Spaak, Paul-Henri

Paul- Henri Spaak è considerato uno dei padri fondatori dell’Europa unita. La sua attività europeista e atlantica ha permesso al Belgio, sin dall’indomani del secondo conflitto mondiale,  di giocare un ruolo nelle relazioni internazionali superiori alle aspettative di un  paese di quelle dimensioni.
Nasce in Belgio  a Shaerbeek  il 25 gennaio del 1899 e muore a Bruxelles  il 31 luglio  1972. Il padre insegna letteratura all’università, la madre, membro del partito liberale,  è  la prima donna a entrare nel senato belga nel 1921.
Sin da giovanissimo Paul- Henri entra in contatto  con l’ambiente culturale bruxellese.
Nel 1916 non ancora maggiorenne, cerca di unirsi all’esercito belga, ma viene arrestato al momento di attraversare il canale della Campine e imprigionato a Turnhout. In autunno è trasferito nel campo di prigionia di  Senne in Vestfalia, vicino a Paderborn. Nel novembre del 1918 in seguito alla liberazione fa ritorno in patria, dove frequenta la Facoltà di Giurisprudenza e si laurea presso la Libera  Università di Bruxelles nel maggio del 1921. Inizia subito la pratica forense  e allo stesso tempo muove i primi passi in  politica. Aderisce ai principi del socialismo umanista di Jean Jaurès, e pur avvicinandosi in un primo momento ai circoli liberali  si iscrive al Parti Ouvrier Belge.  La sua prima breve esperienza governativa risale al  1925 quando diventa vice  capo di gabinetto del ministro dell’ Industria Joseph Wauters nel governo democratico- cristiano e socialista guidato da Poullet.
L’esperienza dura quasi un anno. E’ soprattutto  l’intensità della crisi economica, il forte deprezzamento del franco  a porre fine alla tenuta di quell’esecutivo che si dimette il 19 maggio 1926.
Fino al 1932 quando è eletto deputato nelle fila del partito socialista non ricopre incarichi legislativi né governativi e si dedica all’attività di avvocato. In seguito alla crisi del 1929 si distacca progressivamente dalla linea ufficiale del partito, matura  delle riflessioni sulla differenza tra le potenzialità del pensiero socialista e la sua realizzazione pratica e anticipa una linea anticomunista e antisovietica  che dopo la seconda Guerra Mondiale nutrirà il suo euroatlantismo nonché la sua difesa del concetto di civiltà occidentale.
Ricorrenti nei suoi scritti di questa stagione  appelli al   pacifismo e alla solidarietà come “armi” contro l’ascesa del nazionalismo e dei movimenti totalitari.
Il primo avvicinamento alle tematiche europeiste avviene grazie alla partecipazione alle riunioni promosse da Eduard Didier,  editore del giornale la Jeune Europe, la cui riflessione prende le mosse dal dibattito sulla realizzazione dei progetti europeisti previsti  dal Piano di Unione Federale presentato  da Aristide Briand all’Assemblea della Società delle Nazioni nel 1930.
Nel corso di questi incontri  conosce il cattolico Paul Van Zeeland, altro europeista belga,  la cui attività è riconosciuta, come nel caso di Spaak, fuori dai confini nazionali. Nel 1935 Van Zeeland  forma un governo  a cui prendono parte rappresentanti cattolici, liberali e socialisti e  chiama  Spaak ad occupare il dicastero dell’industria.
Nonostante  la crisi  dei partiti  tradizionali  e l’avanzata anche parlamentare del rexismo, movimento di orientamento fascista capeggiato da Leon Degrelle, dopo le elezioni del 1936 sarà nuovamente Van Zeeland a dare vita ad nuovo esecutivo. Alla luce dell’aumento del peso parlamentare dei socialisti,  Spaak questa volta ricopre la carica di ministro degli Esteri.
Con l’obiettivo di preservare il  Belgio dal convertirsi in un terreno di scontro tra francesi e tedeschi  Spaak  tiene il suo paese fuori dal gioco delle alleanze  e si  fa promotore di una politica neutralista.
Le tensioni sociali e il malcontento della popolazione non  vengono però riassorbiti  e il secondo governo van Zeeland rassegna le dimissioni nell’ottobre del 1937.
Dopo un nuovo esperimento governativo, sempre tripartito, guidato dal liberale Jonson, nel maggio 1938 per la prima volta  lo stesso Spaak  assumerà le redini dell’esecutivo.
Nel settembre del 1939 in seguito alla dichiarazione franco-britannica di guerra alla Germania in Belgio sarà il cattolico Hubert Pierlot a guidare un governo di unità nazionale composto da cattolici, socialisti e liberali, in cui Spaak   viene richiamato alla guida degli Esteri. A poco vale la politica di neutralità propugnata sin dalla metà degli anni Trenta.
Dopo l’invasione del Belgio da parte dei nazisti nel maggio del 1940, nonostante il rifiuto della monarchia a lasciare il paese dopo la resa dell’esercito, il governo di Bruxelles decide di non seguire le scelte di Leopoldo III e di   trasferirsi in esilio a Londra.
Spaak vive nella capitale britannica  dal 1940 al 1944. Questi anni sono importanti per lo sviluppo del suo europeismo e  servono anche a rinsaldare le relazioni  con il suo omologo inglese Antony Eden.
Grazie a quest’ultimo entra in contatto con gli altri otto rappresentanti di governo in esilio residenti a Londra e si confronta con loro circa il  contributo allo sforzo alleato e le prospettive  soprattutto economiche  dell’Europa postbellica.
In questo torno di tempo matura  l’idea dell’unione doganale con i Paesi Bassi e il Lussemburgo che avrebbe portato poi nel 1948  alla nascita del Benelux, che lo stesso  Spaak avrebbe in seguito  definito “un bene  per il nostro paese e un esempio per il mondo”.
Subito dopo la liberazione del Belgio nel settembre 1944 fa rientro in patria.
Né lui né gli altri membri del governo dell’esilio sono accolti come  leader della resistenza. Non sente di godere pienamente della legittimità derivante  dal non essersi  piegato all’occupazione tedesca, ma al contrario avverte uno scollamento  tra la popolazione e il governo dell’esilio.
Abbandonate definitivamente le velleità neutraliste si convince della necessità del mantenimento  della collaborazione  internazionale  per risolvere  i problemi del dopoguerra, sia per superare l’eredità delle contrapposizioni  tra i vincitori e gli sconfitti  del conflitto, sia in chiave interna per promuovere una piena riabilitazione  dell’operato del movimento resistenziale. Da subito ricopre incarichi con una prestigiosa proiezione internazionale.
Nel 1946 è il  primo presidente  dell’Assemblea  generale dell’ONU, dal 1948 al 1949  guida l’OECE.
In linea con le posizioni britanniche è un sostenitore dell’ampliamento  del Trattato di Dunquerke anche al Belgio, Olanda e Lussemburgo in quanto  considera centrale rafforzare la coesione atlantica in funzione antisovietica.
Nel suo famoso “discorso della paura”, tenuto presso l’Assemblea  Generale delle Nazioni Unite   il 28 agosto del 1948  nega la funzione aggressiva del Patto di Bruxelles, sottolinea invece  la funzione offensiva della politica estera sovietica e più specificamente mette in luce come l’unione  dei piccoli paesi come il Belgio, con potenze europee come la Francia e la Gran Bretagna sia  frutto più del timore del riproporsi di condizioni di debolezza e di occupazione nel caso di un nuovo conflitto che non di una  presunta volontà aggressiva.
Nel 1949 viene eletto presidente dell’Assemblea Consultiva del Consiglio d’Europa.
All’indomani della Dichiarazione  Schuman esprime una grande soddisfazione sia per i contenuti del piano sia  per il valore simbolico di riconciliazione franco tedesca che esso sottintendeva.
In concomitanza della  ratifica della CECA  Spaak lascia il Consiglio d’Europa.
Questo passaggio simboleggia l’evoluzione dalla difesa del modello confederale a quello  funzionalista.
Abbraccia da allora in poi  la causa federalista di Altiero Spinelli e si schiera a favore della creazione di un esercito europeo.
D’accordo con Monnet e Pleven Spaak  condivide  la scelta  del riamo tedesco all’interno  di un contesto europeo  e sostiene con vigore  il progetto del leader della  Democrazia   Cristiana italiana  De Gasperi di affiancare alla CED la creazione di una comunità politica europea attraverso la convocazione di  una costituente europea.
È  proprio Spaak a suggerire che  le funzioni di organo costituente vengano assegnate all’Assemblea della CECA per iniziare i lavori ancor prima della ratifica della CED.
Tale proposta viene accolta favorevolmente dai governi dei  sei stati membri  e l’Assemblea della CECA, presieduta dal 1952 al 1954  dallo stesso Spaak, elabora lo statuto della Comunità politica europea.
Il fallimento della CED affossa il tentativo  di creare una struttura sovranazionale di difesa e sicurezza comune e  trascina con se anche l’ipotesi della creazione di una comunità politica.  Tuttavia questo tragico epilogo  rende agli occhi del leader belga ancor più necessario  il rilancio di un progetto integrazionista. Si tratta infatti  “di difendere  non più solo un territorio  sacro, ma delle grandi idee, una civiltà comune,  regoli morali  e politiche comuni e una concezione  onorevole dell’uomo”.
Dopo una breve fase di stallo, e la messa da parte di ambiziosi progetti federali, Spaak sarà uno dei protagonisti  e degli animatori del cosiddetto rilancio europeo.
Da questo momento in avanti si fa promotore di una integrazione economica e sottolinea come questo percorso- alternativo al precedente-  avrebbe comunque  portato allo sviluppo di  un’unione anche politica, eliminando  molte delle controversie suscitate dall’adozione diretta di un modello federale. Egli condivide inoltre  con Adenauer, Hallstein, Beyen, Monnet e De Gasperi  il principio secondo cui il confine dello stato nazione all’indomani della guerra non è più  una garanzia dello sviluppo economico e politico dei paesi dell’Europa occidentale.
Sostiene  il progetto già presentato nel 1952  dall’allora  ministro degli esteri olandese Beyen  a favore  di un mercato comune europeo. Mentre Monnet  sin dall’inizio del 1955 punta più su una integrazione settoriale sul modello della CECA e in particolare  sullo sfruttamento dell’energia nucleare.
Questi due modelli  vengono presentati  nel corso della Conferenza di Messina che si svolge l’1 e il 2 giugno del 1955.
In quell’occasione i sei concordano sullo sviluppo di una organizzazione per l’energia atomica civile  e la creazione di un mercato comune, comprendente anche  il libero trasferimento della manodopera, misure   di armonizzazione economica e sociale e istituzioni comuni. Un comitato di esperti presieduto da Spaak viene incaricato di redigere uno  studio dettagliato su questi aspetti.
Nel 1955 l’idea del rilancio passava attraverso un duplice binario: da un lato Benelux e Germania  si dimostravano  a favore di una integrazione orizzontale volta all’eliminazione delle barriere doganali e alla creazione di un Mercato Comune, dall’altro la Francia puntava di più su un integrazione settoriale, in concreto sull’energia atomica.
Le divergenze iniziali sui tempi e i modi di lavoro  dividono Spaak dai ministri degli esteri francese e tedesco, rispettivamente  Antoine Pinay e  Walter Hallstein.
Il comitato Spaak tiene le sue riunioni a Bruxelles e nel Castello di Val Duchesse dal   9 luglio del 1955 e fino  al 20 aprile del 1956. Esso è composto  da cinque commissioni e 4 sottocommissioni  di tecnici. Vi è poi  una direzione, in cui confluiscono  i capi delegazione il cui  obiettivo  è  sia di  “stimolare, dirigere, coordinare ed osservare” il lavoro dei comitati di esperti,  sia, successivamente,   di valutare i report settoriali  redatti da questi ultimi.
Possiamo dividere il lavoro del Comitato  in due i tempi: il primo va  dal luglio  all’ottobre  del 1955 e il secondo da novembre del 1955 ad aprile 1956.
Gli esperti nel corso dei loro incontri svolti durante i primi quattro mesi  fanno una mappatura  dei problemi tecnici  relativi  all’integrazione economica. Tuttavia gli approcci registrati si rivelano  troppo divergenti   ed è  impossibile raggiungere un accordo concreto da utilizzare  come base  dei successivi negoziati intergovernativi.
Lo stesso Spaak   non si dichiara soddisfatto  e  a partire dal novembre 1955 assegna ad un ulteriore gruppo  di  saggi, tra cui spiccano   Pierre Uri,   Hans von der Groeben e  Albert Hupperts,  il compito  di armonizzare i lavori precedenti e di presentare un nuovo rapporto.
Solo dopo l’investitutra di Guy Mollet  all’inizio di febbraio  del 1956 la congiuntura  politica ed economica appare più favorevole e i  lavori riprendono con l’obiettivo di giungere a un documento finale propositivo nel più breve tempo possibile.
Si lavora  a favore di una integrazione orizzontale con la sola eccezione del settore dell’energia atomica per cui è invece prevista una integrazione settoriale.
In questa seconda fase   il rapporto stilato  stabilisce  una struttura di obiettivi  puntuali e mezzi per raggiungerli.
Non vi è  ancora una uniformità di vedute né sul mercato comune né sull’energia atomica ma  Spaak influenza  in modo decisivo questa seconda fase  più “politica” del negoziato. Svela una importante dose di pragmatismo che, dal secondo dopo guerra in poi, informa le sue decisioni politiche,  riuscendo  a collegare le richieste  di Monnet a  quelle di  Beyen,  facendole convergere alla fine in un unico documento.
Spaak  capisce  che per non arenare i lavori del comitato  e  ancorare i francesi al tavolo negoziale del mercato unico è  necessario  includere nel “pacchetto” il progetto dell’Euratom.
Utilizza molto le sue capacità di mediazione su quest’ultimo aspetto, soprattutto  poiché lo interpreta come lo strumento che  avrebbe permesso di  ammorbidire  il punto di vista francese anche sugli aspetti del Mercato comune.
L’obiettivo di Spaak  è quello di presentare i principi che avrebbero animato il mercato comune  superando i diffusi  istinti protezionisti limitando al massimo il riconoscimento di clausole di eccezionalità.
Una volta accettati entrambi i modelli di integrazione per il futuro dell’unificazione, il gruppo dei saggi redige un testo di 135 pagine che viene  firmato da tutti i capi delegazione. Il rapporto Spaak viene  presentato   alla conferenza dei ministri degli Esteri dei Sei   svoltasi  a Venezia  il 29 e 30 maggio 1956.
Si decise di procedere  verso due Trattati, uno per l’Euratom  e uno  per una Comunità economica europea e si convoca  una conferenza intergovernativa per elaborarli, sempre presieduta da Spaak. I negoziati    si aprono  ufficialmente il 26 giugno a Bruxelles.
Il comitato dei capi delegazione  approva  sotto la guida dei ministri degli esteri     le bozze dei trattati.
I veri e propri negoziati iniziano  solo all’inizio di settembre. Come è noto il governo francese avrebbe continuato a spingere per  una rapida approvazione dell’Euratom  lasciando per un secondo momento l’approvazione del Mercato Comune,  mentre la Germania  e il Benelux avrebbero seguito l’ordine inverso.
Ancora una volta la Francia non sembra volere cedere. Essa  pone le sue condizioni  puntando sulla armonizzazione  dei costi sociali  prima del lancio del mercato unico, sulla  possibilità di reintrodurre misure protezioniste, nel caso in cui le difficoltà economiche  nella bilancia dei pagamenti lo avessero richiesto, chiedendo  delle dilazioni aggiuntive nei tempi di  realizzazione  della unione doganale a causa della sua particolare situazione interna  caratterizzata dalla  crisi algerina.
Solo dopo l’escalation della crisi di Suez  il governo Mollet decide di non rischiare l’approvazione dei trattati sul fronte europeo e  abbandona la sua tecnica di protezionismo difensivo.
Il 25 marzo del 1957 a Roma  in Campidoglio presso la sala degli Orazi e Curiazi    vengono firmati i trattati istitutivi della CEE e dell’Euratom   elaborati a partire dai lavori  del Rapporto Spaak.
Spaak definisce il risultato raggiunto a Roma “il trionfo dello spirito di cooperazione  e la sconfitta  del nazionalismo egoista”.
In linea con il suo progetto in difesa della civiltà occidentale  due mesi dopo la firma dei trattati Spaak, nel maggio,  assume la carica di segretario generale della Nato. Incarico che ricopre fino al 1961.
Dopo le elezioni belghe del 26 marzo di quell’anno ritorna a svolgere la funzione di ministro degli esteri nel governo Lefèvre formato da socialcristiani e socialisti  e  affronta da un lato la decolonizzazione del Congo e dall’altro esercita un rinnovato vigore a difesa del  metodo funzionalista europeo opponendosi all’approvazione del Piano Fouchet, di matrice gollista,   volto al rafforzamento di una Europa  basata su un modello confederale. In linea con la sua concezione euroatlantica  vede nella richiesta  della Gran Bretagna sia un rafforzamento del progetto d’integrazione, sia un modo di arrestare il rinsaldarsi dell’asse franco-tedesco. Per tali ragioni  si schiera contro i due veti gollisti.
Si ritira dall’attività politica nel 1966 e muore nel luglio 1972.

Maria Elena Cavallaro (2013)