Rinvio pregiudiziale
Ai sensi dell’art. 234 del Trattato istituivo della Comunità europea (CE) (v. Trattati di Roma), la Corte di giustizia delle Comunità europee (v. Corte di giustizia dell’Unione europea) è competente a pronunciarsi in via pregiudiziale sulle questioni concernenti il Diritto comunitario che sorgono nel corso di un giudizio pendente davanti a una giurisdizione di uno degli Stati membri. Tale competenza è esercitata mediante la cooperazione con il giudice nazionale, il quale, poiché il diritto comunitario ha una applicazione soprattutto decentrata a opera degli Stati membri e dei loro organi, è il vero e proprio giudice comune del diritto comunitario. Il rinvio pregiudiziale mette, infatti, in relazione il giudice nazionale con la Corte di giustizia (e nella prospettiva delle riforme al sistema giurisdizionale comunitario introdotte dal Trattato di Nizza, anche con il Tribunale di primo grado, limitatamente ad alcune materie specifiche), offrendogli il mezzo per sormontare le difficoltà che possono insorgere dall’imperativo di conferire al diritto comunitario piena efficacia nell’ambito degli ordinamenti giuridici degli Stati membri. Il relativo giudizio svolge due funzioni complementari: il rinvio pregiudiziale “per interpretazione” e quello “per accertamento di validità”.
Il rinvio pregiudiziale per interpretazione mira, in primo luogo, ad assicurare l’uniforme e corretta interpretazione e applicazione del diritto comunitario (v. Diritto comunitario, applicazione del) in tutti gli Stati membri. In secondo luogo, consente di verificare indirettamente (rispetto all’azione per inadempimento dell’art. 226 del Trattato CE) la compatibilità (o la legittimità) del diritto nazionale con il diritto comunitario. Dal canto suo, il rinvio pregiudiziale per accertamento di validità completa il sistema del controllo giurisdizionale sulla legittimità degli atti comunitari (rispetto all’azione di annullamento di cui all’art. 230 del Trattato CE, all’azione di responsabilità, di cui agli art. 235 e 288 del Trattato CE, e all’eccezione di invalidità di cui all’art. 241 del Trattato CE), conferendo soprattutto ai singoli una tutela rispetto agli atti di portata generale, che essi non possono impugnare, salvo ad esserne direttamente ed individualmente riguardati.
Secondo l’art. 234 del Trattato CE, il giudice nazionale ha la facoltà e, se di ultima istanza, l’obbligo di chiedere alla Corte una pronuncia sull’interpretazione ovvero sulla validità di una norma comunitaria quando siffatta pronuncia sia necessaria per risolvere la controversia di cui è investito.
L’oggetto del rinvio pregiudiziale per interpretazione riguarda il diritto comunitario inteso in senso ampio, e comprende, pertanto, le norme dei trattati e degli atti di pari rango, tutti gli atti adottati dalle Istituzioni comunitarie, anche non aventi carattere vincolante, i principi generali del diritto comunitario, gli accordi internazionali conclusi dalle Comunità, gli atti posti in essere da organi istituiti da accordi tra la Comunità e Stati terzi, e così via. L’accertamento di validità riguarda, invece, gli atti emessi dalle istituzioni comunitarie. Si tratta, in sostanza, degli atti vincolanti impugnabili con il ricorso previsto dall’art. 230 del Trattato CE.
In seguito alle modifiche apportate dal trattato di Amsterdam, la Corte può conoscere in via pregiudiziale anche degli atti adottati in materia di Cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale, ai sensi dell’art. 35 del Trattato istitutivo dell’Unione europea (UE) (v. Trattato di Maastricht), qualora gli Stati membri abbiano specificamente accettato la competenza della Corte (l’Italia ha provveduto in tal senso). La Corte è competente a pronunciarsi in via pregiudiziale sulle decisioni (v. Decisione) adottate dal Consiglio dei ministri che costituiscono il c.d. acquis Schengen (protocollo n. 2 allegato al Trattato CE). Infine, l’art. 68 del Trattato CE prevede che i giudici di ultima istanza possono richiedere in via pregiudiziale, con talune eccezioni, l’interpretazione e la validità degli atti in tema di visti, asilo, immigrazione (v. anche Politiche dell’immigrazione e dell’asilo) e altre politiche connesse alla Libera circolazione delle persone, di cui al titolo IV del Trattato CE.
Il rinvio pregiudiziale può essere richiesto da qualunque “giurisdizione nazionale”, la cui nozione “comunitaria” è stata ricostruita dalla Corte sulla base di determinati elementi (origine legale e non convenzionale dell’organo, stabilità, obbligatorietà, applicazione del diritto, indipendenza e terzietà). È il giudice nazionale a valutare la pertinenza del rinvio ai fini della decisione della causa. La Corte non può sindacare la motivazione della domanda di rinvio, a meno che non si tratti di controversie “fittizie”, di questioni puramente ipotetiche o senza sufficiente collegamento con l’oggetto della causa nazionale, ovvero l’ordinanza di rinvio non abbia definito il quadro di fatto e di diritto nel quale si inseriscono le questioni proposte e l’esigenza di una risposta della Corte ai fini della decisione della controversia pendente avanti al giudice nazionale, ovvero di situazioni puramente interne, cioè senza alcun nesso con il diritto comunitario.
Mentre il giudice non di ultima istanza ha facoltà di proporre un rinvio pregiudiziale per interpretazione, quello avverso le cui decisioni non è proponibile ricorso è obbligato al rinvio, salvo che la questione sia materialmente identica ad altra già decisa dalla Corte oppure vi sia sul punto una giurisprudenza consolidata, ovvero non vi sia alcun dubbio interpretativo (cd. “atto chiaro”). Rispetto al rinvio per l’accertamento di validità la Corte ha ritenuto che pure il giudice di non ultima istanza sia obbligato (sentenza 22 ottobre 1987, causa 314/85, Foto-Frost), se la sua decisione dipende dalla illegittimità dell’atto in questione.
La sentenza “interpretativa” vincola il giudice del rinvio nel senso che, se egli applica la norma comunitaria, è tenuto a seguire l’interpretazione della Corte. Anche altri giudici e le amministrazioni nazionali sono vincolati, quando applicano le norme interpretate dalla Corte, ai punti di diritto da essa precisati (Corte cost. 113/1985, 168/1991) salvo, per i giudici, procedere a un nuovo rinvio pregiudiziale. La sentenza che accerta “l’invalidità” ha effetto di cosa giudicata sia formale che sostanziale, producendo un effetto sostanzialmente analogo alla sentenza di annullamento. Di regola, le sentenze pregiudiziali hanno efficacia ex tunc, estendendosi a rapporti sorti prima della sentenza, purché non esauriti.
Tuttavia, la Corte, per esigenze di certezza del diritto, ha esteso, a titolo eccezionale, alle pronunce pregiudiziali la possibilità, prevista dall’art. 231 solo per le sentenze di annullamento, di limitare gli effetti temporali della pronuncia, dichiarandone l’efficacia ex nunc (sentenza 22 maggio 1985, causa 33/84, Fragd).
Carlo Curti Gialdino (2009)