Schmidt, Helmut
S. (Amburgo 1918) sarà sempre orgoglioso delle sue origini anseatiche, a esse ricondurrà alcuni tratti del suo carattere, formatosi anche nel crogiuolo della Seconda guerra mondiale, combattuta sul fronte russo (v. Soell, 2003, pp. 91-108).
S. succede al cancellierato a Willy Brandt il 16 maggio 1974. In precedenza era stato membro del Senato di Amburgo, deputato al Bundestag a partire dal 1953, capogruppo per il Sozialdemokratische Partei Deutschlands (SPD) dal 1967 al 1969, ministro della Difesa nella coalizione socialista-liberale guidata da Willy Brandt dal 1969 al 1972, e infine ministro delle Finanze dello stesso governo, dal 1972 al 1974.
S. è il pragmatico che subentra al visionario Brandt. Un discepolo di Immanuel Kant e Karl Popper, un fautore dell’etica della responsabilità, critico di ogni deriva dal realismo e dalla ragione. Ha sempre appartenuto all’ala destra del partito e nelle funzioni di governo da lui esercitate, la difesa e l’economia, ha accumulato vaste conoscenze. È un convinto assertore della presenza militare degli Stati Uniti in Europa e dell’equilibrio delle forze: in nome di questi principi lascerà il cancellierato otto anni dopo. Come ogni politico del paese collocato nel punto di maggior attrito tra gli schieramenti dell’Est e dell’Ovest, è a favore di equilibri militari ai livelli più bassi. “Realismo e sobrietà” sono in lui concetti ricorrenti.
I primi anni del cancellierato di S. sono anche anni di crescita del terrorismo, che spinge alla adozione di misure restrittive in materia di libertà personale, come quelle approvate dal Bundestag il 24 gennaio 1976. S. prevale nelle elezioni dell’ottobre di quell’anno, nelle quali la (Christlich-demokratische Union-Christlich-soziale Union (CDU-CSU), guidata da Helmut Josef Michael Kohl, fa leva sullo slogan “libertà invece di socialismo”. Liberalismo come nucleo della democrazia e solidarietà come condizione della giustizia sono gli obiettivi enumerati nelle dichiarazioni programmatiche del governo. Sono anni di rapimenti e di assassinii (il procuratore generale Siegfried Buback, il presidente della Confindustria Hanns-Martin Schleyer, il presidente della Dresdner Bank Jürgen Ponto).
Particolarmente controverso è l’impiego dell’energia nucleare. Brandt aveva previsto la costruzione di cento centrali che avrebbero dovuto coprire metà del fabbisogno. Nel frattempo il clima in Europa è mutato: c’è stato, nel 1972, il rapporto del Club di Roma sui limiti della crescita. Emerge in Germania una corrente molto forte che pone il partito dinanzi a un dilemma nel confronto con il sindacato da un lato, con i giovani e gli ecologisti dall’altro: questi ultimi, nel gennaio 1980, costituiscono un partito proprio, i Verdi. S., a differenza del presidente dell’SPD, Brandt, è meno indulgente verso le nuove correnti, tanto più che, nel dicembre 1978, un ulteriore shock petrolifero rende ancor più costosa la rinuncia al nucleare. Si tiene a distanza da un movimento nel quale confluiscono un ambientalismo dai toni radicali e un pacifismo indifferente a ogni considerazione di equilibrio militare.
S. era stato negli anni precedenti, con successo e fermezza, alla guida dell’economia nazionale. In seno alla Comunità europea aveva rappresentato la ripresa di potenza della Germania, della quale era stato un efficace protagonista. L’elezione di Valéry Giscard d’Estaing alla presidenza francese segna, nel maggio 1974, una nuova fase nei rapporti franco-tedeschi. Giscard e S., con la loro azione convergente, sono fonte di una particolare autorità che riesce, in parte, a compensare una leadership americana claudicante a seguito del Vietnam e del Watergate e soprattutto a causa di un presidente, Jerry Ford, ridotto dal Congresso alla condizione di impotenza di un re merovingio. Giscard è un presidente “centrista”. Per questo può lasciarsi alle spalle molti condizionamenti dottrinari del gollismo e si trova con S. sul terreno comune di un maggior pragmatismo e dinamismo degli affari comunitari, realizzando quel ravvicinamento mancato nell’epoca di Georges Pompidou, che, anzi, consentendo l’ingresso del Regno Unito nella Comunità economica europea (CEE), aveva voluto creare un contrappeso alla potenza tedesca. Se a metà degli anni Settanta sono evitate le spirali pericolose del protezionismo e delle guerre commerciali, questo è dovuto in gran parte al fatto che la Comunità previene, al suo interno, gli attentati alla libera circolazione e quindi può presentarsi all’esterno abbastanza unita e coerente per esigere il rispetto del libero mercato, nonostante il disordine monetario destinato a durare per tutti gli anni Settanta.
Nel gennaio 1974 la Francia esce dal cosiddetto “Serpente monetario europeo” a causa del crescente squilibrio della propria bilancia dei pagamenti. L’uscita del franco vanifica di fatto il sistema di fluttuazione congiunta, essendo rimaste intorno al marco solo le monete del Benelux e della Danimarca. L’economia internazionale è ancora sotto lo shock petrolifero dopo la guerra del Kippur, con una forte caduta della domanda sia interna che esterna. A fronte della grande dipendenza del sistema produttivo tedesco dalle esportazioni, è dubbio che le vecchie ricette keynesiane possano giovare. In occasione della Conferenza di Helsinki sulla Cooperazione e la sicurezza in Europa (agosto 1975) (v. Conferenza per la sicurezza e la cooperazione in Europa, CSCE) S. e Giscard d’Estaing convincono un esitante presidente americano, Jerry Ford, a istituzionalizzare i Vertici economici dei paesi più industrializzati. Il primo incontro avviene a Rambouillet, a metà del novembre 1975, tra sei paesi (Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia, Germania, Giappone, Italia) ai quali si aggiunge nel 1977 il Canada. Il vertice di Rambouillet finisce per affrontare tutti i grandi problemi internazionali e per abbozzare le grandi linee di una strategia contro la crisi. I leader delle maggiori democrazie fissano alcuni obiettivi: lotta contro la disoccupazione, liberi scambi, sviluppo dei rapporti commerciali con i paesi del blocco sovietico, assistenza ai paesi in via di sviluppo, collaborazione con i paesi produttori di energia, stabilità monetaria. Rambouillet riflette così le nuove gerarchie affermatesi dopo la Seconda guerra mondiale, sostituendo i vertici dei soli vincitori.
Nell’ottobre 1977 la liberazione di cittadini tedeschi ostaggio di terroristi nell’aeroporto di Mogadiscio, in Somalia, contribuisce all’affermazione definitiva del cancelliere sulla scena interna e internazionale e ne determina l’uscita dall’ombra ingombrante del suo predecessore, come testimonia l’accoglienza ricevuta due settimane dopo al Congresso del suo partito. Ma l’emergere della leadership di S. in Europa è più strettamente legato alla nascita dell’unione monetaria. S. agisce nonostante le riserve nel suo stesso campo, inclusa la Banca centrale: alla fine è la sua spinta a rivelarsi decisiva (v. Olivi, 2001, pp. 189-205).
A cavallo tra il 1977 e il 1978 il cancelliere riflette sui margini per un’iniziativa comunitaria. Il 27 ottobre 1977 il Presidente della Commissione europea (v. anche Commissione europea), Roy Jenkins, in un discorso presso l’Istituto universitario europeo di Firenze, aveva esaltato i vantaggi della creazione di una nuova moneta internazionale, paragonabile a quella degli Stati Uniti, che avrebbe favorito una razionalizzazione dell’attività economica più di quanto fosse possibile con la semplice Unione doganale. L’unione monetaria avrebbe favorito l’avvento in Europa di una nuova fase di stabilità dei prezzi, correggendo in modo radicale le tendenze inflazionistiche globali. In quello stesso periodo S., che pure era sempre stato uno dei fautori delle virtù della fluttuazione monetaria e in particolare del dollaro, muta convinzioni. L’economia a moneta più forte, quella tedesca, nonostante la sua potenza e la sua stabilità, deve sopportare gran parte del peso delle continue rivalutazioni del marco e della conseguente progressiva perdita di competitività dei suoi prodotti sui mercati mondiali. Cominciano a dare i primi segni di tensione dalla fine della guerra mondiale le relazioni con gli Stati Uniti, soprattutto perché questi ultimi, nei quali Jimmy Carter assume la presidenza nel gennaio 1977, si avvalgono della discesa del dollaro per costringere l’Europa, e in modo particolare i tedeschi, a una politica economica espansiva. Nonostante la forza del suo sistema produttivo la Germania, in condizioni di inferiorità politica nei confronti di chi ne protegge l’esistenza, non è in grado di resistere, tanto meno se deve agire isolatamente. La crisi del dollaro ha conseguenze esiziali per l’Europa, per le spinte recessive che essa determina, riconducibili anche alle diversità strutturali delle singole economie del continente e per il pregiudizio che essa arreca a ogni ambizione sulla via dell’integrazione (v. Integrazione, teorie della; Integrazione, metodo della). La Comunità ha bisogno di un rilancio che può nascere soltanto dalla volontà dei governi.
L’espansione dell’economia americana non è seguita da quella delle altre due locomotive, Giappone e Germania, e addirittura alla reticenza di questi due paesi viene attribuita la responsabilità dell’enorme deficit della bilancia commerciale statunitense. Così la caduta del dollaro appare il solo mezzo di pressione e rappresaglia a disposizione di Washington, in assenza di politiche economiche alternative. Nel marzo 1978, dopo le elezioni politiche francesi, può essere abbozzata una iniziativa franco-tedesca che però, nelle dichiarazioni di S., vuole ottenere la partecipazione all’impresa di tutti i membri della Comunità, anche di paesi, come l’Italia, che avrebbero richiesto garanzie sul piano monetario ben più vaste e importanti di quelle ottenibili secondo le regole del “serpente monetario”. Il ritorno all’idea dell’Unione economica e monetaria nasce in questo caso dall’esigenza di resistere agli americani. Si pone pertanto lungo le linee della politica estera francese tradizionale e quindi presenta per Giscard non pochi vantaggi politici.
A Copenaghen, il 7 e 8 aprile 1978, il Consiglio europeo ritrova la vocazione iniziale che ne aveva ispirato la creazione: non un grado di appello delle Istituzioni comunitarie, bensì lo strumento capace di coagulare la volontà necessaria ad approfondire la costruzione europea. Si impone l’idea che un’espansione equilibrata nell’area comunitaria non è ottenibile senza uno stretto accordo in materia monetaria. S. lascia intendere chiaramente che un rilancio dell’economia tedesca non è pensabile ove esso provochi una ripresa dell’inflazione, in Germania il peggiore di tutti gli incubi possibili per ragioni storiche e psicologiche. La disponibilità del cancelliere a impegnarsi in una impresa che avrebbe comportato per la Germania anche nuove responsabilità finanziarie può considerarsi un nuovo investimento politico. Si decide la creazione di uno spazio monetario unico. Non mancano le perplessità, i sospetti che esso finisca per essere dominato dal marco. Ma per i paesi diversi dalla Germania si tratta di creare gli strumenti di intervento sulla volontà di Bonn, che aveva sempre deciso in solitudine politiche economiche nazionali delle quali peraltro gli altri avevano sopportato le conseguenze.
Al Consiglio europeo di Brema, il 6 e 7 luglio successivo, il Sistema monetario europeo (SME) comincia ad assumere i suoi tratti distintivi: rientro nel “serpente” della lira e della sterlina; una riserva comune da usare negli interventi e nei rapporti tra banche centrali, espressa in una Unità di conto europea (European currency unit, ECU) che avrebbe rappresentato un embrione della futura moneta unica e da utilizzare negli interventi e nei rapporti tra Banche centrali. Il dollaro avrebbe perduto la funzione di strumento monetario nei rapporti tra i paesi membri. Il programma deciso a Brema è finalizzato nel Consiglio europeo di Bruxelles del 5 e 6 dicembre 1978: definizione della nuova unità di conto; precisazione dei meccanismi di intervento; messa in comune del 20% delle riserve nazionali; norme sugli strumenti di credito a breve e medio termine; misure destinate a rafforzare le economie degli Stati membri meno prosperi mediante prestiti quinquennali a basso tasso di interesse. Lo SME entra in vigore il 13 marzo 1979, ma la Gran Bretagna vi aderirà solo dieci anni dopo, e a nulla valgono gli sforzi di S., la sua familiarità con il mondo anglosassone, in particolare il rapporto personale con il primo ministro britannico James Callaghan. In realtà Londra è, come sempre, poco disposta a qualsiasi rilancio europeo e anche, in quel momento, a qualsiasi decisione che possa turbare una precaria pace sociale. Londra è pur sempre un grande mercato finanziario e la sua moneta, nonostante il declino, resta uno strumento di valore globale. Nel nuovo sistema monetario la sterlina avrebbe un ruolo minore a fronte del marco e anche dell’insieme delle altre monete della Comunità (v. Ludlow, 1982, pp. 88-133).
Il Sistema monetario è dunque il risultato di una felice congiuntura che, a partire dal 1978, ha varie componenti che fanno capo al cancelliere: il suo impulso; il rapporto con Giscard; il recupero della funzione del Consiglio europeo; il consenso emergente nella Comunità sulle priorità della politica economica. Esso è probabilmente il primo caso di leadership tedesca nella storia dell’integrazione europea. E questo grazie all’ascendente di S. e la sua capacità di superare le obiezioni soprattutto all’interno del suo paese, a Bonn come a Francoforte. S. è consapevole dei limiti di una leadership solo tedesca, e per questo coltiva il dialogo con Giscard: un incontro carico di simboli ad Aquisgrana, subito dopo il Consiglio europeo di Brema, conferma il proposito dei due paesi di mantenerne il calendario, se necessario andando avanti anche da soli. La solidarietà del Consiglio europeo dissipa diffidenze e sospetti verso un’iniziativa congiunta di due grandi paesi.
L’Unione monetaria ha vari corollari: primato dell’economia e dei mercati finanziari; esaltazione della libera concorrenza; indipendenza del potere monetario; una comunità aperta verso l’esterno e orientata verso una struttura federale al proprio interno. L’Unione impone agli altri una religione della stabilità che discende anche dai fantasmi della storia tedesca e mette in luce la sfida fondamentale, l’organizzazione del sistema finanziario internazionale.
La Germania di S. può giovarsi di più opzioni: il nucleo duro del rapporto speciale con la Francia; l’espansione commerciale verso l’Est; sulla base di questa, un dialogo privilegiato con la Russia; un partenariato con gli Stati Uniti commisurato al proprio peso nell’economia internazionale. Ma il suo primato nell’Unione non può essere convertito in azione diretta, a causa della sua esposizione strategica, della sua debolezza militare, del peso della storia. Se la Germania può ancora trascinare l’Europa centrale nella sua orbita, la Russia costituisce, per la sua massa, un problema la cui soluzione sfugge alla Germania. La sfida può essere raccolta soltanto dall’Europa occidentale tutta intera: anche l’asimmetria economica franco-tedesca trova un limite nella ampiezza abissale dello spazio russo.
La divisione della Germania del dopoguerra segue le linee della geografia e del carattere nazionale. A Occidente e a Sud prevalgono i cattolici, mentre la Repubblica Democratica Tedesca (RDT) è l’area del socialismo e del protestantesimo. Ognuna delle due parti sembra predestinata a ospitare due diversi esperimenti: la democrazia basata sul mercato nell’una; il socialismo nell’altra, ognuna, per di più, sulla base di una tradizione nazionale. S. inaugura un nuovo stile, competente, freddo, essenziale, più anglosassone che tedesco; il suo linguaggio è privo degli stilemi socialisti, anche se la sua vocazione alla conciliazione non è estranea alla tradizione del partito. Il suo concetto preferito è quello di parità: parità in ogni settore, monetario, politico, militare.
S. è un grande esperto della sicurezza. Ha familiarità con i nodi sofisticati e razionali della dissuasione in condizioni tecnologiche in continua evoluzione. Ha frequentato e continuerà a frequentare quei seminari dall’altro lato dell’Atlantico intenti a riflettere sull’impensabile, a guardare all’interno del sole di Hiroshima, ad immaginare gli scalini dell’uso dell’arma nucleare che avrebbero potuto portare al giorno del giudizio. S. è uno dei dottori sottili di una nuova scienza, in grado di descrivere Armageddon, di soppesarne le conseguenze, di meditare sulla psicologia sovietica e cinese, secondo i canoni di una logica astratta.
Nella parte centrale del suo mandato, che coincide anche con la crisi degli euromissili, l’interlocutore principale di S. è il nuovo presidente americano Jimmy Carter. Il loro sarà un rapporto aspro e difficile e nessuno dei due, nelle proprie memorie, risparmierà giudizi taglienti sull’altro. S. scriverà che a Carter mancava «la conoscenza della storia russa, della sua estraneità alla tradizione delle libertà fondamentali propria delle rivoluzioni americana e francese» (v. Schmidt, 1987, p. 223). S. ritiene che nella politica americana l’eccessivo spazio riservato ai diritti umani, sotto la spinta del consigliere per la sicurezza del presidente, Zbigniew Brzezinsky, minacci la Ostpolitik del governo federale. Carter dà prova, in materia di diritti umani, di fervore messianico, ostinazione, tenacia. È, in questo, esattamente l’opposto di Henry Alfred Kissinger. Mentre il segretario di Stato coglieva nell’orizzonte internazionale soltanto gli Stati ed era poco incline ad occuparsi del modo in cui ciascuno di essi trattava i propri cittadini, il presidente democratico vede popoli e diritti. La politica dei Diritti dell’uomo ha un limitato impatto sull’Unione Sovietica, ma è certamente uno dei tratti dominanti della nuova distensione dopo Helsinki e molti europei non cessano di sollecitare Mosca con ripetuti interventi a favore dei dissidenti.
Il 28 ottobre 1977 S. innesca una crisi che, come in una tragedia greca, si concluderà con la sua caduta. In una conferenza presso l’Istituto di studi strategici di Londra, il cancelliere afferma che «i SALT codificano l’equilibrio nucleare tra Stati Uniti ed Unione Sovietica. In altri termini, essi neutralizzano le loro capacità nucleari strategiche. Di conseguenza accentuano il valore della disparità tra Est ed Ovest negli armamenti convenzionali ed in quelli nucleari tattici». Le due superpotenze non dovrebbero ridurre i loro armamenti strategici senza una parallela attenuazione delle loro disparità in Europa. L’Europa si ritrova invece a fronteggiare una nuova minaccia, missili intermedi mobili portatori di testate multiple capaci di colpirla al cuore dalle profondità dell’Unione Sovietica.
A questo punto è lecito chiedersi quale uso politico l’URSS avrebbe fatto di armi nuove e più raffinate e se i governi europei avrebbero saputo resistere al ricatto della loro presenza. L’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico (NATO) potrebbe rispondere schierando a sua volta missili di crociera e balistici in grado di ristabilire l’equilibrio. La loro necessità è più politica che strategica. La riflessione di S. nasce dalle stesse ragioni che venti anni prima avevano spinto ad abbandonare la dottrina della risposta massiccia in favore di quella flessibile: l’Europa avrebbe potuto contare su una ritorsione nucleare americana in caso di attacco sovietico limitato al suo territorio? Avrebbero in questo caso gli Stati Uniti reagito con i loro sistemi intercontinentali o basati in mare? La risposta flessibile consente un’opzione intermedia tra l’inerzia e l’olocausto generale. La parola con cui viene espresso in quegli anni il rischio politico degli SS 20 è decoupling, il timore che essi avrebbero disgiunto gli alleati europei dagli Stati Uniti e pregiudicato la causa dell’alleanza atlantica. A seguito del contro-schieramento occidentale, l’Unione Sovietica sarebbe stata costretta, prima di iniziare un’azione contro l’Europa, a neutralizzare i missili intermedi americani che altrimenti avrebbero potuto decapitare con un solo colpo i loro sistemi di comando e controllo. D’altra parte, se i sovietici avessero attaccato subito i missili intermedi, di essi ne sarebbero sopravvissuti abbastanza da consentire già dall’Europa una rappresaglia devastante. I missili intermedi avrebbero quindi colmato una lacuna nella gamma della dissuasione, in un momento in cui l’URSS interpretava la ritirata degli Stati Uniti dal Vietnam come un segno di debolezza che, unito alla crisi economica ed ai conseguenti dissensi euroamericani, avrebbe potuto produrre un distacco tra le due rive dell’Atlantico.
S. non ritiene che le armi nucleari conferiscano quella superiorità che le armi di ferro avevano dato agli Ittiti e le artiglierie ai monarchi alla fine del Medioevo. Esse sono solo uno dei fattori dell’equazione dell’equilibrio. Egli sostiene, ed è questo uno dei tratti della politica occidentale al quale S. ha dato il maggior contributo anche intellettuale, che è necessario mantenere una eguaglianza verificabile e se possibile contrattuale. Una vigilanza continua consente di monitorare eventuali progressi tecnologici e tattici dell’avversario e rispondervi tempestivamente senza subire la sua superiorità, anche soltanto regionale. S. insiste sulla necessità di dare un ordine ai fatti, che si manifestano secondo una legge della reazione eguale e contraria, la legge dell’equilibrio. Il che impone una grande capacità di manovra e una flessibilità sempre rinnovate. Il tutto si potrebbe riassumere, sotto il profilo intellettuale, come una applicazione dell’illuminismo francese attraverso il pragmatismo anglosassone; sul piano strategico, come una imitazione della mobilità navale dell’Inghilterra ottocentesca e del perenne arbitrato di Otto von Bismarck.
In materia di sicurezza i rapporti tra Stati Uniti e Germania sono resi ancor più difficili dalla rinuncia dell’amministrazione americana, nell’aprile 1978, alla bomba al neutrone, dopo che S. ne aveva imposto a fatica l’accettazione al suo partito (v. Brzezinski, 1983 pp. 316-318). Lo schieramento di un sistema a radiazioni nucleari rinforzate «distrugge gli uomini e non il capitale», un argomento suggestivo nella propaganda avversa all’interno dell’SPD, per un’arma che, visto il suo raggio di azione, può essere dispiegata solo su basi avanzate, essenzialmente in Germania. Carter non riesce, come suggerisce S., a ricomprendere i missili intermedi nei negoziati strategici SALT II, che si concluderanno a Vienna nel giugno 1979. Ma in un incontro a quattro tra Carter, S., unico rappresentante di un paese non nucleare, Giscard e il primo ministro britannico James Callaghan alla Guadalupe il 5 e 6 gennaio 1979 vengono poste le premesse per quella che sarà la doppia decisione atlantica, per l’avvio del riarmo occidentale e una contemporanea offerta all’URSS di un negoziato che potrebbe interrompere, fino a cancellarlo del tutto, in caso di successo, lo schieramento dei nuovi sistemi. Carter vorrebbe essere un Wilson, con il suo accento sulla democrazia e sui diritti, mentre le circostanze lo costringono a ripercorrere il cammino di Henry Spencer Truman e di un nuovo containment. Anche la Guadalupe, come Rambouillet – peraltro non più ripetuta per le proteste italiane – dà conto della nuova posizione della Germania che si consolida con S. Le dimensioni della sua economia, la sua posizione avanzata, la stabilità del suo sistema politico, l’importanza del suo contributo militare alla alleanza le restituiscono il peso internazionale che essa aveva perduto con il suo secondo assalto al potere mondiale.
La doppia decisione atlantica, preceduta, il 6 dicembre 1979, da una risoluzione nel Congresso dell’SPD che ne aveva accettato i contenuti, a fronte del rigetto proposto dal leader dei giovani socialdemocratici, Gerhard Schröder, è adottata il 12 dicembre 1979. S. non avrebbe mai convinto il suo partito se un altro paese continentale non avesse adottato lo stesso atteggiamento. E poiché Belgio e Paesi Bassi prima di una decisione definitiva desiderano attendere l’esito dei negoziati con l’URSS, tocca all’Italia farsi avanti per fornire ai tedeschi l’avallo di cui hanno bisogno. Di tutti gli uomini politici occidentali S. era quello che aveva parlato dell’Italia, negli anni precedenti, con maggior durezza e rigore. Quell’episodio contribuisce a fargli rivedere il giudizio su questo paese, che da allora in poi sarà molto diverso, come avrà modo di confermare in più di una occasione anche pubblicamente, dinanzi al Bundestag nel messaggio conclusivo del suo cancellierato, nell’ottobre 1982.
Negli ultimi giorni del dicembre 1979 i sovietici invadono l’Afghanistan. Carter enuncia la sua dottrina di opposizione ad ogni tentativo di conseguire con la forza il controllo del Golfo Persico. Il 5 febbraio Giscard e S., in una dichiarazione comune, ricordano che «la distensione non sopporterebbe un nuovo colpo dello stesso tipo», un avvertimento alla Russia che vuole essere anche un tentativo di salvare il processo avviato da Brandt. La crisi degli euromissili si intreccia quindi con quella dell’Afghanistan, nell’ultimo, drammatico anno della presidenza di Carter, oscurata anche dalla presa degli ostaggi all’ambasciata americana a Teheran e alla vigilia della sostituzione di Giscard con François Mitterrand. Nonostante il confronto sia alla periferia dei due schieramenti, Angola, Afghanistan, esso torna al centro, in Europa, e colpisce soprattutto la Germania. Ciò che era latente negli anni Settanta diviene esplicito e sarà una delle ragioni della controffensiva del nuovo presidente americano, Ronald Reagan.
Il 30 giugno 1980 S. si reca a Mosca per sondare la disponibilità sovietica ad avviare senza condizioni un negoziato sugli euromissili. Mosca fa balenare a Bonn l’idea di una “pace separata” con l’Europa occidentale. S., non diversamente da Brandt, ha un buon rapporto con Leonid Brežnev, ne coglie «l’inclinazione al sentimentalismo, il senso dell’ospitalità, la forza», alla quale si mescolano «una imperscrutabile alterità, circospezione, scaltrezza calcolatrice, consapevolezza della propria forza fino alla brutalità» (v. Schmidt, 1987, p. 71). Li lega una comune esperienza di guerra sulla quale si sono soffermati una volta a lungo in una occasione conviviale, suscitando curiosità e stupore nel cancelliere Brandt. A Mosca S. può esporre il suo caso di fronte al Politburo. Invano cerca di convincere Brežnev a smantellare gli SS 20. Il viaggio è stato preceduto da un ammonimento di Carter a non assumere impegni che irrita profondamente il cancelliere. L’incontro al Danieli di Venezia, il 21 giugno 1980, tra S. e Carter, in occasione del vertice dei paesi industrializzati, mette in evidenza, impietosamente, la distanza reciproca. Brežnev accetta comunque l’avvio di un negoziato senza condizioni sui missili intermedi che inizia a Ginevra il 17 ottobre 1980 e che viene interrotto il 4 novembre per le elezioni americane.
Alle elezioni tedesche dell’ottobre 1980 i partiti dell’Unione ottengono la maggioranza relativa, ma la coalizione tra socialisti e liberali mantiene il potere. Il cancelliere non vorrebbe esser trascinato in un conflitto tra le due superpotenze, accentua ancora di più la sua vocazione alla mediazione, si propone come un interprete della politica occidentale, quasi un ricordo dell’“onesto sensale” di bismarckiana memoria.
L’avvento di Ronald Reagan, nel gennaio 1981, segna due svolte importanti: il ritorno a un forte liberalismo sul piano interno e l’avvio di un programma ambizioso di contenimento militare che induce a sospettare, nelle perplessità tedesche, il germe del neutralismo. Gli Stati Uniti a loro volta praticano una politica di alti interessi che attira capitali da tutto il mondo, anche per alimentare il proprio riarmo. S. e Reagan si incontrano per la prima volta a Bonn, il 21 maggio 1981. Reagan, nel giudizio del suo interlocutore, sembra avere la capacità di ascoltare gli europei, di comunicare in modo semplice ed efficace la propria illimitata fiducia nei fattori che hanno generato la potenza americana (v. Schmidt, 1987, p. 293).
Il 10 maggio 1981 François Mitterrand è eletto presidente dai francesi, erede di un socialismo ispirato ai canoni classici di una sinistra che non si riconosce nella socialdemocrazia nordica. Certo S. e Mitterrand criticano la politica economica e monetaria di Washington, già in una dichiarazione comune del febbraio 1982. Ma in materia di sicurezza il nuovo presidente mostra subito la sua distanza dalla Germania. Ricorda al momento del suo insediamento, che in Europa sono stati alterati gli equilibri strategici. Il partito di S. preferisce invece convivere con gli SS 20 piuttosto che sostenere le contromisure della NATO. In tal modo il cancelliere perde sia i suoi mezzi di pressione su Mosca che la sua credibilità nei confronti di Washington.
Nel dicembre 1981 S. si reca nella RDT per una visita più volte rimandata. È l’occasione per affermare che «la riunificazione tedesca non avverrà comunque in questo secolo […]. Non è la prima volta che nella storia tedesca coesistono più di uno Stato». Il 13 è raggiunto dalla notizia dello stato d’assedio proclamato in Polonia da Wojciech Jaruzelski, dell’arresto della leadership di Solidarność. Gli verrà poi imputato di non aver interrotto la visita, quasi di aver manifestato un consenso tacito verso il colpo di Stato, di non aver mostrato la durezza necessaria. Ma S. ricorda le molte responsabilità tedesche verso la Polonia e teme che le sanzioni economiche, l’embargo imposto da Reagan, colpiscano soltanto l’uomo della strada. È vero, peraltro, che nelle file dell’SPD la simpatia per Solidarność è piuttosto contenuta: non è un sindacato internazionale e socialista, bensì nazionale e cattolico. Il governo federale cerca comunque, invano, anche attraverso Berlino Est, di far pressione su Jaruzelski per un ritorno alla normalità. Ma non vuole pregiudicare i contatti umani consentiti dai trattati della Ostpolitik, soprattutto a fronte dell’atteggiamento molto più intransigente del presidente americano.
Il 22 maggio 1982 Reagan e S., in un incontro alla Casa Bianca, ribadiscono il valore della doppia decisione in ambedue le sue parti. Ma in Germania cresce l’opposizione anche nella società civile. Il 30 novembre 1981 erano ripresi i negoziati sugli euromissili. Ma nessuno conoscerà, se non per una successiva rivelazione della stampa, l’intesa (75 sistemi per parte), abbozzata nel luglio 1982, appena due mesi prima della uscita di scena di S., dai plenipotenziari dei due paesi Paul Nitze e Julij Kvizinski (“passeggiata nel bosco”) e dai loro governi respinta senza nemmeno farla conoscere ai rispettivi alleati.
La doppia decisione apre una falla che chiama a raccolta tutti gli spiriti pacifisti e antinucleari delle società occidentali. Il pacifismo diventa per molti aspetti il prolungamento di quella contestazione giovanile che aveva investito alcuni paesi europei dieci anni prima. Nella SPD Brandt afferma che non bisogna lasciare ai soli Verdi un movimento che si colora anche di tinte religiose e di forti sentimenti antiamericani. È particolarmente visibile laddove le tradizioni protestanti favoriscono la partecipazione del clero alle manifestazioni della società civile. Nella Chiesa evangelica si levano voci contro il riarmo, già a partire dal Kirchentag di Amburgo del giugno 1981. A molti uomini di Chiesa sembra che la protesta esprima esigenze spirituali, anche se confuse, quasi la ricerca di una nuova fede, di una nuova divinità, la pace come bene assoluto.
La crisi degli euromissili rende ancora una volta evidente la debolezza politica dell’Europa e la sua dipendenza dall’alleato principale sul piano della sicurezza, mentre l’aspro dibattito all’interno dell’opinione pubblica accresce l’incertezza sulle prospettive di una ulteriore integrazione. La cooperazione politica tra gli Stati membri non può interferire nel negoziato tra alleati, essendo i problemi della sicurezza esclusi dalla competenza comunitaria.
La fine della coalizione socialista-liberale segna anche la fine di un’epoca. Già nel Congresso dell’SPD del 19 aprile 1982 è evidente la perdita di autorità di S. Aumenta il dissenso dei socialisti con il partito minore sui temi della sicurezza ma anche della occupazione, mentre i liberali temono di dover affrontare le nuove elezioni con un alleato lacerato e diviso. I liberali non votano a favore del governo il 1° ottobre in una mozione di fiducia costruttiva presentata dall’opposizione, e la mano passa al nuovo cancelliere Helmut Kohl.
S. lascia una Germania più autorevole e prestigiosa sulla scena internazionale: ha difeso e sviluppato ciò che i suoi predecessori avevano costruito. Ha spinto l’Occidente a rispondere alla minaccia militare sovietica e avviato così una ultima corsa al riarmo che sarà anche tra le cause della caduta finale del comunismo. È stato capace di far accettare ai sindacati la priorità fondamentale della lotta all’inflazione, pur nella crescita moderata. Agli inizi del suo mandato giudicato scettico nei confronti della Comunità economica europea, ha contribuito in modo decisivo a rafforzarla, sul piano delle istituzioni e nel settore economico e monetario, che più di ogni altro chiama in causa la responsabilità tedesca. Come “secondo violino” degli Stati Uniti nella NATO e della Francia in Europa, la Repubblica federale degli anni di S. emerge come la forza militare ed economica più rilevante nell’Occidente europeo e come pietra angolare della solidarietà atlantica (v. Kissinger, 2001, p. 38).
Silvio Fagiolo (2010)