Salvatorelli, Luigi
S. nacque l’11 marzo del 1886 a Marsciano, in provincia di Perugia, dove il padre era proprietario di una officina meccanica; la famiglia materna era originaria di Assisi. I legami familiari con ambienti ecclesiastici esercitarono una influenza indelebile sul giovane S., che iniziò a studiare a Perugia sotto la guida di uno zio monsignore. Dopo avere completato gli studi universitari a Roma e aver combattuto una iniziale attrazione verso l’attività religiosa, S. si laureò nel 1907 in filologia romanza con Ernesto Monaci, discutendo una tesi su La politica interna di Perugia in un poemetto volgare della metà del Trecento pubblicata a distanza di anni sul “Bollettino della Deputazione di storia patria per l’Umbria” (L, 1953). Era evidente sin da allora un interesse per lo studio della storia, che si intrecciava con l’attenzione per la filologia e la cultura religiosa. Dal 1908 al 1914 S. lavorò come funzionario presso il ministero della Pubblica istruzione, dove conobbe Guido De Ruggiero, pur continuando ad assecondare la passione per gli studi storico-religiosi. Di quegli anni è la collaborazione a “La voce” di Giuseppe Prezzolini, dove uscì nel 1912 un suo saggio su Filosofia e Religione. Nel 1915 risultò vincitore in un concorso universitario per storia del cristianesimo indetto dall’Università di Roma, secondo classificato in una terna capeggiata da Ernesto Buonaiuti al quale lo legava l’attenzione per il modernismo. In seguito all’esito concorsuale S. ricoprì la cattedra di storia della Chiesa presso l’università di Napoli.
L’attività di S., che sembrava ormai orientata verso una carriera di insegnamento e di studio sul versante storico-religioso, subì a questo punto una svolta che va messa in relazione con gli eventi politici del primo dopoguerra. Dopo una prima produzione di ambito accademico (Significato di “nazzareno” del 1911; Stato e vita sociale nel pensiero religioso d’Israele e del cristianesimo antico del 1914; la raccolta di Saggi di storia e politica religiosa del 1914), S. abbandonò definitivamente la cattedra universitaria, lasciando anche Napoli per trasferirsi a Torino, ove si dedicò all’attività giornalistica arrivando nel 1921 ad assumere la condirezione del quotidiano “La Stampa”. Di quel periodo è anche la collaborazione ad altri periodici, tra i quali “La Tribuna”, “La Cultura” e “Italia nostra”. Questa svolta era condizionata dall’attenzione preminente per i problemi del proprio tempo, che imponevano a S. di occuparsi del presente e lo portavano a individuare nel nascente fascismo una minaccia da contrastare in prima persona.
Il deciso e precoce antifascismo, quando diversi uomini di cultura predicavano un atteggiamento di dialogo nei confronti del movimento di Benito Mussolini, spinse S. alla collaborazione con “La rivoluzione liberale” di Piero Gobetti, che divenne poi il suo editore in occasione della pubblicazione di Nazionalfascismo (1923), che costituisce con il successivo Irrealtà nazionalista (1925) un caposaldo degli studi sul fascismo, con una capacità di analisi e di premonizione che non trova molti eguali nella pubblicistica dell’epoca. L’antifascismo di S. rivelava appieno la sua cifra di studioso e ne avrebbe in seguito influenzato l’intero corso della produzione storica. Esso originava da un ripudio etico-politico della violenza, ma soprattutto da una valutazione del carattere regressivo del fascismo nei confronti della civiltà occidentale, di cui l’Italia era stata secolare protagonista e dalla quale adesso veniva bruscamente allontanata. L’antifascismo di S. era quindi l’occasione per una rilettura della vicenda italiana nel più vasto quadro della storia europea.
Gli anni della dittatura rappresentarono per S. una conferma delle sue prime intuizioni e l’occasione per una loro messa a punto storiografica, ma anche un difficile passaggio esistenziale. Nel 1925 veniva infatti allontanato dalla “Stampa” e posto come gli altri oppositori ai margini della vita pubblica. Cominciava per lui un lungo periodo di isolamento vissuto da esule in patria, con pochi e sporadici contratti con gli ambienti antifascisti e la costante preoccupazione di guadagnarsi da vivere mediante collaborazioni saltuarie per manuali e pubblicazioni scolastiche. Questo periodo corrispose a una ripresa dei suoi interessi per la storia del cristianesimo (in particolare con La vita di S. Francesco d’Assisi del 1926 e S. Benedetto e l’Italia del suo tempo del 1929), ma soprattutto con i primi sistematici lavori di inquadramento storico dell’Italia contemporanea. Da questo punto di vista il caposaldo è rappresentato da Il pensiero politico italiano dal 1700 al 1870, pubblicato nel 1935 dalla giovane casa editrice Einaudi di cui S. divenne un autore di riferimento. Qui la vicenda del Risorgimento veniva presentata come momento fondativo della nazione italiana, ma anche come culmine estremo di un processo di ricongiungimento della storia patria al più vasto corso della civiltà europea, sì da adottare per la nozione di risorgimento una lunga datazione risalente sino al Settecento.
Se la dinamica dell’unificazione nazionale era ripresa con maggiore chiarezza espositiva nel suo volume più conosciuto (Pensiero e azione del Risorgimento del 1943), la visione della storia d’Italia come un capitolo della storia europea era ribadita in un altro volume einaudiano, il Profilo della storia d’Europa, del 1942. L’europeismo di S. era innanzitutto un concetto storico: «Già all’inizio dell’età storica l’Europa di fronte all’Asia rappresenta la libertà di fronte al dispotismo, il progresso di fronte all’immobilismo». Da questo punto di vista la parentesi della dittatura, che volgeva allora al tramonto, appariva sia per l’Italia che per la Germania come una regressione da una traiettoria di civiltà consolidata nei secoli e destinata a riprendere il suo cammino nell’imminente dopoguerra.
Nel periodo conclusivo della guerra di liberazione dal fascismo la partecipazione attiva alla politica non fu per S. che un passaggio temporaneo nella sua diuturna pratica di storico. Questa parentesi fu perciò connotata dalla ripresa dell’attività giornalistica, che per lui rappresentava il legame essenziale e mai più interrotto tra la politica e la storia. S. aderì sin dal 1942 al Partito d’azione, figurandone tra i membri più autorevoli. Nel 1944 gli fu perciò affidata la direzione de “La nuova Europa”, titolo che riprendeva una testata di Alberto Mario ma che si proiettava anche verso la prospettiva federalista (v. Federalismo), una rivista promossa da Raffaele Mattioli per consolidare l’ideale di una terza forza di democrazia laica contro il rischio di una mezzadria di potere tra cattolici e comunisti. Redattore capo era Mario Vinciguerra, affiancato da Guido De Ruggiero, Umberto Morra e Pietro Pancrazi. La vivacità de “La nuova Europa” era assicurata, oltre che dall’autorevole polifonia delle collaborazioni (che spaziavano dal liberalismo di Carlo Antoni e Luigi Einaudi, al cattolicesimo di Ernesto Buonaiuti e Arturo Carlo Jemolo, sino al marxismo di Concetto Marchesi), dalla linea politica tracciata dagli editoriali del suo direttore.
L’ideale federalista costituì l’iniziale direzione di marcia de “La nuova Europa”, che S. seguiva giustapponendo il profilo di una elaborazione storica di lungo periodo alle scadenze del tempo presente. Presente e avvenire d’Europa era perciò il titolo di apertura del primo numero (10 dicembre 1944), che rivendicava i valori della civiltà europea da salvaguardare mediante il superamento dell’impianto statuale, indicato come causa delle recenti tragedie. L’ideale degli Stati Uniti d’Europa sembrava allora una prospettiva concreta in grado di unificare le diverse tendenze presenti all’interno del movimento laico, nella suggestione di un punto di arrivo che conciliasse l’attenzione per gli Stati Uniti d’America con la tutela di uno specifico ruolo politico da preservare al vecchio continente. Nei successivi articoli S. indicava esplicitamente la necessità di abbandonare il «principio dell’assoluta sovranità nazionale» come regolatore della politica internazionale (Le tre potenze e il riordino mondiale, 17 dicembre 1944, n. 2). La sua iniziativa fu subito salutata dai promotori del nascente movimento federalista europeo, Ernesto Rossi e Altiero Spinelli, come un importante contributo al lavoro comune, mentre “La nuova Europa” dava ampia diffusione delle proposte di federalismo economico avanzate da Luigi Einaudi.
Questa infatuazione federalistica fu però di breve durata. Essa si spense con la ripresa di intensità del dibattito politico interno, che spostò l’attenzione di S. sulla contingente necessità di lavorare alla formazione di un partito della democrazia che per altro non avrebbe mai visto la luce. Ciò rese effimera la stessa sopravvivenza de “La nuova Europa”, che fu repentinamente interrotta nel marzo del 1946. A parte l’inattitudine alla politica di chi aveva invece dimostrato una spiccata propensione per l’attività di studio, la conclusione di questa fase era determinata anche dal mutamento dello scenario internazionale, in cui la scelta atlantica e il profilarsi di una contrapposizione irriducibile con il mondo comunista non concedevano molti margini di iniziativa a una terza forza laica. Nei suoi successivi lavori (soprattutto la riedizione aggiornata nel 1951 del Profilo della storia d’Europa, La guerra fredda del 1956 e Un cinquantennio di rivolgimenti mondiali (1914-1971) del 1972 S. valorizzò i passaggi che avevano portato a una realizzazione “funzionalista” (v. Funzionalismo) dell’ideale di integrazione europea (v. Integrazione, teorie della; Integrazione, metodo della), a partire dal Congresso dell’Aia per l’Europa del maggio del 1948, passando per la successiva istituzione del Consiglio d’Europa e arrivando alla stipula della Comunità europea del carbone e dell’acciaio (CECA) del 1951. Questa impostazione gli attirò feroci critiche da parte degli esponenti del pensiero federalista, ma rappresentò un coerente ritorno alla sua sfera di studioso alieno dalla politica, di colui cioè che si occupa di analizzare i fatti accaduti invece di prefigurarne esiti futuri. A questa vocazione storica S. rimase fedele sino alla morte, avvenuta a Roma il 3 novembre del 1974.
Paolo Varvaro (2010)