Stikker, Dirk Uipko
S. (Winschoten 1897-Wassenaar 1979) è stato un imprenditore e politico olandese, cofondatore del Partito liberale (Volkspartij voor Vrijheid en Democratie, VVD) nel 1948, primo ministro degli Esteri del dopoguerra, segretario generale dell’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico (NATO) e presidente dell’Organizzazione europea di cooperazione economica (OECE). È stata una tra le personalità più interessanti del panorama politico dei Paesi Bassi del secondo dopoguerra, il cui efficace e originale apporto contribuì in misura non secondaria a delineare la fisionomia internazionale dell’Olanda postbellica.
Cresciuto sui terreni argillosi di Oldambt, la cittadina rurale in provincia di Groninga dove la famiglia Stikker si trasferì nel 1905, ed educato secondo i principi del cristianesimo protestante, U. trascorse la sua infanzia in un ambiente sereno ed economicamente agiato.
Eccezion fatta per un soggiorno annuale in Svizzera, impostogli dalle precarie condizioni di salute – le stesse che avrebbero, negli anni a venire, sensibilmente limitato gli sviluppi della sua carriera –, S. trascorse a Groninga l’intero periodo della formazione, diplomandosi presso il liceo locale e laureandosi in giurisprudenza alla Rijksuniversiteit (l’ateneo statale), il 31 marzo 1922. Nella stessa città dei Paesi Bassi settentrionali il giovane giurista intraprendeva la carriera finanziaria presso la Groninger Bank. Non si trattò, in realtà, di una scelta casuale. Appena adolescente, infatti, S. aveva vissuto uno tra i momenti più drammatici della sua vicenda personale, causa l’improvviso licenziamento del padre e le conseguenti difficoltà economiche cui la famiglia S. aveva dovuto far fronte. Tuttavia, proprio attorno a quell’esperienza il pur gracile studente di liceo, oltre a sviluppare un precoce senso di responsabilità, aveva maturato la decisione di riprendere il cammino professionale interrotto dal genitore. Già nel 1923 guadagnava ampi riconoscimenti nell’ambito della Twentsche Bank di Amsterdam – l’istituto di credito nel quale si era consumato il fallimento professionale e il collasso finanziario del padre –, mentre nel 1926 assumeva la direzione di una filiale autonoma della stessa banca, la Lissesche Bankvereening, a Lisse, nella zona dei tulipani. Seguivano, negli anni della crisi economico-finanziaria mondiale, delicati incarichi dirigenziali nelle sedi distaccate di Leida, dal 1931 al 1934, e di Haarlem, finché, il 1 luglio del 1935, Henry Pierre Heineken – impressionato dall’abilità di S. nel risolvere le problematiche finanziarie di un amico comune – promosse la nomina del pragmatico funzionario della Twentsche Bank alla direzione del birrificio di Amsterdam. Un passaggio essenziale nella poliedrica biografia del giurista groninghese, il quale, in virtù di tale promozione, si avviò a una brillante ascesa nel mondo imprenditoriale.
Assunto l’incarico, S. si dedicò con particolare attenzione all’ampliamento degli impianti esteri della Heineken. Allo scopo, effettuò numerosi viaggi attraverso il vecchio continente, come pure oltreoceano, addentrandosi, di fatto, nella complessa realtà delle dinamiche economiche internazionali. Sempre nell’ambito dell’importante birrificio, nel 1938, passò a dirigere la sezione Affari sociali, occupandosi della regolamentazione dei rapporti di lavoro. In tale contesto, S., progressivamente più interessato agli sviluppi dell’imprenditoria sociale, aderì all’Unione dei datori di lavoro olandesi (Verbond van nederlandse werkgevers), all’interno della quale avrebbe assunto una posizione di grande rilievo, anche e soprattutto negli anni della guerra. Con l’invasione tedesca dei Paesi Bassi, infatti, nel maggio del 1940, l’esperto dirigente della Heineken estese la sfera delle sue competenze a livello nazionale, iniziando a predisporre l’assistenza finanziaria agli impianti che erano stati privati dei mezzi di sussistenza dalle autorità occupanti. Attorno a tale attività, S. costruì un’intensa rete di contatti tra la classe imprenditoriale, di cui rimaneva pur sempre un portavoce, e i rappresentanti di sindacati e organizzazioni del lavoro, le cui sistematiche consultazioni, a partire dal 17 maggio 1945, vennero formalizzate nell’ambito della Fondazione del lavoro (Stichting van de Arbeid). Finalizzata a istituzionalizzare una forma di cooperazione permanente tra i gruppi sociali coinvolti nel sistema produttivo nazionale, la Fondazione, della quale S. assunse la presidenza, svolse un ruolo di primissimo piano nei difficili anni della ricostruzione postbellica, provvedendo ad allentare le tensioni sociali e ad arginare eventuali conflittualità nel mondo del lavoro.
Personalità di spicco nel quadro del dibattito di alto livello sul rinnovamento sociale olandese, tra il 1945 e il 1948 il cofondatore della Stichting fu chiamato a ricoprire diversi incarichi di prestigio nell’ambito delle organizzazioni di categoria sorte nell’immediato dopoguerra, essendo nominato presidente, tra gli altri, della Centraal sociaal Werkgevers Verbond (Unione centrale sociale dei datori di lavoro) e del Raad van Bestuur in Arbeidszaken (Consiglio d’amministrazione per le questioni del lavoro).
A una tale varietà di funzioni, peraltro esercitate con estrema serietà di impegno e coerenza di propositi, si accompagnò una progressiva affermazione sulla scena politica, in specie all’interno del Partito liberale, del quale, già dagli anni di Groninga, S. si era professato sostenitore. Sensibilmente allarmato per la crescente marginalizzazione delle correnti liberali nella costellazione politica dell’Olanda postbellica – a vantaggio, peraltro, delle forze cattoliche e progressiste –, l’efficiente funzionario della Heineken contribuì a promuovere e partecipò direttamente all’operazione di riforma interna del partito avviata all’indomani della liberazione, la quale, il 23 marzo 1946, si concluse con la nascita del Partij van de Vrijheid (PvdV). Si compì, in quella data, il giro di boa che avrebbe irreversibilmente allontanato il pur abile uomo d’affari dalla scrivania del birrificio di Amsterdam, proiettandolo al centro dell’articolato decision-making olandese di fine anni Quaranta.
Eletto, nel 1946, dapprima presidente del PvdV e poi senatore alla Prima camera dei Paesi Bassi, in due anni riuscì a portare a termine la fusione tra il suo partito e il gruppo democratico-liberale (Vrijzinnig-Democratische Bond, VDB) raccolto attorno al carismatico Pieter J. Oud – già ministro delle Finanze nel governo di centrodestra di Hendrik Colijn (1933-1935), nonché sindaco di Rotterdam –, procedendo alla fondazione, il 14 gennaio del 1948, del nuovo Partito popolare per la libertà e la democrazia (Volkspartij voor Vrijheid en Democratie, VVD).
Nato nella prospettiva di rilanciare l’iniziativa politica dei liberali – i quali, riuniti nella cornice del VVD, intendevano presentarsi in una nuova veste, più attenta alle tematiche sociali e alle problematiche internazionali postbelliche –, nello stesso anno della fondazione, il partito conseguiva un discreto successo al primo vaglio elettorale, con evidente soddisfazione del presidente S., designato ministro degli Esteri il 7 agosto 1948.
Non che la nomina del presidente del VVD fosse stata casuale. Le cogenti priorità sull’agenda dell’Aia, infatti, prima fra tutte l’importante riforma costituzionale – essenziale per ridefinire i rapporti con la neoistituita Repubblica d’Indonesia –, avevano imposto alla nuova coalizione cattolico-socialista, presieduta da Willem Drees e Josef R.H. Van Schaik, di predisporre un consistente ampliamento della base politica di governo. Da qui, l’apertura ai liberali del VVD e ai conservatori protestanti del Christelijk historische Unie (CHU). L’inattesa centralità della posizione assunta nel decision-making nazionale, aveva conferito al partito di S. un’inedita capacità contrattuale. E, certo, i liberali non esitarono a esercitarla. Lo stesso presidente, infatti, inizialmente preposto al vertice del ministero dei Lavori pubblici (Ministerie van Waterstaat), dopo aver rifiutato l’incarico, aveva fatto leva sul proprio peso politico per ottenere la nomina al dicastero degli Esteri, con la quale avrebbe contestualmente acquisito un’influenza decisiva sulla definizione della politica indonesiana.
Assunto il mandato, nell’intento di rafforzare il ruolo dei Paesi Bassi su uno scenario internazionale fortemente dinamico, S. avviò una profonda riorganizzazione del ministero, promuovendo anche iniziative audaci, tra le quali il riconoscimento, nel marzo del 1950, della Repubblica Popolare Cinese. È pur vero che, per quanto tentasse di ottemperare simultaneamente e con egual efficienza ai diversi e gravosi impegni attinenti la sua funzione istituzionale, l’interesse principale del ministro ruotava quasi interamente attorno alla complessa questione indonesiana. Già nel 1947, in effetti, ancora rappresentante del VVD al Senato, S. aveva mostrato particolare sensibilità al problema, sostenendo a gran voce il primo intervento dei contingenti dei Paesi Bassi (politionele actie) nella Repubblica del Sudest asiatico, deciso dall’Aia per porre fine alle operazioni di esproprio delle attività economiche perpetrate dal governo di Sukarno ai danni degli imprenditori olandesi. Un’iniziale rigidità di vedute – peraltro fondata sulla convinzione che il possesso dell’arcipelago, per quanto limitato dopo la nascita dell’Unione olandese-indonesiana, nel 1945, rappresentasse un elemento essenziale nel processo di sviluppo economico dell’Olanda – che presto cedette il passo a un orientamento più moderato, frutto di considerazioni di ordine spiccatamente pragmatico. Intorno alla metà del 1948, infatti – dopo essersi recato personalmente in Indonesia e aver intrattenuto contatti diretti con i rappresentanti dell’imprenditoria locale, nonché a seguito di un viaggio negli Stati Uniti, durante il quale aveva constatato la sostanziale reticenza di Washington a offrire sostegno all’Aia nella sua spregiudicata opera di repressione dei tentativi autonomistici indonesiani – il ministro liberale prendeva le distanze dal fronte degli intransigenti. Tale, repentina, inversione di rotta suscitò violente reazioni, e non solo da parte di alcuni esponenti del VVD, i quali rilevavano la profonda contraddizione tra la posizione di S. e la linea politica adottata dal partito. Il ministro degli Esteri entrò altresì in permanente rotta di collisione con quello dei Territori d’Oltremare, il cattolico Emmanuel M.J.A. Sassen, giungendo allo scontro diretto, e alla conseguente esasperazione dei toni, sia in occasione della seconda politionele actie, il 19 dicembre del 1948, e ancor più nel febbraio del 1949, allorché, durante un’infuocata riunione del Consiglio dei ministri, Sassen rassegnò le dimissioni.
Nonostante il momentaneo successo, registrato sull’antagonista cattolico, cui si affiancò, il 27 dicembre 1949, la soddisfazione per la definitiva concessione della sovranità all’Indonesia, era evidente che l’astro di S. al ministero degli Esteri, nonché tra le file del VVD, stesse irreversibilmente tramontando. E altrettanto chiaramente si poteva prevedere che l’allontanamento del ministro liberale dalle stanze del Binnenhof (il palazzo del governo olandese) si sarebbe deciso attorno agli sviluppi della politica coloniale. Di fatto, già all’inizio del 1951, la richiesta di dimissioni di S. raggiungeva i tavoli dell’Aia. Una scelta dolorosa, ma inevitabile, dacché la totalità dei liberali, stretta intorno a Oud, aveva votato una mozione di sfiducia nei confronti del governo, dopo un acceso dibattito parlamentare sulla cessione della Nuova Guinea alla Repubblica indonesiana.
L’incarico di S. al ministero degli Esteri olandese si chiudeva, quindi, in netto anticipo rispetto alla scadenza naturale del mandato. E non senza amarezza da parte del pur realista cofondatore del VVD, il quale, oltre a porre fine alla propria carriera nel policy-making nazionale, chiudeva la pagina della sua militanza nel partito. E il rammarico si accentuava all’esame della buona prova che il ministro dimissionario aveva offerto alla guida di uno tra i dicasteri più attivi del secondo dopoguerra, responsabile sia di definire i termini della partecipazione olandese all’Alleanza atlantica, sia di garantire l’adesione dei Paesi Bassi al nascente processo di integrazione europea (v. Integrazione, teorie della; Integrazione, metodo della). In tale articolato contesto, in effetti, S. aveva energicamente avviato e sostenuto l’ancoraggio dell’Aia all’Occidente e all’Europa comunitaria, nell’interesse primario e trasversale di conferire credibilità internazionale e peso politico al piccolo stato continentale. Senza, peraltro, sacrificare l’autonomia decisionale del paese. Difatti, per quanto attiene alla politica atlantica, il ministro olandese in più di un’occasione mostrò di privilegiare la friendly relationship con Londra piuttosto che l’allineamento alle posizioni di Washington. Questa, del resto, la chiave di lettura del riconoscimento accordato alla Repubblica Popolare Cinese, nonché dell’atteggiamento critico di S., negli anni della guerra di Corea, rispetto all’aspirazione statunitense al confronto diretto con la Cina. Del tutto in linea con le ambizioni dell’alleato americano, per converso, il tentativo di normalizzazione dei rapporti con la Repubblica Federale Tedesca (RFT), che certo rispondeva a considerazioni di opportunità pratica – data la forte dipendenza del sistema economico olandese dal dialogo commerciale con la Germania – piuttosto che a una reale volontà di riconciliazione con il recente invasore. Le stesse ragioni pragmatiche, del resto, sostenevano la posizione di S., favorevole alla pacifica ripresa dei contatti, nel dibattito interno dell’Aia sulla ridefinizione delle relazioni con il vicino orientale. Lungi dal coltivare latenti malanimi, peraltro, il ministro degli Esteri manifestò sempre insofferenza, pur tentando la mediazione, nei confronti degli eccessi revanscistici del Parlamento olandese, anche e soprattutto rispetto alla possibile correzione dei confini dei Paesi Bassi ai danni della Germania, come riparazione di guerra.
In materia di integrazione europea, di là dalla percezione della costruzione comunitaria come fattore di ulteriore coesione tra gli stati dell’Occidente, la politica di S. fu essenzialmente espressione di un solido pragmatismo, nonché scevra da qualsiasi tensione ideale. Già al volgere degli anni Quaranta, infatti – mentre l’Aia ospitava il Congresso d’Europa (v. Congresso dell’Aia) –, il ministro liberale aveva preso apertamente le distanze da quella che considerava “la pseudo-religione” federalista, peraltro ampiamente professata nelle Camere olandesi (v. Bank, 1999, p. 188) (v. Federalismo).
Il 15 giugno 1950, cioè a poco più di un mese di distanza dalla Dichiarazione Schuman (v. Schuman, Robert), fu lo stesso S., in qualità di presidente dell’OECE, a chiarire ai membri dell’organizzazione parigina quali fossero le reali priorità della sua politica europea, presentando il proprio Piano d’azione per l’integrazione economica europea, meglio noto come Piano S. Si trattava di un’iniziativa di ampio respiro, la quale mirava a raggiungere il massimo grado di cooperazione tra gli stati continentali – da conseguire, sulla base del metodo monnetiano, attraverso la graduale realizzazione di un libero mercato europeo e di un fondo comune di assistenza ai governi nazionali – riducendo al minimo i contraccolpi politici dell’integrazione, cioè le limitazioni di sovranità, giacché sarebbe stato il Consiglio dell’OECE, di natura intergovernativa, l’istituzione incaricata di coordinare gli sviluppi del processo (v. Stikker, 1965, pp. 184-185). Non che S. fosse contrario alla sovranazionalità in quanto tale, piuttosto nutriva forti perplessità sulla capacità degli Stati europei di recepirne il dettato. E soprattutto il tenace assertore della special relationship anglo-olandese temeva che il Regno Unito – componente imprescindibile, agli occhi del ministro, del nuovo quadro di cooperazione continentale – avrebbe tentato quanto più a lungo possibile di restare al margine di un processo di unificazione europea impiantato sul modello proposto da Jean Monnet.
Apprezzabile per la lucidità di talune considerazioni, il Piano S. fu comunque destinato a un’eclissi silenziosa, consumatasi tra le grandi amarezze del suo ideatore e i rapidi successi del Piano Schuman. Come conseguenza, il presidente olandese dell’OECE, che pure restò in carica fino al 1952, lasciò da parte la riflessione sul futuro dell’Europa per dedicarsi con maggiore impegno alle problematiche nazionali.
Nell’ottobre 1952, designato ambasciatore dei Paesi Bassi a Londra, S. si trasferiva nella capitale britannica. L’ex ministro, tuttavia, che pure aveva atteso a lungo e ripetutamente richiesto di essere preposto a tale funzione, mostrò presto di mal tollerare la forzata dipendenza dalle istruzioni dei suoi successori agli Esteri. Il 15 giugno del 1958, pertanto, prescelto dal governo olandese sulla base della sua consolidata esperienza nelle organizzazioni interstatali, non ebbe remore ad accettare la nomina a Rappresentante permanente dell’Aia presso l’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico (North Atlantic treaty organization, NATO) e l’OECE. S. raggiunse il punto più alto della sua carriera politica con la nomina a Segretario generale della NATO il 21 aprile 1961. Pur vedendosi costretto, nell’agosto 1964, a rassegnare le dimissioni, causa il progressivo aggravarsi delle sue condizioni di salute, si dichiarò ampiamente soddisfatto del contributo offerto alla causa dell’Occidente, ancorché il suo mandato avesse coinciso con un momento di eccezionale tensione sullo scenario bipolare, segnato dall’erezione del Muro di Berlino, dalla crisi dei missili a Cuba e dalla complessa questione di Cipro (v. http://www.trumanlibrary.org/oralhist/stikker2.htm).
Seguirono molteplici incarichi a livello amministrativo, nell’ambito, tra gli altri, del gruppo Shell e della Asian development bank (v. Boon, 1985, vol. II, p. 536).
Prima che la morte lo cogliesse nel dicembre 1979, S. si riconciliò con quel Partito liberale di cui aveva efficacemente promosso la rinascita e il consolidamento. Nominato, nel 1973, membro onorario del VVD, celebrò solennemente il suo definitivo congedo dalla scena politica olandese alla cerimonia inaugurale della sede del segretariato della sezione centrale del partito, nonché dell’organizzazione dei giovani liberali.
Giulia Vassallo (2010)