa europea. È opportuno sottolineare inoltre il ruolo cruciale svolto da R. a fianco di Spaak nella ratifica del Trattato di Parigi per la CECA e dei Trattati di Roma per la CEE-Euratom e nel febbraio 1976, quando dalle colonne del mensile economico “Vision” esprime le grandi speranze risposte nelle disposizioni politiche contenute nel Rapporto Tindemans sull’Unione europea (J. Rey, Rapport Tindemans: l’heure d’agir, in “Vision”, febbraio 1976, n. 63, p. 11). L’ideale europeo che si fonda sulle sue convinzioni liberali e federaliste ha influenzato un gran numero di contemporanei. Come scrive De Clerq (v. Balace, De Clerq, Planchar, 2004, pp. 43-44): «Dall’inizio alla fine della sua vita è stato un europeo convinto. […] Per lui l’Europa era innanzitutto una comunità di valori. Valori che attingeva con una costanza indefettibile al suo attaccamento profondo ad un liberalismo nobile e generoso. Per lui l’Europa doveva essere anche e soprattutto quella dei popoli. […] Jean Rey è uno degli architetti più illustri della costruzione dell’Unione europea».
Jenèvieve Duchenne (2010)