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Rivista “Nord e Sud”

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La rivista mensile “Nord & Sud” nasceva, nel dicembre 1954, per iniziativa di un gruppo di giovani collaboratori napoletani del “Mondo” di Pannunzio (Francesco Compagna, Vittorio de Caprariis, Renato Giordano, cui si aggiunsero ben presto numerosi altri, fra i quali andranno ricordati almeno Giuseppe Ciranna e Giuseppe Galasso) con un programma di meridionalismo rinnovato nei temi affrontati e nelle soluzioni proposte, nel quale le posizioni europeiste trovavano una duplice motivazione. In primo luogo vi era la convinzione che, per rimuovere le storiche arretratezze delle regioni meridionali d’Italia, le politiche economiche affidate all’intervento dello Stato, per quanto ammodernate negli strumenti finanziari e legislativi, non fossero da sole sufficienti. Per evitare che esse venissero riassorbite nel gorgo degli interessi parassitari occorreva inserire l’economia meridionale in uno spazio economico più ampio di quello nazionale, come quello continentale.

A questa ragione di politica economica se ne aggiungeva un’altra di carattere squisitamente politico-culturale. L’idea, cioè, che il Mezzogiorno d’Italia fosse parte integrante della civiltà occidentale. Una posizione che si contrapponeva tanto a quella che considerava il Mezzogiorno italiano una civiltà ibrida, nella quale gli apporti orientali bilanciavano quelli occidentali, quanto a quella che vedeva nell’Italia meridionale l’ultima incontaminata riserva di una civiltà contadina da preservare in una presunta purezza originaria. Per assicurare un saldo radicamento alle scelte meridionaliste, allora, occorreva un rigoroso allineamento all’interno dell’alleanza atlantica (V. anche Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico), come frontiera necessaria dell’occidente nell’epoca della Guerra fredda, contrastando vigorosamente ogni tentazione neutralista, foriera di una pericolosa balcanizzazione dell’Europa.

Nell’arco dei quasi trenta anni della sua durata (1954-1982) “Nord & Sud” ha attraversato diverse stagioni politiche mantenendo una sostanziale continuità d’ispirazione.

Nata all’indomani del fallimento della Comunità europea di difesa (CED), ma nel pieno delle speranze di una costruzione europea da perseguire in tempi rapidi, la rivista seguiva con piena adesione la stagione del rilancio europeo che portava alla stipula dei Trattati di Roma. Renato Giordano, stretto collaboratore di Jean Monnet, era non solo uno strenuo sostenitore della unificazione europea, ma riteneva che tale processo non potesse prescindere da una precisa collocazione internazionale. L’Alleanza atlantica, anche nei suoi profili di politica di potenza, era la garanzia ultima del processo di integrazione europea (v. anche Integrazione, teorie della). De Caprariis, a sua volta, leggeva nel Patto atlantico la traduzione politica odierna di una comune civiltà, portatrice di valori tendenzialmente universali, che abbracciava i due lati dell’oceano. Pertanto le scelte europeiste (lo sviluppo delle istituzioni sovranazionali, la crescita del mercato comune, ecc.) andavano inserite sempre in questo più ampio scenario.

Con la scomparsa prima di Giordano (1960) e poi di de Caprariis (1964), il mensile vedeva venir meno i collaboratori più impegnati sui temi di politica internazionale, ma manteneva fede all’impegno europeista che in quel periodo si caratterizzava come opposizione al progetto gollista di devitalizzazione delle istituzioni europee. All’Europa delle patrie di Charles de Gaulle si contrapponeva l’Europa delle regioni, con una intuizione che coglieva, al di là della polemica immediata, una dimensione ottimale per le politiche di sviluppo. Una visione guidata dalla consapevolezza che “all’Europa senza dogane” doveva seguire una “Europa senza frontiere” pena l’apertura di “un processo di involuzione nazionalistica”.

Anche dopo l’elezione, nel 1968, al parlamento italiano nelle file del Partito repubblicano e l’assunzione di varie responsabilità di governo da parte di Compagna e fino alla chiusura del mensile, successiva alla sua repentina scomparsa nel 1982, la rivista confermava una convinta adesione al processo di sviluppo della Comunità europea (dalla definizione delle politiche agricole rispetto al Mezzogiorno italiano, alla collocazione internazionale dell’Italia, al rafforzamento delle istituzioni comunitarie) senza mai abdicare a quella funzione di analisi critica e di stimolo che l’aveva sempre contraddistinta.

Maurizio Griffo (2012)