Schröder, Gerhard
Deputato al Bundestag dal 1949 e ministro degli Interni nei governi di Konrad Adenauer dal 1953 al 1961, S. (Saarbrücken 1910-Kampen 1989) conosce una svolta nella sua carriera con la assunzione della titolarità del ministero degli Esteri nel novembre 1961. Konrad Adenauer continua a mantenere un potere di indirizzo molto forte in politica estera, ma il suo ministro è in grado di far valere accenti propri, pur in una linea di sostanziale continuità. Gli anni di S. portano con sé sfide nuove: l’aspirazione della Francia di Charles de Gaulle a una egemonia europea; il perseguimento di un clima più disteso nei rapporti Est-Ovest da parte della nuova amministrazione Kennedy (v. Kennedy, John Fitzgerald); l’aggiornamento della strategia verso l’altra Germania all’indomani della costruzione del Muro di Berlino; la caduta di Chruščёv.
Un compito che si rivela subito difficile è l’equilibrio dei rapporti tra Francia e Stati Uniti. S. accompagna Konrad Adenauer in un viaggio a Washington già il 16 novembre 1961. La crisi di Berlino non è ancora risolta, anche se ha superato le fasi più acute. Le rivendicazioni di Mosca sono molte: la trasformazione di Berlino occidentale in città libera; il riconoscimento della Repubblica Democratica Tedesca (RDT) e della frontiera dell’Oder-Neisse; la denuclearizzazione dell’Europa centrale; la non-proliferazione; un patto di non aggressione tra l’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico (NATO) e il Patto di Varsavia. La visita rassicura la Germania circa l’impegno americano a continuare a sostenerne la riunificazione. Nel contempo, Bonn vede nella secca opposizione francese alle minacce sovietiche una importante manifestazione di solidarietà, supplementare e non alternativa a quella atlantica. S. è apertamente a favore del nuovo corso kennediano. Adenauer, nonostante le garanzie ricevute, resta più diffidente, fino a mettere in conto possibili tensioni con il principale alleato.
S. si reca con il cancelliere a Parigi, il 9 dicembre 1961. Il contrasto non potrebbe essere maggiore tra la solennità del cerimoniale dell’Eliseo e lo stile giovanile ed informale della Casa Bianca. Charles de Gaulle si conferma fautore del principio di una rappresentanza unica del popolo tedesco, che compete a Bonn, anche se seguito dal corollario del carattere definitivo dei confini orientali della RDT. De Gaulle persegue da tempo una ristrutturazione della leadership occidentale. Dapprima, propone che la NATO sia retta da una troika comprendente Francia, Regno Unito e Stati Uniti che, peraltro, rifiutano l’ipotesi anche perché essa tiene fuori la Germania, sminuendone il peso all’interno dell’Alleanza atlantica. Successivamente, nell’estate del 1961, promuove un piano che prende il nome del presidente della Commissione incaricata della sua elaborazione (Piano Fouchet) per una evoluzione della Comunità economica europea (CEE) secondo un modello di Cooperazione intergovernativa. Siamo alla vigilia della seconda fase dell’Unione doganale, la cui entrata in vigore i francesi subordinano alla creazione di un mercato agricolo comune. De Gaulle ed Adenauer si incontrano ancora a Baden-Baden, il 15 febbraio 1962. A questo punto, il generale ha già in mente una terza variante, dopo il direttorio e l’Unione politica, e cioè una stretta coesione franco-tedesca. Adenauer sarebbe disposto ad accettare il Piano Fouchet nella sua ultima versione, come conferma al presidente del Consiglio italiano, Antonio Segni. L’Italia ha un ruolo di rilievo in questa fase, perché detiene la presidenza della CEE, ma anche perché sa farsi portavoce delle preoccupazioni dei paesi più piccoli. Alla fine, il piano Fouchet non passa per le obiezioni sul suo carattere intergovernativo, l’assenza della Gran Bretagna, la mancanza di un chiaro collegamento tra la Comunità europea e la NATO. S. è tra coloro che con maggiore chiarezza invocano un coinvolgimento britannico e, il 4 novembre 1963, presenta un piano per l’Europa alternativo alle proposte di Fouchet.
Nei rapporti con l’Unione Sovietica le distanze sono ancora grandi, dopo l’ingresso della Germania federale nella NATO. Mosca tiene fermo il principio dei due Stati tedeschi e non cessa di alimentare sospetti e diffidenze, imputando a Bonn uno spirito revanscista e una politica minacciosa per la pace, anche per il presunto proposito di dotarsi dell’armamento nucleare. A sua volta, la Repubblica federale procede alla rottura delle relazioni diplomatiche con ogni paese che riconosca l’altra Germania (dottrina Hallstein) (v. Hallstein, Walter): fa leva sul potere deterrente della propria economia. S., in una intervista del 30 aprile 1962, così riassume le linee guida della propria politica: disconoscimento di ogni legittimità alla RDT; rifiuto della separazione di Berlino dalla Germania libera; autodeterminazione per l’intero popolo tedesco; rinvio della definizione delle frontiere a un Trattato di pace sottoscritto da una Germania riunificata.
Tuttavia, nelle riflessioni interne al suo ministero, S. cerca spunti nuovi e spazi di manovra più ampi. Un punto di riferimento è un articolo di “Foreign Affairs” di quello stesso periodo con il quale Zbigniew Brzezinski suggerisce una politica più realistica, costruttiva, equilibrata verso i paesi dell’Europa centrale, puntando su una diversificazione delle loro condizioni, fino a immaginare che essi possano, un giorno, costituire un cordone neutrale, sul modello della Finlandia. Tanto più che le rivolte del 1956 hanno mostrato come il blocco sovietico sia tutt’altro che monolitico. S., al Congresso della Christlich-demokratische Union (CDU) del giugno 1962, propone nei loro confronti rapporti migliori, sul piano umano e culturale, il che consentirebbe alla Germania federale di dissipare i risentimenti legati alla storia recente e di controbattere la propaganda sovietica. Le sue riflessioni peraltro raccolgono maggiore attenzione nell’altro partner della coalizione, i liberali, e nell’opposizione che non tra le file del suo stesso partito. S. del resto è incline ad una politica bipartisan, soprattutto dopo la svolta socialista di Bad Godesberg, al contrario di Adenauer, che è uso fare delle relazioni esterne un fattore di divisione e di polarizzazione.
Il 1962 è l’anno del grande discorso con il quale John Kennedy, in coincidenza con la festa del 4 luglio, auspica una comunità transatlantica basata su due pilastri, americano ed europeo, il primo inclusivo della Gran Bretagna come membro della CEE. All’inizio di luglio, S. accompagna il cancelliere in una visita di Stato in Francia, nel corso della quale, durante il servizio religioso nella Cattedrale di Reims, con la partecipazione di Adenauer e de Gaulle, compone quella che resta l’icona maggiore della riconciliazione franco-tedesca. L’8 luglio, dopo aver deciso di compiere un ultimo tentativo per salvare il Piano Fouchet, il generale chiede al cancelliere se fosse disposto, in caso di fallimento, a procedere con una intesa a due. In settembre de Gaulle restituisce la visita, suscitando grande entusiasmo popolare. S. sposa la linea politica del cancelliere, anche se con motivazioni non del tutto coincidenti. Pensa a un ravvicinamento di Parigi alla NATO e conta ancora sull’ingresso della Gran Bretagna nella CEE. In altri termini, vorrebbe ricondurre la politica verso la Francia nell’alveo della strategia occidentale della Repubblica federale, anche perché nella crisi di Cuba dell’ottobre 1962, sia Adenauer che de Gaulle si sono schierati senza esitazioni dalla parte degli Stati Uniti.
In una conferenza stampa, il 14 gennaio 1963, il generale conferma la sua opposizione all’ingresso della Gran Bretagna nella CEE, che altrimenti diverrebbe «una gigantesca Comunità atlantica sotto dipendenza e a direzione americana». Condanna l’accordo tra Stati Uniti e Gran Bretagna concluso a Nassau, nelle Bahamas, nel Natale precedente e secondo il quale Washington fornirà a Londra missili balistici da schierare su sommergibili e testate di fabbricazione britannica, sottoposti al comando della NATO. Il presidente Kennedy intende avanzare la stessa offerta alla Francia. Ma Parigi, soprattutto dopo la crisi di Cuba, che evidenzia l’inferiorità strategica dell’Unione Sovietica, non ritiene di dover accettare quella che considera una egemonia americana e di dover rinunciare a una forza nazionale indipendente. S. critica apertamente l’atteggiamento francese e si pone in contrasto con il cancelliere. Il 18 gennaio 1963 sono interrotti a Bruxelles i negoziati per l’adesione britannica. In risposta al veto gollista, il 1° aprile 1963, S. propone un piano d’azione basato sul principio della sincronizzazione, cioè del mantenimento di un equilibrio tra gli interessi nazionali reciproci dei paesi membri della CEE.
S. incontra negli stessi giorni a Bonn il vicesegretario di Stato americano, George Ball, intento a compiere i primi sondaggi su quella che verrà poi chiamata la forza nucleare multilaterale (Multilateral force, MLF). Il segretario di Stato alla Difesa americano, Robert McNamara, aveva già illustrato nei Consigli atlantici di Parigi e di Atene (rispettivamente nel 1961 e 1962) la nuova dottrina della risposta flessibile. Una dottrina che non manca di suscitare alcune obiezioni per il possibile sganciamento (decoupling) americano dall’Europa, ma anche per i costi che essa impone alla Germania nel riarmo convenzionale. Nel Gabinetto, il ministro dell’Economia Ludwig Erhard, erede presunto di Adenauer, è il maggiore avversario della politica francese.
Il Trattato dell’Eliseo del 22 gennaio 1963 corona la riconciliazione franco-tedesca; rafforza il ruolo dei due paesi nelle istituzioni, europea e atlantica; realizza, in materia di sicurezza, una divisione dei compiti tra la componente nucleare e quella convenzionale. Ma a Washington si ritiene che de Gaulle ostacoli il grand design kennediano, impedendo l’ingresso della Gran Bretagna nella Comunità. Inoltre, Parigi alimenta un dissidio in campo occidentale subito dopo la clamorosa umiliazione subita dall’Unione Sovietica nella crisi di Cuba. S. è fra coloro che si adoperano perché il Trattato dell’Eliseo non venga interpretato come un mutamento di rotta della politica tedesca, soprattutto per i dissensi tra il cancelliere e il ministro dell’Economia, in un conflitto che si sovrappone a quello per la successione dell’uno all’altro. Il 23 aprile 1963, il gruppo parlamentare della CDU decide che il cancelliere si congederà dopo la pausa estiva e che sarà Erhard a prendere il suo posto. Adenauer, a differenza di S., ritiene che le difficoltà economiche dell’Unione Sovietica e il conflitto sempre più evidente di questa con la Cina aprano nuove prospettive alla politica estera di Bonn. Durante l’estate, S. accompagna Kennedy in tutte le stazioni del suo viaggio trionfale in Germania. Successivamente, in occasione di un breve soggiorno a Roma per l’incoronazione di Paolo VI, sottolinea in una intervista al “Messaggero” la complementarità tra difesa nazionale francese e strutture atlantiche.
Il 23 luglio 1963, gli Stati Uniti chiedono alla Repubblica federale di aderire al Trattato per il bando degli esperimenti nucleari nell’atmosfera e in mare, che si accingono a sottoscrivere insieme ad Unione Sovietica e Gran Bretagna. I sovietici hanno anche tentato di far passare la loro idea ricorrente di un patto di non aggressione. S. è senz’altro per l’adesione, contro il cancelliere che, nonostante il successo della visita di Kennedy, continua a essere diffidente verso la sua politica di distensione. Fra i critici, Franz Joseph Strauss paragona l’accordo a quello di Monaco e vorrebbe tenere aperta una opzione nucleare, se non altro come carta negoziale. Si profila di nuovo un conflitto tra atlantici e gollisti. S. riconosce i rischi di una politica di apertura americana verso l’Est che ignori la Germania, ma non condivide la linea di coloro che, per solidarietà con la Francia, vorrebbero prendere le distanze dal nuovo Trattato. Secondo questa visione alternativa, sarebbe meglio lasciare le cose allo stato attuale e successivamente, sulla base di un nuovo centro di potere intorno alla force de frappe, della quale i francesi sottolineano il carattere europeo, porre su nuove basi il rapporto con Mosca. I sostenitori di simili tesi sarebbero anche disposti ad accettare una temporanea egemonia francese in Europa. A S., invece, tale egemonia non sembra né realistica né utile. Se proprio si deve subire una egemonia, meglio che essa sia quella del paese che offre la maggiore sicurezza, appunto gli Stati Uniti. Tanto più che Kennedy ha assicurato a S., in occasione del viaggio in Germania, che gli Stati Uniti avrebbero mantenuto fermo l’obiettivo dell’unità tedesca, anche se i progressi non sono affatto visibili.
Un bilancio di questa prima gestione dell’Auswärtiges Amt a opera di S. deve dargli credito di aver tentato di rimettere in movimento i rapporti verso l’Est e di avere coadiuvato, con maggiore flessibilità del cancelliere, il ravvicinamento dell’amministrazione americana all’Unione Sovietica. Per S. non c’è altra via che una piena solidarietà con Washington, mentre Adenauer immagina opzioni diverse, soprattutto dopo l’arrivo dei democratici alla Casa Bianca. S. non giudica De Gaulle un’alternativa, semmai cerca di inserire il rapporto con la Francia nel più vasto contesto della Westbindung, rifiuta una politica della doppiezza (doppeldeutig, doppelzüngig).
S. resta ministro degli Esteri anche nel Gabinetto Erhard, insediatosi il 16 ottobre 1963. I Trattati di Roma sono piuttosto vaghi in materia di politica agricola e la Repubblica federale ritiene che prezzi unici possano essere stabiliti soltanto a conclusione del periodo transitorio, alla fine degli anni Sessanta. La Francia, a cavallo tra il 1961 e il 1962, minaccia a sua volta di non accettare il passaggio alla seconda fase dell’unione doganale, della quale gioverebbe soprattutto la maggiore potenza industriale comunitaria, se la organizzazione comune di mercato, già prevista per vino e cereali, non sarà estesa anche al riso, alla carne bovina, ai prodotti lattiero-caseari. Il negoziato si intreccia con quello per il mandato alla Commissione in vista del Kennedy round e sul loro collegamento reciproco S. insiste in modo particolare.
All’inizio del luglio 1964, de Gaulle è in visita in Germania e invoca che le politica estera, di sicurezza e culturale siano convergenti tra i due paesi e autonome dagli Stati Uniti. Ma, per quanto riguarda l’arma nucleare, precisa che finché l’Europa non sarà veramente unificata, attraverso un governo comune, può esserci solo una forza nazionale, anche se essa verrebbe automaticamente impiegata nella difesa dell’Europa. S. continua a ritenere senza confronti il peso della sicurezza offerta dagli Stati Uniti, mentre un’uscita dalla NATO sarebbe impensabile per la Repubblica federale, il paese più esposto alla minaccia nemica. De Gaulle cerca di dissuadere i tedeschi dalla partecipazione al disegno del presidente Lyndon Johnson per una forza nucleare multilaterale tra i paesi della NATO. Nella coalizione, i liberali, come all’opposizione i socialdemocratici, sono invece favorevoli all’opzione atlantica.
S., come de Gaulle, conta sul sentimento nazionale dell’Europa dell’Est, ma, a differenza del generale, non pensa a un disimpegno simmetrico di ambedue le superpotenze. Giudica ad esempio negativamente il riconoscimento francese della Cina senza una previa concertazione occidentale. Nei confronti dell’altra Germania continua ad attenersi alla dottrina Hallstein. E tuttavia conclude accordi commerciali con Bulgaria, Polonia, Romania, Ungheria e persegue maggiori contatti con l’Unione Sovietica, incluso il progetto di una visita a Berlino di Chruščёv, che non si realizza anche per la destituzione del segretario generale nell’ottobre del 1964. Ma, nel marzo 1965, falliscono i negoziati con la Cecoslovacchia dinanzi alla richiesta della Repubblica federale di includere Berlino nell’accordo. La nuova dirigenza del Cremlino è più rigida e non intende favorire la politica di S. volta a isolare la RDT.
Il progetto di una forza multilaterale non decolla, mentre innesca nell’Est una violenta polemica contro l’accesso della Germania alle armi nucleari. La vittoria elettorale laburista rende più netta l’opposizione britannica. Alla fine del 1964, questo è comunque il tema più importante della politica estera di S. Egli sostiene nei confronti di Londra che un’integrazione estesa dal settore convenzionale a quello nucleare avrebbe nell’Alleanza un effetto di coesione e assumerebbe un valore particolare per la Germania federale, esposta ad armi intermedie che non possono invece raggiungere obiettivi dall’altro lato dell’Atlantico. Ma ai laburisti stanno più a cuore i negoziati sulla non proliferazione in corso a Ginevra, soprattutto dopo la prima esplosione nucleare cinese. Lo ricorda il primo ministro Harold Wilson ai Comuni il 28 novembre 1964. E anche negli Stati Uniti si levano voci contrarie. La decisione definitiva matura solo dopo la vittoria elettorale di Johnson a novembre. Il Congresso solleva obiezioni, anche perché, a fronte delle posizioni di Francia e Gran Bretagna, il progetto finisce per essere più fonte di divisione che d’integrazione. Inoltre, la più chiara opzione atlantica di Erhard e del suo ministro degli Esteri dissipa il timore che i tedeschi, in accordo con la Francia, possano perseguire una propria via di accesso all’armamento nucleare. Gli Stati Uniti non cancellano formalmente il piano multinazionale, esso semplicemente scompare lentamente dall’orizzonte, mentre viene creato nella NATO un Gruppo di concertazione nucleare (Nuclear planning group, NPG) costituito dai ministri della Difesa dei paesi membri.
Nel dicembre 1964 è raggiunto un accordo in materia di prodotti agricoli, ma, nell’aprile dell’anno successivo, de Gaulle apre un nuovo contenzioso sulle proposte del Presidente della Commissione europea, Walter Hallstein, in materia di politica agricola, risorse proprie, poteri della Commissione e del Parlamento europeo, voto a Maggioranza qualificata in Consiglio dei ministri. La Germania avrebbe accettato l’avanzamento nella politica agricola solo se legato a quello in materia istituzionale, secondo uno schema che si sarebbe ripetuto in altre circostanze, negli anni futuri, ad esempio a proposito del passaggio alla moneta unica. Di fronte a Maurice Couve de Murville che chiede di decidere sul regolamento finanziario senza prendere impegni su altri punti, al Consiglio europeo del giugno 1965, S. sostiene il carattere globale delle proposte della Commissione, facendo fallire i progetti francesi. Alla fine, il Compromesso di Lussemburgo, nel gennaio 1966, è più vicino alle posizioni sostenute da S., anche se il riferimento all’interesse nazionale getta un’ombra ambigua sul processo decisionale. Il compromesso crea anche le premesse per una posizione comune nel Kennedy round.
Il 21 febbraio 1966, de Gaulle lancia una nuova sfida alla NATO. Decide di uscire dalla organizzazione di difesa integrata, adducendo una duplice motivazione: la minaccia dell’Unione Sovietica non è più la stessa; la Francia non vuole rischiare di essere coinvolta in un conflitto in un’altra area del mondo, nel caso specifico il Vietnam. Per S. è importante che le truppe francesi restino comunque in Germania, anche se non più sotto comando alleato. Alla fine, il presidio francese resta, anche se in un quadro giuridico diverso, con il consenso degli stessi americani, pesantemente impegnati sul fronte asiatico. Nessuna soddisfazione invece ottiene da Washington la Repubblica federale in materia di contributi alle spese di stazionamento di truppe americane sul proprio territorio.
Con la fine della coalizione, nel novembre 1966, S. lascia il ministero degli Esteri. Diviene ministro della Difesa nella successiva “grande coalizione” guidata da Kurt Georg Kiesinger, fino al 1969. Torna poi semplice deputato del Bundestag fino al 1980.
S. vive fino a vedere la caduta del Muro di Berlino, ma non la riunificazione del suo paese.
Silvio Fagiolo (2010)