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Schulz, Martin

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S. nasce a Hehlrath (oggi Eschweiler), nei pressi di Aquisgrana, il 20 dicembre 1955; è il più giovane di cinque fratelli. Il lato paterno della famiglia è di orientamento socialdemocratico: il padre è un poliziotto originario di una famiglia di minatori della Saarland; il nonno è stato uno dei cofondatori dell’unione provinciale della SPD di Elversberg. La madre, al contrario, proviene da una famiglia borghese fedele elettrice del partito cattolico-conservatore: alla fine della Seconda guerra mondiale, contribuisce a fondare la locale sede della CDU di Hehlrath.

Dal 1966 al 1974, S. frequenta il ginnasio superiore a Würselen, all’epoca una cittadina di quarantamila abitanti segnata dalla presenza di tre confini, con Olanda (v. Paesi Bassi), Belgio e Lussemburgo: la vicinanza e la frequentazione di diversi Stati nazionali, grazie anche a un «vivace traffico di frontiera», gli consentono fin da giovane di padroneggiare fluentemente, oltre al tedesco, anche l’olandese e il francese (seguiranno l’inglese, l’italiano e lo spagnolo).

Terminato il liceo, S. inizia a lavorare come libraio: prima come apprendista, quindi come professionista presso librerie e case editrici; infine, dal 1982 al 1994, gestisce una propria libreria a Würselen.

A diciannove anni abbraccia l’impegno politico, iscrivendosi alla SPD, partito all’interno del quale svolgerà l’intera carriera politica. Milita inizialmente nell’organizzazione giovanile del partito, divenendo presidente della sezione di Würselen. Nel 1984 entra nel direttivo dell’SPD del circondario di Aquisgrana e viene eletto al consiglio comunale di Würselen (vi resterà fino al 1999). Nel 1987, all’età di trentuno anni, è eletto sindaco di Würselen, risultando il più giovane sindaco del Land della Renania Settentrionale-Vestfalia: manterrà l’incarico di primo cittadino fino al 1998.

Negli anni Novanta inizia il cursus honorum nella SPD: nel 1991 è nominato membro del Consiglio nazionale; nel 1996 è eletto presidente del direttivo della SPD del circondario di Aquisgrana (incarico che manterrà fino al 2010); nel 1999 diviene membro della direzione federale del partito e dell’ufficio di presidenza.

La svolta politica che lo proietta verso la carriera europea avviene nel 1994, quando è eletto per la prima volta deputato al Parlamento europeo: otterrà la riconferma del seggio parlamentare nelle quattro successive elezioni europee (1999, 2004, 2009 e 2014).

Nel corso della IV legislatura del Parlamento europeo (1994-1999), S. occupa uno dei 40 seggi che spettano alla SPD all’interno del Partito dei socialisti europei (PSE) (v. Partito socialista europeo). Assume il ruolo di coordinatore del gruppo PSE nella sottocommissione per i diritti umani (1994-1996) (vd. Diritti dell’Uomo)e nella Commissione per le libertà civili, Giustizia e affari interni (1996-1999).

Durante la V legislatura (1999-2004), S. è nominato presidente della delegazione dei socialdemocratici tedeschi al Parlamento europeo (nel 2000) e, successivamente, vicepresidente dell’intero gruppo parlamentare socialista al Parlamento europeo (nel 2002). In tale veste, S. diviene noto alla stampa europea (e, in misura minore, al pubblico europeo) a seguito di un duro scontro verbale con il presidente del Consiglio italiano Silvio Berlusconi, intervenuto al Parlamento europeo il 2 luglio 2003 per presentare gli obiettivi del semestre di presidenza italiana del Consiglio dell’Unione europea. A seguito del discorso introduttivo di Berlusconi, S. prende la parola per contestare la presenza, nella compagine governativa italiana, della Lega Nord e, in particolare, del ministro Umberto Bossi, le cui posizioni in materia di immigrazione sono giudicate in contrasto con la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, che spetterebbe a Berlusconi difendere in quanto presidente di turno. Inoltre, S. paventa il rischio che il potenziale conflitto tra gli interessi economici e la posizione politica di Berlusconi possa ostacolare, a livello europeo, il rafforzamento della cooperazione giudiziaria in ambito penale. Il presidente del Consiglio italiano replica con un controverso intervento in cui paragona S. a un kapò, una guardia ausiliaria dei campi di concentramento nazisti, suscitando vive reazioni e proteste da parte di un’ampia maggioranza di parlamentari europei, che interpretano le parole di Berlusconi come un attacco alla libertà parlamentare e agli stessi principi fondativi dell’Unione europea.

Nel corso della VI legislatura (2004-2009) e nella prima metà della VII legislatura (fino al gennaio 2012), S. riveste l’incarico di presidente del gruppo del PSE al Parlamento europeo (che nel 2009 diventa “Gruppo dell’Alleanza progressista dei socialisti e dei democratici”). La sua presidenza del gruppo dei socialisti e democratici si caratterizza, in particolare, per l’impegno costante a promuovere nell’agenda del Parlamento europeo i temi del lavoro e della crescita, dei cambiamenti climatici e della riforma del sistema del mercato economico e finanziario.

La carriera parlamentare di S. culmina il 17 gennaio 2012 con l’elezione alla presidenza del Parlamento europeo, per un mandato di due anni e mezzo. A seguito di un accordo tra i due principali gruppi politici che siedono in Parlamento, il PPE e l’Alleanza progressista dei socialisti e democratici, S. ottiene al primo scrutinio 387 voti su 670, succedendo all’europarlamentare popolare Jerzy Buzek, in carica dall’inizio della VII legislatura (per consuetudine e con poche eccezioni, infatti, in ciascuna legislatura i due principali gruppi politici si alternano alla presidenza del Parlamento europeo).

In vista delle elezioni europee del 2014, S. svolge un ruolo chiave nell’attivazione del processo che conduce all’introduzione di una nuova procedura per la nomina del Presidente della Commissione europea: i c.d. spitzenkandidaten, ovvero candidati paneuropei nominati direttamente dai partiti politici europei (procedura legittimata dalle aperture contenute nell’art. 17 comma 7 del Trattato sull’Unione europea, adottato a Lisbona nel 2007). Fin dal dicembre 2009, infatti, il PSE aveva fissato una road map per arrivare a presentare una candidatura unitaria per il ruolo di presidente della Commissione europea prima delle elezioni europee del 2014. Tale obiettivo nasceva dall’esigenza di rilanciare la propria azione politica, a seguito delle sconfitte nelle elezioni europee del 2004 e del 2009, e dell’incapacità di trovare un accordo, nel 2009, su un candidato comune per la presidenza della Commissione. In particolare, il Consiglio del PSE di Bruxelles del novembre 2011 aveva stabilito che il candidato alla presidenza della Commissione sarebbe stato individuato attraverso primarie da svolgersi, inizialmente, in ciascuno dei partiti membri del PSE; successivamente, i risultati sarebbero stati ratificati in un congresso straordinario.

Avvalendosi di tali circostanze, S. presenta la propria candidatura nell’ottobre 2013, ottenendo l’endorsement da parte di 21 partiti nazionali membri del PSE. In assenza di altre candidature, il 6 novembre 2013 S. viene nominato “candidato comune” per il PSE alla presidenza della Commissione europea. Il successivo congresso straordinario di Roma del marzo 2014 ratifica formalmente la sua nomina: 368 delegati si esprimono a favore di S.; 2 sono i voti contrari e 44 le astensioni (in gran parte laburisti inglesi). Al Congresso di Roma, S. presenta un vero e proprio programma politico, al cui centro è posta l’idea di un’Europa più attenta ai temi sociali, che superi la politica di austerity e punti al rilancio dell’economia; un’Europa proiettata verso una maggiore integrazione, senza tuttavia arrivare ad annullare le identità nazionali.

È opportuno rilevare che la candidatura e la nomina di S. innescano un processo dinamico che induce anche le altre famiglie politiche europee a nominare i rispettivi spitzenkandidaten: Alexis Tsipras per il Partito della sinistra europea (dicembre 2013); Ska Keller e José Bové per i Verdi (vincitori delle “primarie virtuali” condotte nel gennaio 2014; vd. Partito verde europeo); Guy Verhofstadt per l’Alleanza dei liberali e democratici  (vd. Liberademocratici europei) per l’Europa (febbraio 2014); e infine Jean-Claude Juncker per il Partito popolare europeo (Congresso di Dublino del marzo 2014). Inoltre, a corollario di tale processo, i partiti europei coinvolti si impegnano pubblicamente a non eleggere un presidente della Commissione che non fosse emerso dal meccanismo degli spitzenkandidaten.

S., più di ogni altro candidato, conduce una vera e propria campagna elettorale transnazionale che, per quanto condizionata da limiti di natura temporale, finanziaria e linguistica, rappresenta un significativo elemento di novità rispetto al carattere esclusivamente nazionale delle precedenti campagne elettorali europee. Nei due mesi antecedenti le elezioni, S. partecipa, infatti, a 9 dibattiti televisivi e compie 38 visite elettorali in 20 diversi paesi europei, incontrando frequentemente esponenti sindacali e lavoratori dell’industria, tradizionale bacino elettorale dei socialisti europei.

Alle elezioni europee del 22-25 maggio 2014, il PSE viene nuovamente “sconfitto” dal Partito popolare europeo, che ottiene la maggioranza relativa dei seggi in Parlamento (29,43%, a fronte del 25,43% di seggi per il PSE). Il 27 maggio, ammettendo la sconfitta a nome dei socialisti, S. chiede che Jean-Claude Juncker, in quanto candidato del partito di maggioranza relativa in Parlamento, diventi il nuovo presidente della Commissione europea – posizione immediatamente sostenuta dai leader della maggioranza dei gruppi parlamentari. In effetti, il 27 giugno il Consiglio europeo decide a maggioranza di proporre Juncker quale presidente della Commissione: il Parlamento procede quindi alla sua elezione con 422 voti a favore, 250 contrari e 47 astensioni.

Tale esito si riverbera anche sull’elezione del nuovo presidente del Parlamento europeo. A fronte del proprio sostegno all’elezione di Juncker, infatti, i socialisti chiedono e ottengono l’appoggio del Partito popolare europeo alla rielezione di S. alla carica di presidente del Parlamento. Pertanto, il 1° luglio 2014 S. viene confermato presidente del Parlamento europeo con 409 voti a favore su 612, divenendo il primo a svolgere tale incarico per un secondo mandato da quando vige l’elezione diretta del Parlamento (v. Elezioni dirette del Parlamento europeo).

Oltre a un rafforzamento complessivo del ruolo del Parlamento europeo, dunque, dal processo degli spitzenkandidaten derivano per lo meno altre due importanti conseguenze. Innanzitutto, un ampliamento istituzionale della “politica di coalizione” attuata da socialisti e popolari, che, oltre a favorire la gestione delle attività e delle cariche parlamentari, coinvolge ora anche l’elezione del presidente della Commissione. In secondo luogo, una collaborazione più stretta tra Parlamento e Commissione.

Sotto la seconda presidenza S., infatti, il Parlamento ha garantito il proprio sostegno alla Commissione su dossier cruciali come il piano europeo per gli investimenti, le misure proposte dalla Commissione nel 2015 in risposta alla crisi dei rifugiati, o i negoziati sul Trattato transatlantico sul commercio e gli investimenti. Nel 2015, S. ha collaborato con Juncker e gli altri tre presidenti delle istituzioni europee (Donald Tusk, presidente del Consiglio europeo, Jeroen Dijsselbloem, presidente dell’Eurogruppo, e Mario Draghi, presidente della Banca centrale europea) alla stesura della relazione “Completare L’Unione economica e monetaria dell’Europa” (c.d. relazione dei cinque presidenti), che stabilisce un piano per l’approfondimento dell’Unione economica e monetaria a partire dal 1° luglio 2015 e per il suo completamento al più tardi entro il 2025. A partire dalla fine del 2014, la stretta collaborazione tra Parlamento e Commissione è stata formalizzata nel cosiddetto “G5”: incontri regolari su base mensile tra S., Juncker, il primo vicepresidente della Commissione (Frans Timmermans) e i leader dei gruppi politici del Partito popolare europeo e dell’Alleanza progressista di socialisti e democratici (rispettivamente Manfred Weber e Gianni Pittella).

Tale collaborazione non implica che la Commissione abbia sempre una maggioranza garantita in Parlamento (che, al contrario, rimane un obiettivo da raggiungere caso per caso). Tuttavia, la rielezione alla presidenza del Parlamento quale effetto del processo degli spitzenkandidaten consente a S. di interpretare in maniera diversa la propria funzione rispetto a quanto fatto dai suoi predecessori: meno affine al tradizionale ruolo di speaker neutrale, e sempre più importante “attore” politico.

Nel novembre 2016, a poche settimane dal termine del proprio mandato, S. annuncia l’intenzione di non candidarsi per un terzo mandato alla presidenza del Parlamento europeo, ma di volersi presentare alle elezioni del Bundestag tedesco del 2017 come capolista per la SPD nella regione del Nordreno-Vestafalia.

Andrea Cofelice (2017)

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