Società civile organizzata
La locuzione “società civile organizzata” indica l’insieme delle organizzazioni, delle associazioni e degli organismi attraverso i quali i cittadini perseguono obiettivi di interesse generale di carattere civico, economico o sociale. Nel settembre 1999 un parere del Comitato economico e sociale (intitolato Ruolo e contributo della società civile organizzata nella costruzione europea, pubblicato nella “Gazzetta ufficiale della Comunità europea” n. C329/10 del 1999) ha individuato con precisione le categorie di organizzazioni che rientrano nella definizione: le “Parti sociali” (sindacati dei lavoratori e associazioni imprenditoriali); le organizzazioni che, pur rappresentando attori sociali ed economici, non sono riconducibili alle “parti sociali” in senso stretto; tutte le organizzazioni non governative (ONG) nelle quali le persone si uniscono per un fine comune (organizzazioni ambientaliste, di consumatori, per i Diritti dell’uomo, associazioni educative o di carità, ecc.); le organizzazioni a base territoriale che perseguono scopi direttamente legati alla condizione dei loro membri (organizzazioni dei giovani, associazioni di famiglie, ecc.); le comunità religiose.
Il fatto che fra le Istituzioni comunitarie proprio il CES abbia dedicato attenzione alla società civile organizzata non è ovviamente un caso, così come non è casuale il fatto che la sua definizione sia particolarmente ampia, e vi rientrino sostanzialmente tutte le strutture in cui si articolano le moderne società europee, con la sola eccezione di quelle legate a funzioni di natura politica (governo, pubblica amministrazione e partiti).
La storia del Comitato è infatti caratterizzata dalla perenne ricerca di uno spazio d’azione definito e chiaramente separato da quello delle altre istituzioni, a favore delle quali il ruolo consultivo del CES ha subito una costante erosione fin dai suoi primi anni di attività. Innanzitutto, il progressivo aumento dei poteri e dell’importanza politica del Parlamento europeo ha ristretto la sfera di competenza del Comitato alle questioni di carattere puramente tecnico; in secondo luogo, la formalizzazione del Dialogo sociale, avviato a metà degli anni Ottanta, ha sottratto a esso quella che era sempre stata considerata una sua funzione naturale; infine, la nascita del Comitato delle regioni, col Trattato di Maastricht, ha creato un nuovo “concorrente” all’attività consultiva del CES.
Così, a partire dalla fine degli anni Ottanta, il Comitato ha cominciato a guardare con attenzione alle trasformazioni intervenute nelle società europee negli anni precedenti: il miglioramento della condizione femminile, i mutamenti nelle strutture familiari e nei comportamenti religiosi, e più in generale l’erompere di grandi questioni slegate dalle tematiche tradizionali del mondo del lavoro hanno favorito un forte aumento dell’attività associativa. Queste nuove forme di organizzazione sono rapidamente divenute elementi costitutivi delle società europee, assumendo progressivamente un ruolo di intermediazione fra le autorità pubbliche e i cittadini, amplificando la voce di questi ultimi e ponendosi quindi come componenti essenziali delle moderne democrazie. L’assenza di adeguati canali di rappresentanza di tali organizzazioni su scala comunitaria offriva al Comitato economico e sociale l’opportunità di ridefinire la sua identità, dando anche un contributo alla soluzione del cosiddetto “Deficit democratico”.
Al di là di alcune prese di posizione ufficiali, adottate fin dai primi anni Novanta, la principale manifestazione concreta del nuovo orientamento fu la prima Convenzione (v. anche Convenzioni) della società civile organizzata a livello europeo, tenuta a Bruxelles nell’ottobre 1999 su iniziativa dello stesso CES. Nel discorso di apertura la presidente Beatrice Rangoni Machiavelli individuò il Comitato come l’istituzione più adeguata a esprimere le esigenze della SCO, della quale avrebbe dovuto quindi assumere il ruolo di rappresentante ufficiale nel Processo decisionale comunitario.
Tale visione trovò soddisfazione solo parziale nel Trattato di Nizza che, se per la prima volta introduceva nel sistema dei Trattati il concetto di SCO e individuava il CES come suo organo di riferimento naturale, si soffermava però sulle sue «componenti a carattere economico e sociale», mantenendo così un’attenzione privilegiata per le forze sociali di tipo “tradizionale” (cfr. l’articolo 257 del Trattato sulla Comunità europea, come modificato dal Trattato di Nizza).
Uno spostamento più marcato nella direzione auspicata dal CES sembra invece presente nel Trattato sulla Costituzione europea, che sottolinea l’importanza di un dialogo delle istituzioni europee con la società civile (articolo I-47), e soprattutto specifica come i membri del Comitato debbano essere rappresentativi non più soltanto delle associazioni del mondo produttivo, ma anche dei «settori socioeconomico, civico, professionale e culturale», prevedendo inoltre riesami periodici della sua composizione al fine di adeguarla costantemente «all’evoluzione economica, sociale e demografica nell’Unione» (articolo I-32).
Lorenzo Mechi (2007)