Il 3 ottobre 1990, la Repubblica federale di Germania (Bundesrepublik Deutschland, BRD) e la Repubblica democratica tedesca (Deutsche demokratische Republik, DDR) si riunirono sotto un unico governo, mettendo fine a una divisione della Germania durata più di quarant’anni. Al termine della Seconda guerra mondiale la Germania era stata divisa in quattro zone d’occupazione, ognuna controllata da una delle quattro potenze vincitrici del conflitto: Francia, Unione Sovietica, Regno Unito e Stati Uniti d’America. Sebbene l’intento fosse quello di un’occupazione temporanea delle quattro zone, a seguito della guerra fredda nel 1949 le tre zone occidentali vennero riunite per formare la BRD mentre la zona orientale, che si trovava sotto l’autorità dell’Unione Sovietica, si trasformò nella DDR. La vecchia capitale, Berlino, che si trovava nella zona orientale, fu a sua volta suddivisa in quattro zone di occupazione.
Subito dopo la creazione di due Stati tedeschi separati, da entrambe le parti giunsero richieste a favore della riunificazione. La prima significativa proposta per la riunificazione tedesca che fu avanzata da Stalin nel 1952, sosteneva la creazione di una Germania neutrale con un confine orientale posto lungo la linea Oder-Neisse e il ritiro delle truppe alleate nel giro di un anno. Il governo della Germania Ovest presieduto da Konrad Adenauer, tuttavia, si mostrò scettico riguardo a questa proposta e dichiarò che la riunificazione sarebbe potuta avvenire soltanto se si fosse assicurato lo svolgimento di elezioni in tutta la Germania sotto osservazione internazionale. Tale condizione, a sua volta, venne respinta dai sovietici. Nemmeno le speranze per la riunificazione sorte nel 1955, in seguito al trattato che restituiva all’Austria la sovranità, furono soddisfatte. Invece di realizzare la riunificazione, negli anni seguenti il clima tra le due parti si inasprì finché, nel 1961, la parte occidentale della città venne separata materialmente con la costruzione del Muro di Berlino.
Negli anni successivi, la Germania Ovest cambiò varie volte posizione nei riguardi del suo vicino orientale. Inizialmente, la cosiddetta dottrina di Walter Hallstein proclamò che la BRD aveva il diritto esclusivo di rappresentare l’intera nazione tedesca e che, a eccezione dell’Unione Sovietica, la Germania dell’Ovest non avrebbe stabilito o mantenuto relazioni diplomatiche con nessuno Stato che avesse riconosciuto la Germania Est. Una volta applicata, la dottrina condusse a un raffreddamento delle relazioni con la Iugoslavia nel 1957. Dopo un cambio di governo, tuttavia, il nuovo cancelliere Willy Brandt abbandonò la dottrina e adottò invece la cosiddetta Ostpolitik (politica orientale), la quale richiedeva un miglioramento delle relazioni con i paesi dell’Europa dell’Est sotto il regime comunista. Nel successivo “Trattato fondamentale“ (Grundvertrag), le due Germanie, sebbene formalmente non riconoscessero la reciproca esistenza come Stati, riuscirono almeno a stabilire contatti regolari. Questa distensione tra le due Germanie, inoltre, rese possibile un accordo fra l’Unione Sovietica e le potenze occidentali in merito allo status di Berlino Ovest.
Verso la metà degli anni Ottanta, benché le relazioni tra le due Germanie si mantenessero stabili, la riunificazione tedesca era ampiamente considerata, da entrambi le parti, una lontana speranza. Tuttavia, grazie ai cambiamenti politici occorsi nell’Unione Sovietica, ilr realizzarsi di questa speranza sembrò improvvisamente a portata di mano. Nel 1958 l’ascesa al potere in Unione Sovietica del riformista Michail Gorbačëv, il movimento di riforme in Polonia e la recessione economica contribuirono all’indebolimento dei regimi comunisti nell’Europa orientale. Sebbene all’inizio il movimento riformista nella Germania Est fosse debole in confronto a quello degli altri paesi dell’Europa dell’Est, l’inflessibilità di Erich Honeker, segretario generale del Comitato centrale del Partito di unità socialista di Germania (Sozialistische Einheitspartei Deutschlands, SED) rese prevedibile il dilagare del malcontento quando altri paesi dell’Europa dell’Est iniziaron a introdurre una serie di riforme. Nel maggio 1989, la manipolazione dei risultati delle elezioni regionali da parte del regime fu la scintilla che fece scoppiare l’insoddisfazione esistente.
Nell’estate 1989, migliaia di turisti provenienti dalla DDR iniziarono a occupare le ambasciate della BRD a Budapest, Praga e Varsavia, nonché la missione diplomatica insediata a Berlino Est, allo scopo di ottenere il permesso di lasciare la DDR. Quando l’Ungheria riaprì i confini con l’Austria nel settembre 1989, più di 13.000 tedeschi dell’Est fuggirono a Ovest. Si moltiplicarono inoltre le manifestazioni di massa contro il regime nella DDR, specialmente a Lipsia, dall’autunno 1989 in poi. In occasione della celebrazione dei 40 anni della DDR, il 7 ottobre, vi furono diffuse proteste contro le manipolazioni delle elezioni municipali di maggio. Tra i duemila e i tremila dimostranti si riversarono nelle vie di Berlino Est, dando vita alla più imponente manifestazione di protesta contro il regime dal 1953, soffocata peraltro con la violenza dalle forze dell’ordine. Ciononostante, appena due giorni dopo ebbe luogo a Lipsia un’altra grande manifestazione, in cui 70.000 dimostranti gridarono “Noi siamo il popolo”. Il 18 ottobre, di fronte a una così vasta protesta popolare contro il regime, Honecker si dimise dalla carica di segretario generale della SED ed Erich Krenz venne eletto suo successore.
Il 7 novembre, a fronte del dilagare della protesta, l’intero governo della Germania dell’Est si dimise. Il 9 novembre 1989 il nuovo Comitato centrale del partito annunciava che le restrizioni ai viaggi dei cittadini tedeschi dell’Est sarebbero state abolite. In risposta a tale annuncio, un’enorme folla di tedeschi dell’Est si diresse verso il Muro di Berlino, dove le guardie di confine, travolte dalla folla, aprirono infine i punti d’accesso. Nei giorni successivi, migliaia di tedeschi di entrambe le parti della Germania cominciarono ad abbattere il Muro, e più di un milione di persone ogni giorno attraversarono il confine. Eletto presidente del Consiglio dei ministri il 13 novembre, Hans Modrow richiese un’associazione di tipo contrattuale come obiettivo della collaborazione tra le due Germanie. In risposta a tale richiesta, il Cancelliere della BRD Helmut Kohl (della Christlich-demokratische Union, CDU) già il 28 novembre 1989 presentò al Parlamento della Germania dell’Ovest un piano in dieci punti per la graduale riunificazione della Germania. Egli proponeva un progressivo sviluppo delle relazioni tra le due Germanie fino alla costituzione di un unico Stato federale. Gli aiuti economici, comunque, erano vincolati a prerequisiti quali le elezioni libere e la fine del monopolio sul potere della SED, il rilascio dei prigionieri politici e la costituzione di un’economia di libero mercato. La replica di Krenz fu quella di insistere sulla conservazione di due Stati tedeschi separati.
Agli inizi di dicembre, la Volkskammer, il parlamento della DDR, abolì la preminenza della SED dalla Costituzione. Inoltre, l’intero Politburo della SED si dimise il 3 dicembre e Krenz rassegnò le sue dimissioni da presidente del Consiglio di Stato il 6 dicembre. Il giorno seguente iniziarono le tavole rotonde fra la SED, altri partiti politici della DDR e l’opposizione, che proseguirono fino al gennaio 1990. Il 13 febbraio 1990, durante una visita del nuovo primo ministro della DDR, Modrow, nella BRD, le due parti decisero di nominare una commissione congiunta al fine di analizzare le possibilità di giungere il prima possibile all’unificazione monetaria. Infine, nelle prime elezioni libere tenutesi in Germania Est nel marzo 1990, un’alleanza conservatrice sotto la direzione della CDU ebbe la maggioranza dei seggi. Di conseguenza, il 12 aprile, salì al potere un nuovo governo di coalizione guidato da Lothar de Maizière, un politico della CDU, anche con il sostegno dei socialdemocratici e dei liberali. Il successo dei partiti conservatori si ripeté alle elezioni comunali del 6 maggio. Una delle cause dello scarso risultato del Partito socialdemocratico tedesco (Sozialdemokratische Partei Deutschlands, SPD) in queste elezioni fu la riluttanza del partito nei mesi precedenti a sostenere la riunificazione tedesca. Mentre Kohl, pressoché fin dall’inizio, aveva insistito sulla riunificazione, la leadership della SPD continuava a sostenere il mantenimento di due Stati separati. Inoltre, per molti della DDR, la SPD era screditata a causa dei contatti che aveva mantenuto con la SED nel corso dei decenni precedenti.
Il primo passo concreto verso la riunificazione fu l’unione monetaria, economica e sociale fra Germania Est e Ovest sulla quale i due Stati si accordarono a maggio. La speranza era che implementando rapidamente l’unione economica, si sarebbe evitato il collasso economico della Germania dell’Est. Il 1° luglio 1990 l’accordo entrò in vigore e il marco tedesco della Germania Ovest divenne la moneta unica per entrambi gli Stati tedeschi. Anche se il marco della Germania Est aveva ormai perso valore, il governo della Germania Ovest accettò un cambio alla pari per stipendi, salari e alcune categorie di risparmi personali, e un cambio 2:1 per la maggior parte dei conti individuali e commerciali esistenti presso le banche dell’Est. Tale accordo sull’unione monetaria attestava l’implicita intesa che la Germania Ovest si sarebbe fatta carico di gran parte dell’onere finanziario causato dall’unione dei due Stati.
Tuttavia, la riunificazione richiedeva ancora il consenso delle potenze vincitrici della Seconda guerra mondiale, vale a dire Francia, Gran Bretagna, Unione Sovietica e Stati Uniti. Diversamente dall’amministrazione americana che aveva sostenuto la riunificazione tedesca dall’inizio di dicembre del 1989 in poi, il presidente francese François Mitterrand cercò di rallentare il processo formando una coalizione contraria a una rapida riunificazione. In particolare, sostenne la richiesta della Polonia di essere ammessa come parte interessata ai negoziati, in quanto la riunificazione dei due Stati tedeschi avrebbe inciso sul proprio confine occidentale. Alla fine, tuttavia, questa richiesta fu respinta e Mitterrand accettò in linea generale la riunificazione tedesca. Il 14 marzo 1990 ebbero inizio trattative tra i quattro paesi e i due Stati tedeschi, che si conclusero il 12 settembre 1990, quando le sei parti firmarono il cosiddetto “Accordo Due + Quattro”. Questo accordo rese possibile la riunificazione della Germania poiché le quattro potenze rinunciarono ai propri diritti di occupazione e la Germania riacquistò la sua piena sovranità.
Nell’accordo fu posta molta attenzione al problema del confine orientale della Germania. In particolare, la Germania dovette accettare la linea Oder-Neisse stabilita alla fine della Seconda guerra mondiale, in base alla quale ampie parti dell’originario territorio tedesco, vale a dire Prussia orientale, Slesia e Pomerania fossero cedute alla Polonia e all’Unione Sovietica. La Germania dichiarò che non avrebbe avanzato alcun tipo di rivendicazione territoriale nei confronti di altri Stati, né allora né in futuro. Nel documento furono particolarmente importanti le clausole sul futuro status militare della Germania. L’Unione Sovietica era preoccupata che alla Germania dell’Est fosse consentito l’ingresso nell’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico (NATO), come ad altre nazioni dell’Europa orientale, minacciando così la sicurezza sovietica. La preoccupazione dell’URSS nasceva soprattutto dal fatto che era ormai chiaro che l’alleanza militare sovietica, il Patto di Varsavia, non sarebbe durata a lungo. Per l’alleanza occidentale, tuttavia, era fondamentale che la Germania riunificata rimanesse nella NATO. Durante l’incontro del 16 luglio tra Gorbačëv e il cancelliere Kohl, il presidente sovietico acconsentì alla piena sovranità e all’adesione alla NATO della Germania unificata, a patto che nessuna truppa NATO venisse stanziata nei territori della Germania Est. Kohl, a sua volta, accettò di fornire una consistente assistenza economica in cambio del ritiro delle truppe sovietiche dal suolo tedesco. Poiché sia la Francia sia la Germania volevano impedire che un forte Stato tedesco potesse ancora minacciare l’Europa, l’accordo prevedeva una Germania militarmente più debole. Benché l’esercito della Germania Est dovesse essere incorporato nella Bundeswehr, ossia l’esercito della Germania Ovest, l’esercito tedesco riunito doveva essere ridotto a 370.000 effettivi. Infine, l’Unione Sovietica fece pressioni affinché nessuna arma nucleare venisse schierata nel territorio della Germania Est. Inoltre, la Germania dichiarò che nessuna iniziativa di guerra sarebbe mai partita dal suo territorio.
Il 31 agosto 1990, la DDR e la BRD firmarono il Trattato di riunificazione tedesca. Tale Trattato, che consisteva in oltre 1.000 pagine, fu approvato da una larga maggioranza del Bundestag e della Volkskammer il 20 settembre 1990. Dopo quest’ultimo passo procedurale, la strada verso la formale riunificazione era ormai spianata. Il 3 ottobre 1990, la DDR venne sciolta e si unì alla BRD. Celebrazioni per la riunificazione si tennero in tutta la Germania, ma specialmente a Berlino, dove un’enorme folla si riversò nelle strade per assistere allo spettacolo dei fuochi d’artificio.
La riunificazione (nota in Germania come “die Wende”, la svolta), non avvenne senza problemi. L’unione economica in particolare risultò un’impresa più onerosa di quanto si potesse prevedere nel 1990. La maggior parte delle valutazioni riguardo all’economia della Germania Est si rivelarono eccessivamente ottimistiche, e avevano sottovalutato problemi quali l’esubero di personale impiegatizio e la mancanza di know-how della Germania Est. Il governo tedesco istituì un’agenzia (la Treuhandanstalt) responsabile della privatizzazione delle imprese dell’Est. La maggior parte di queste imprese, tuttavia, non poteva essere venduta a meno che non venissero concessi sussidi o altri incentivi agli investimenti nei nuovi Stati tedeschi. Ciò nonostante, entro quattro anni dalla sua creazione, l’agenzia riuscì a privatizzare quasi tutte le imprese originariamente statali.
Proprio come era successo per i problemi economici legati alla transizione da un’economia socialista a una di mercato, anche quelli inerenti ai costi della riunificazione erano stati sottovalutati. Il governo tedesco investì circa 100 miliardi di marchi tedeschi all’anno in un programma denominato Aufbau Ost (“Costruire l’Est”). Gran parte di questi fondi fu destinata a progetti infrastrutturali finalizzati a un prolungamento di diversi chilometri delle reti stradali e ferroviarie. Inoltre, furono costruite molte nuove unità abitative e molte altre furono ristrutturate. Questi investimenti trasformarono la struttura economica degli Stati della ex DDR, aumentando sia i salari che i livelli di produttività fino a quasi raggiungere gli standard della Germania dell’Ovest. Al lato positivo di tali investimenti si accompagnò però quello negativo, consistente nel deficit di bilancio da essi causato, nei costi ambientali e nel fatto che talvolta vennero accordati incentivi sbagliati per gli investimenti che portarono ad esempio a un’eccessiva offerta di alloggi negli Stati dell’Est. Il deficit di bilancio comportò anche un aumento delle tasse e una riduzione delle agevolazioni di cui godevano determinate categorie di cittadini. Inoltre, a dispetto degli enormi investimenti (fino al 1998, circa un trilione di marchi tedeschi erano stati investiti negli Stati dell’Est), non fu possibile colmare completamente il divario tra le due parti della Germania. In particolare, i livelli di disoccupazione negli Stati dell’Est erano arrivati fino al 20%, all’incirca il doppio della media degli Stati dell’Ovest. I tedeschi dell’Ovest continuano a essere tuttora molto più benestanti di quelli dell’Est.
L’euforia iniziale nei confronti della riunificazione, quindi, si trasformò gradualmente in una valutazione più sobria dell’obiettivo ancora da raggiungere per integrare i nuovi Stati nell’economia e nella società tedesche. Mentre attualmente i tedeschi dell’Ovest si lamentano dell’onere fiscale imposto loro dalla riunificazione, quelli dell’Est continuano a sentirsi emarginati nella nuova Germania. L’insoddisfazione di almeno una parte degli elettori della Germania Est si è manifestata nel successo elettorale del partito erede di quello comunista della DDR. Negli Stati della Germania Est, questo partito riesce a ottenere circa il 20% dei voti nella maggior parte delle elezioni. Questi voti di protesta non indicano tanto l’insoddisfazione dei tedeschi dell’Est nei confronti della riunificazione, quanto piuttosto la disapprovazione rispetto alle specifiche politiche perseguite dal governo tedesco.
A partire dalla riunificazione e dal concomitante riconoscimento della piena sovranità, la Germania è divenuta più assertiva nella politica internazionale e ha contribuito con l’invio di propri soldati nelle missioni di peace-keeping all’estero. Le preoccupazione e i timori in merito alla rinascita di una Germania riunificata aggressiva si sono tuttavia dimostrati infondati. Per l’Unione europea, la riunificazione tedesca ha significato innanzitutto un aumento della sua popolazione di 20 milioni di unità. Ciò ha contribuito a scatenare accese discussioni sui cambiamenti dei diritti di voto in seno al Consiglio dei ministri, questione irrisolta dal Trattato di Amsterdam (1998) e dal Trattato di Nizza (2001).
Andreas Dür (2009)
Bibliografia
Jarausch, K., The Rush to German Unity, Oxford University Press, New York, 1994.
Kaiser, K., Germany’s Unification, in “Foreign Affairs”, 1991, vol. 70, n. 1, pp. 179-205.
Plato, A., Die Vereinigung Deutschlands – ein weltpolitisches Machtspiel, Links, Berlin, 2002.
Pond, E., Beyond the Wall, Brookings Institution, Washington, DC, 1993.
Zelikow, P., Rice, C., Germany unified and Europe transformed, Harvard University Press, Cambridge, 1995.