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Servizio europeo per l’azione esterna

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Il Servizio europeo per l’azione esterna (SEAE) è un organo dell’Unione europea entrato in funzione nel gennaio del 2011, con l’obiettivo di sostenere la conduzione dell’azione esterna dell’Unione. Il SEAE, considerato de facto il servizio diplomatico dell’UE, è posto sotto l’autorità dell’Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza (v. Politica estera e di sicurezza comune, PESC), ed è composto da una sede centrale a Bruxelles e da una rete di circa 140 delegazioni in rappresentanza dell’UE presso paesi terzi e organizzazioni internazionali.

La creazione del Servizio trova la sua base giuridica nel Trattato di Lisbona – art. 37(3), Trattato sull’Unione europea, TUE – che lasciava a una decisione del Consiglio dell’Unione europea (su proposta dell’Alto rappresentante previa consultazione del Parlamento europeo e approvazione della Commissione europea) il compito di fissarne l’organizzazione e il funzionamento.

Il 26 luglio 2010 – dopo alcuni mesi di negoziati tra i governi degli Stati membri, l’Alto rappresentante, la Commissione e il Parlamento – veniva approvata la suddetta decisione del Consiglio, che diede il via alla costruzione del SEAE. Ai sensi della decisione, il SEAE si presenta come un organo sui generis (non è un’istituzione e neppure un’agenzia dell’UE) che «opera in autonomia funzionale, distintamente dal Segretariato generale del Consiglio e dalla Commissione» – art. 1(2), decisione. I suoi compiti principali riguardano l’assistenza all’Alto rappresentante – nella sua triplice veste di esecutore della PESC/PESD (v. Politica europea di sicurezza e difesa), presidente del Consiglio “Affari esteri” e vicepresidente della Commissione – e, «nell’esercizio delle loro rispettive funzioni nel settore delle relazioni esterne» – art. 2(2), decisione –, al presidente del Consiglio europeo, a quello della Commissione, nonché alla Commissione nel suo insieme. Al fine di assicurare coerenza tra i vari settori dell’azione esterna dell’UE, il Servizio assiste e lavora in collaborazione con i servizi diplomatici nazionali e con il Segretariato generale del Consiglio e la Commissione. La gestione del Servizio è affidata a un segretario generale esecutivo che risponde all’Alto rappresentante, il quale è posto al vertice di un organigramma che presenta direzioni generali di diversa competenza (geografica, tematica, amministrativa, ecc.). Il personale del SEAE ha una provenienza mista. Oltre ai funzionari europei (per la maggior parte provenienti dalla Commissione) è prevista una quota di diplomatici nazionali che vi prestano servizio temporaneamente, fino a un massimo di 10 anni. Alla fine del 2016 il SEAE risultava essere composto da un personale di 4237 persone (di cui 1953 lavoravano nella sede centrale a Bruxelles e 2284 presso le delegazioni), che operava grazie a un bilancio annuale di circa 636 milioni di euro.

L’idea concreta di dar vita a un corpo diplomatico europeo si può far risalire all’anno 2000, quando il Parlamento europeo licenziò una risoluzione “sulla diplomazia comune comunitaria”, nella quale si prendeva atto degli aspetti sempre più politici e diplomatici che caratterizzavano l’attività esterna dell’UE, e della conseguente necessità di avvalersi di un personale specializzato, con “solida formazione tecnica e diplomatica”. L’obiettivo non era quello di un’unica diplomazia che sostituisse quelle nazionali, ma di migliorare la qualità del servizio esterno dell’Unione. Difatti, sin dagli anni ’60, la Comunità economica europea (CEE) aveva sviluppato costanti relazioni con paesi terzi, fondate sulla proiezione esterna di alcune politiche comunitarie, prima tra tutte la gestione dei fondi dedicati alla cooperazione allo sviluppo (v. Politica europea di cooperazione allo sviluppo). L’invio di tecnici della Commissione incaricati di supervisionare i progetti finanziati dalla Comunità in numerosi paesi africani aveva col tempo dato vita a una sorta di “diplomazia illegale” (come è stata definita da Dimier e Mcgeever), non prevista dai trattati, ma nata sul campo attraverso il dialogo di natura politica che si venne necessariamente a instaurare. Un classico esempio di spill over di competenze consolidatosi con il passare del tempo e le riforme dei trattati. All’aumentare delle competenze della Commissione si accresceva così anche la sua azione esterna, insieme alle strutture burocratiche interne funzionali alla sua conduzione e amministrazione. In particolare, a seguito della firma del Trattato di Maastricht (1992), la seconda Commissione presieduta da Jacques Delors (1989-1993) conobbe un’importante riorganizzazione con la creazione di una direzione generale dedicata alle “relazioni politiche esterne” (DG I-A, il cui operato “al di fuori dell’Europa” si affiancava alla DG I Relazioni economiche esterne e alla DG VIII Sviluppo), e un servizio esterno unificato che poteva contare su un numero sempre maggiore di delegazioni della Commissione in paesi terzi (queste, dal 1988 al 1998, passarono da 70 a 126). Dopo un’ulteriore riorganizzazione su base geografica delle DG promossa dalla Commissione Santer (1995-1999) (v. Santer, Jean Jacques), l’ultimo grande cambiamento prima dell’arrivo del SEAE giunse con il presidente della Commissione Romano Prodi (1999-2004), che accorpando diverse DG costituì un’unica Direzione generale relazioni esterne (c.d. DG Relex), che venne affidata a un commissario dedicato, con l’incarico di coordinare a livello collegiale le azioni di diversi commissari aventi implicazioni esterne.

Se per decenni la diplomazia comunitaria era cresciuta all’ombra alle politiche sovranazionali gestite dalla Commissione, il pilastro intergovernativo della PESC eretto a Maastricht introdusse nuove necessità e compiti di tale natura. Questi vennero affidati al Segretariato generale del Consiglio (SGC), sulla base dell’esperienza maturata dal Segretariato istituto nel 1987 nell’ambito della Cooperazione politica europea. All’interno del SGC si svilupparono così strutture e uffici atti a mantenere un costante dialogo tra i ministeri degli Affari esteri degli Stati membri, e coadiuvare la formazione di decisioni comuni tra i governi, espresse poi all’esterno dalla presidenza di turno dell’UE. Organi che si ampliarono attraverso le riforme dei Trattati di Amsterdam e Nizza (v. Trattato di Nizza), e grazie alle iniziative del primo Alto Rappresentante Javier Solana. Basti pensare alle strutture di gestione delle crisi sorte con il lancio della Politica europea di sicurezza e difesa (PESD, oggi PSDC), e agli organi trasferiti nel SGC in vista dello scioglimento dell’Unione dell’Europa occidentale.

In questa architettura istituzionale bicefala, con divide artificialmente la politica estera dell’UE tra le politiche comunitarie con proiezione esterna gestite dalla Commissione, e la PESC/PSDC condotta dagli Stati e dal SGC, le proposte della risoluzione del Parlamento per la creazione di un corpo diplomatico europeo non ebbero seguiti fino ai lavori intrapresi dalla Convenzione europea sul futuro dell’Europa. La Convenzione – istituita con la Dichiarazione di Laeken del 2001 – affrontò il tema delle riforme costituzionali dell’UE, elaborando il testo del Trattato che adotta una costituzione per l’Europa. I delegati membri della Convenzione erano stati suddivisi in gruppi tematici volti a cercare soluzioni pratiche per i temi in discussione. Tra questi, il gruppo VII “Azione esterna” aveva ripreso le idee del Parlamento sulla diplomazia comunitaria, integrandole in una visione più articolata. Nella relazione finale del gruppo si ritrovano le stesse raccomandazioni della risoluzione, unite alla costituzione di un servizio diplomatico comune denominato “Servizio azione esterna europea”. Il servizio sarebbe stato alle dipendenze di un rappresentante esterno europeo, fusione tra il commissario competente delle relazioni esterne e l’Alto rappresentante pre Lisbona. Tutte le raccomandazioni fatte dal gruppo VII vennero in seguito accettate dalla Convenzione e introdotte nel testo costituzionale. Nel 2004, anticipando l’entrata in vigore della Costituzione europea – il cui processo di ratifica, tuttavia, si arenò definitivamente in seguito alle consultazioni popolari tenutesi nei Paesi Bassi e in Francia nel 2005 – iniziarono i lavori per l’istituzione del SEAE. Durante queste consultazioni preparatorie emersero già con chiarezza i due principali punti di frizione che avrebbero caratterizzato i futuri negoziati interistituzionali che avrebbero portato alla nascita del SEAE. Il primo riguardava la collocazione istituzionale del Servizio in statu nascendi, con la maggior parte degli Stati membri favorevole a un organo indipendente, che raggruppasse le competenti DG della Commissione e del SGC. Al contrario, la Commissione e il Parlamento premevano per un SEAE integrato nei servizi della Commissione: la prima per non perdere il controllo dei propri uffici e delle delegazioni, il secondo per assicurare natura sovranazionale al corpo diplomatico, ed evitare le ingerenze nazionali. L’altra divergenza toccava le competenze e le dimensioni del Servizio. Alcuni Stati membri, tra i più piccoli, preoccupati che i grandi potessero monopolizzare il nuovo organo, esprimevano una preferenza per un SEAE circoscritto alla sola PESC/PSDC, e dalle dimensioni ridotte. Altri paesi, invece, erano dell’idea di allargare il ruolo del SEAE anche alle politiche comunitarie (es. commercio, e cooperazione allo sviluppo), assicurandogli una struttura adeguata, in grado di fornire oltremodo un sostegno alle diplomazie nazionali indebolite dai diffusi tagli alla spesa pubblica.

Il Trattato di Lisbona riproduceva pedissequamente le disposizioni della Costituzione europea circa la creazione del Servizio, rivitalizzandone il dibattito. Dopo una prima fase di riflessione nella quale le istituzioni dell’Unione (v. Istituzioni comunitarie) e gli Stati membri ebbero modo di far conoscere le proprie opinioni sulla forma da dare al Servizio, un rapporto della presidenza di turno svedese raccoglieva le richieste avanzate dai paesi offrendo una visione di compromesso, unita alla richiesta, rivolta all’Alto rappresentante, di presentare la propria proposta entro il 30 aprile 2010. Così, alla fine del 2009 la neoeletta Alto rappresentante Catherine Ashton si metteva subito al lavoro per preparare il progetto, nominando in aiuto un gruppo di esperti con a capo il diplomatico danese Poul Skytte Christoffersen. La proposta presentata da Ashton si ispirava largamente al rapporto della presidenza svedese, immaginando un SEAE autonomo, posto in medio tra la Commissione e il Consiglio (quasi a ricalcare la posizione dell’Alto rappresentante, sia presidente del Consiglio Affari esteri che vicepresidente della Commissione), con il fine di perseguire la coerenza tra tutte le anime della politica estera dell’UE, senza intaccare tuttavia le prerogative dei governi e le competenze degli altri commissari. Una collocazione ibrida tra l’azione esterna sovranazionale e quella intergovernativa, che il SEAE riconfermava prevedendo anche di incorporare uffici del SGC e della Commissione, e funzionari comunitari al fianco di diplomatici nazionali. Da rilevare vi era anche il destino della rete di delegazioni della Commissione, che grazie alla personalità giuridica acquisita dall’UE a Lisbona (art. 47, TUE) (v. Personalità giuridica dell’Unione europea) avrebbero rappresentato l’Unione nel suo insieme, passando però sotto il controllo del SEAE (un cambiamento che terminava i compiti di rappresentanza esterna dell’Unione fino ad allora esercitati dalla presidenza di turno).

BOX → Rappresentanti speciali dell’Unione europea

I negoziati sulla proposta di Ashton entrarono subito nel vivo, coinvolgendo lo stesso Alto rappresentante, la presidenza di turno spagnola, la Commissione, e il Parlamento europeo. Quest’ultimo, vantando un diritto di consultazione nella costruzione del Servizio, sfruttò al meglio i propri poteri nell’approvazione del bilancio comunitario (v. Bilancio dell’Unione europea) (passaggio fondamentale per garantire la sostenibilità finanziaria del SEAE) in modo da potersi sedere al tavolo delle trattative. Limitate le aspre divergenze iniziali su questioni chiave quali la presenza di diplomatici nazionali, il ruolo degli Stati membri nella gestione delle crisi, la gestione dei fondi per la cooperazione allo sviluppo, e il ruolo di controllo esercitato dal Parlamento sulle decisioni e il bilancio, il soprannominato quadrilogue si concludeva quattro mesi più tardi con la decisione del Consiglio del 26 luglio, anticipata dalle votazioni favorevoli del Parlamento e del collegio dei Commissari. Allegati alla decisione del Consiglio vi erano inoltre due documenti, non legalmente vincolanti ma ugualmente importanti: la “Dichiarazione dell’Alto rappresentante sulla responsabilità politica” e la “Dichiarazione dell’Alto rappresentante dinanzi alla plenaria del Parlamento europeo sull’organizzazione di base dell’amministrazione centrale del SEAE”. Si trattava di due dichiarazioni che assegnavano una piccola vittoria al Parlamento. In particolare, con la prima, Ashton rispondeva alle richieste di un maggior controllo democratico, impegnandosi a presentarsi regolarmente davanti al Parlamento per rispondere della propria gestione, sebbene a puro scopo informativo. Le concessioni toccavano poi il controllo del bilancio. La proposta budgetaria del SEAE non sarebbe stata rubricata con quella della Commissione (come richiesto dal Parlamento per comunitarizzare il nuovo organismo), ma l’autonomia di bilancio di cui avrebbe goduto veniva affiancata alle regole di controllo sulle spese in vigore per la Commissione.

La costruzione del Servizio e la sua messa in funzione si sono rivelate il compito più impegnativo affrontato da Ashton nel corso del suo mandato. Il SEAE prendeva forma mettendo insieme la DG Relex e le delegazioni della Commissione con la DG E e le strutture PSDC e di gestione delle crisi del Consiglio. Una fusione complessa, dagli equilibri difficili, e dal rischio di duplicazioni istituzionali, che metteva in contatto istituzioni con culture burocratiche diverse, alle quali si aggiungevano peraltro quelle dei diplomatici nazionali (che, da compromesso, avrebbero dovuto rappresentare almeno un terzo dei diplomatici complessivi, suscitando non pochi contrasti per l’assegnazione delle posizioni apicali). In aggiunta, un’opaca divisione delle competenze tra la Commissione e il Servizio nella gestione dei fondi dedicati alla cooperazione allo sviluppo causava qualche scontro interistituzionale, risoltosi grazie alla conclusione di un accordo interservizi nel 2012.

Il SEAE rappresenta (insieme all’Alto rappresentante) una delle innovazioni più importanti introdotte dal Trattato di Lisbona nell’ambito dell’azione esterna dell’UE. La portata e gli effetti del nuovo organo – non esente da limiti in parte riconducibili al generale assetto istituzionale della politica estera europea e in parte ai pochi anni di attività – sono in attesa di una valutazione di più lungo periodo. Ciononostante, la creazione del SEAE, il primo servizio diplomatico sovranazionale della storia, ha rappresentato un evento significativo, indicatore di un’evoluzione della diplomazia verso un assetto post westfaliano.

Lorenzo Vai (2017)

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