Spadolini, Giovanni
S. (Firenze 1925-Roma 1994), storico, giornalista, uomo politico, segretario nazionale del Partito repubblicano italiano (PRI), ministro dei Beni culturali, della Pubblica istruzione e della Difesa, due volte presidente del Consiglio, senatore, senatore a vita, presidente del Senato è stato, nell’ultimo trentennio del XX secolo, il principale rappresentante italiano dell’europeismo atlantista liberaldemocratico.
La formazione giovanile, avvenuta nell’ambiente della borghesia colta e artistica fiorentina fortemente intrisa di nazionalismo e di vocianesimo, porta S. a collaborare, nei primi mesi del 1944, su posizioni di revisionismo antisabaudista, ma accesamente nazionaliste e antieuropeiste, alla rivista “Italia e civiltà”, animata da Barna Occhini e Ardengo Soffici.
Già nel primissimo dopoguerra S., a contatto con il mondo dell’antifascismo democratico fiorentino, abbandona queste posizioni e matura la convinzione che la stabilità della democrazia italiana sia intimamente connessa alla scelta europeista.
L’europeismo culturale di S. trova il proprio punto di riferimento politico nella lettura atlantista e occidentalista dell’europeismo sostenuta da Carlo Sforza e da “Il Mondo” di Mario Pannunzio, cui S. collabora sin dal primo numero.
La scelta euroatlantica, come S. sottolinea in un articolo pubblicato nel 1957 sulla “Nuova antologia” – in occasione della ratifica dei Trattati di Roma – e dal titolo emblematico I partiti e l’Europa, non è solo imprescindibile in politica estera, contro le suggestioni neutraliste e autonomiste, ma costituisce un punto di riferimento obbligato in politica interna per tracciare una linea di demarcazione tra i diversi schieramenti, delimitando un’area di centro riformatrice, liberale e democratica, distinta e opposta sia alla sinistra socialcomunista sia alle forze conservatrici e reazionarie.
Europeismo e occidentalismo costituiscono uno degli elementi caratterizzanti la lunga direzione (1955-1968) del “Resto del Carlino”, contribuendo alla definizione di una chiara linea di riformismo laico nella complessa situazione bolognese ed emiliana degli anni Cinquanta e Sessanta del Novecento, ampiamente egemonizzata dal Partito comunista italiano e dalla Democrazia cristiana.
Contestualmente S. approfondisce la propria riflessione più propriamente storico-culturale sul valore dell’integrazione europea, approdando, con lo scritto Europa e libertà pubblicato nel 1966 nella “Nuova antologia”, a una lettura che identifica nell’unità politica europea la condizione necessaria per il consolidamento delle istituzioni democratiche in Italia (v. anche Integrazione, teorie della).
L’abbandono forzato della direzione del “Corriere della Sera” nel 1972, dopo solo quattro anni, segna l’ingresso di S. nella politica attiva, con l’elezione a senatore del PRI. L’europeismo spadoliniano ha così modo di sostanziarsi, nel teso scenario internazionale degli anni Settanta, in una azione politica effettiva i cui tre capisaldi sono costituiti dalla riaffermazione dei vincoli atlantici, dal rafforzamento delle Istituzioni comunitarie europee e dalla vicinanza politica e anche personale nei confronti dello Stato di Israele.
Succeduto nel 1979 a Ugo La Malfa, in seguito alla morte di questi, alla guida del PRI, S. lancia al 34° Congresso del PRI (Roma, aprile 1981) la parola d’ordine della “piena occidentalizzazione dell’Italia”, ribadendo lo stretto nesso tra politica estera e politica interna che è al cuore del suo europeismo.
Nel giugno 1981 diventa il primo presidente del Consiglio non democristiano della storia repubblicana. S. assume l’incarico in un momento particolarmente delicato sul piano internazionale, caratterizzato dallo sviluppo del terrorismo legato alle vicende palestinesi, dallo scontro tra gli Stati Uniti di Ronald Reagan e l’Unione Sovietica guidata da Leonid Brèžnev, e da una progressiva marginalità diplomatica dell’Italia.
S. rilancia l’attivismo diplomatico dell’Italia abbandonando, parzialmente, il multilateralismo caratteristico dei governi precedenti, in favore di un più stretto ancoraggio alle istituzioni comunitarie europee e all’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico (NATO), con il duplice obiettivo di impedire da una parte la degenerazione dell’attivismo in un autonomismo velleitario, e dall’altra la realizzazione di “direttori informali” che escludessero l’Italia.
In questo contesto si colloca la cosiddetta crisi degli “euromissili” – la decisione cioè di collocare nei paesi dell’Europa occidentale missili nucleari di media gittata, in risposa a un’analoga decisione presa dall’Unione Sovietica e dal Patto di Varsavia – che costituirà il primo banco di prova dell’euroatlantismo spadoliniano. Seguendo una linea inaugurata già dai precedenti governi, S. agisce contemporaneamente su due fronti, assicurando la disponibilità italiana a ospitare le testate nucleari e impegnandosi per l’apertura di negoziati tra le due superpotenze, basati sull’“opzione zero”, cioè sullo smantellamento dei missili da parte di ambedue i contendenti. In questo modo S., agendo in stretta collaborazione con il cancelliere tedesco Helmut Schimdt riesce a rilanciare il ruolo dell’Europa come soggetto attivo del processo di distensione, indicando una soluzione che sarà poi effettivamente attuata.
Tuttavia proprio S. si trova ad affrontare uno dei più gravi momenti di tensione tra l’Italia e i partner e le istituzioni comunitarie, in occasione della guerra delle Falkland. Di fronte alla pressione dell’opinione pubblica, dei partiti e dello stesso parlamento, il governo S., pur esprimendo la propria vicinanza nei confronti del Regno Unito, si trova obbligato a rompere la solidarietà comunitaria e a invocare il Compromesso di Lussemburgo, rifiutandosi di votare l’embargo economico nei confronti dell’Argentina. Peraltro, proprio la posizione assunta in occasione della crisi consente all’Italia di svolgere un ruolo da protagonista, a conflitto concluso, nel riavvicinamento tra i paesi dell’America Latina e la Comunità europea.
Obbligato alle dimissioni nel novembre 1982, S. ritorna a responsabilità di governo dopo le elezioni del 1983, che segnano per il PRI il massimo risultato elettorale della sua storia, come ministro della Difesa nel governo presieduto da Bettino Craxi.
S. presenta, nel novembre di quello stesso anno, gli indirizzi della sua politica ministeriale, che ribadiscono la centralità della scelta atlantica e il rifiuto di una linea politica autonoma al di fuori del quadro strategico generale della NATO, in particolare per quando riguarda il Mediterraneo. Questa linea verrà ulteriormente chiarita e approfondita nel Libro bianco (v. Libri bianchi) del 1985, che ribadisce il rifiuto costituzionale del ricorso alla forza come strumento di risoluzione delle controversie internazionali, la lealtà all’Alleanza atlantica, il quadro europeo delle decisioni politiche e strategiche e infine la specificità del ruolo mediterraneo dell’Italia.
Coerentemente con le proprie linee programmatiche, l’impegno internazionale di S. fu rivolto principalmente alla rivitalizzazione organizzativa e politica dell’Unione dell’Europa occidentale (UEO), con l’obiettivo di riequilibrare i rapporti tra le due sponde dell’Atlantico in ambito militare, all’interno di una concezione paritaria dell’Alleanza, e di impedire allo stesso tempo spinte centrifughe dei singoli paesi.
L’iniziativa di S. sfocia nel primo Consiglio dei ministri della Difesa e degli Esteri degli Stati membri e nella Dichiarazione di Roma del 27 ottobre 1984, che esplicita la volontà di aumentare la collaborazione tra gli Stati nell’ambito della politica militare, costituendo una sorta di abbozzo di Politica estera e di sicurezza comune (PESC).
Il 1984 è anche l’anno delle Elezioni dirette del Parlamento europeo, in un clima caratterizzato dal dibattito suscitato dal Progetto Spinelli (v. Spinelli, Altiero). S. sostiene la proposta e lancia le liste di “iniziativa federalista” promosse dal PRI e dal Partito liberale italiano (PLI) (v. Federalismo). L’esperienza ha un successo moderato, superando di poco il 6% e consentendo l’elezione di cinque eurodeputati, tra cui lo storico liberale Rosario Romeo.
Al di là dei risultati elettorali S. si afferma come uno dei punti di riferimento dell’opinione pubblica europeista e delle forze politiche impegnate nello sforzo di riforma delle istituzioni comunitarie, che sfocerà nell’adozione dell’Atto unico europeo. Il ruolo di S. viene consacrato dalla sua partecipazione come oratore ufficiale alla manifestazione europeista e federalista a Milano in occasione del Consiglio europeo del 28 e 29 giugno 1985.
Anche dal punto di vista culturale il 1984 è per S. estremamente significativo: la ricorrenza del 150° anniversario della fondazione della Giovine Europa da parte di Giuseppe Mazzini è l’occasione per sviluppare una articolata riflessione sulla continuità della tradizione europeista italiana da Mazzini al Manifesto di Ventotene. Sempre nel 1984 S. pubblica L’idea d’Europa fra illuminismo e romanticismo, la sua opera più completa sulla civiltà europea, concepita come frutto dell’incontro tra l’umanesimo cristiano e la filosofia illuministica.
Nell’ottobre del 1985 l’euroatlantismo di S. è messo a dura prova a causa della vicenda dell’Achille Lauro, che vede fronteggiarsi governo italiano e statunitense sui modi di gestione della crisi. Dopo aver sostenuto il governo di fronte alla decisione di favorire la fuga dei terroristi palestinesi S. si dissocia, ritirando la delegazione repubblicana dal governo e provocando la crisi, poi rientrata, del governo Craxi.
Dopo le elezioni del 1987, S. è designato, a larghissima maggioranza, presidente del Senato, carica che mantiene fino a pochi mesi prima della morte, nel 1994, quando dopo un tesissimo duello con il candidato di Forza Italia, Carlo Scognamiglio, viene sconfitto per un solo voto di scarto.
Gli anni della presidenza del Senato sono caratterizzati da un minore attivismo politico; ma la politica internazionale rimane tra gli ambiti di azione prediletti di S. che, di fronte alla crisi del mondo bipolare, si avvicina a una visione multilateralista delle relazioni internazionali, riconoscendo alle Nazioni Unite un ruolo di moderatore assai più ampio che in passato.
Non cessa neanche la riflessione politico-culturale, che ha due dei suoi momenti più significativi nella Jean Monnet Lecture (v. Monnet, Jean) tenuta all’Istituto Universitario europeo nel 1990 e nella celebrazione, come oratore ufficiale, a Ventotene, l’anno dopo del cinquantenario del Manifesto.
La centralità della scelta euroatlantica come imprescindibile punto di riferimento per la democrazia italiana viene ribadita, in una sorta di estremo atto di fedeltà, proprio nell’ultimo discorso pubblico di S., tenuto in Senato il 17 maggio 1994 in occasione del voto di fiducia al primo governo di Silvio Berlusconi:
«L’Italia è una democrazia che ha riconquistato a duro prezzo un posto nel consesso delle nazioni civili, una democrazia che, attraverso il superamento dei confini ha saputo guardare all’Europa, spingersi anche al di là dell’Oceano atlantico».
Pietro Finelli (2012)