La cosiddetta “Strategia di Lisbona” rappresenta lo strumento attraverso il quale l’Unione europea si propone di perseguire l’obiettivo di fare dell’Europa, entro il 2010, l’economia della conoscenza più competitiva del mondo, perseguendo una crescita economica sostenibile, creando nuovi posti di lavoro e mantenendo un buon livello di coesione sociale.
La cosiddetta “Strategia di Lisbona” rappresenta lo strumento attraverso il quale l’Unione europea si propone di perseguire l’obiettivo di fare dell’Europa, entro il 2010, l’economia della conoscenza più competitiva del mondo, perseguendo una crescita economica sostenibile, creando nuovi posti di lavoro e mantenendo un buon livello di coesione sociale.
L’elaborazione di tale obiettivo è nata dall’esigenza di fronteggiare adeguatamente le sfide poste dal fenomeno della globalizzazione e i mutamenti tecnologici prodotti dalla nuova economia basata sulla conoscenza. Di fronte al ritmo rapido e sempre crescente dei cambiamenti in atto l’Unione ha avvertito la necessità di porre in essere un programma complesso che le consenta di sfruttare appieno i vantaggi derivanti dalle opportunità che si presentano, attraverso la creazione delle infrastrutture del sapere, la promozione dell’innovazione e delle riforme economiche e la modernizzazione dei sistemi di previdenza sociale e di istruzione.
Il Consiglio europeo di Lisbona. Il Consiglio europeo, riunitosi a Lisbona nella primavera del 2000, prende atto dell’esistenza di una serie di debolezze dell’Unione, quali: il tasso di occupazione eccessivamente basso (v. anche Comitato per l’occupazione), l’insufficiente partecipazione al mercato del lavoro di donne e lavoratori anziani; la disoccupazione strutturale di lungo periodo; i marcati squilibri regionali in materia di disoccupazione; la mancanza di qualificazione nell’ambito delle tecnologie dell’informazione.
A fronte di tali problemi, il Consiglio europeo, nell’ambito della propria funzione di guida, dà all’Unione l’impulso per intraprendere una serie di riforme sia economiche che sociali nel quadro di una strategia positiva che combini competitività e coesione sociale. In particolare, tale strategia è volta a: predisporre il passaggio a un’economia competitiva e dinamica basata sulla conoscenza; modernizzare il modello sociale europeo, investendo nelle persone e combattendo l’esclusione sociale; sostenere il contesto economico sano e le prospettive di crescita applicando una combinazione di politiche macroeconomiche.
Il Vertice di Lisbona, inoltre, riabilita nel discorso politico europeo l’obiettivo della piena occupazione, con una rinnovata enfasi sulla necessaria qualità dei rapporti di lavoro e in genere del contesto sociale in cui essa deve concretizzarsi (v. Giubboni, 2003 pp. 275-282). Nonostante non vi sia una chiara definizione di piena occupazione, agli Stati membri si indicano degli obiettivi quantificati: accrescere il tasso complessivo di occupazione, in modo da raggiungere, entro il 2010, una soglia che sia la più vicina possibile al 70%, con un tasso di occupazione femminile superiore al 60% (v. anche Politiche per l’occupazione). Il successivo Consiglio europeo di Stoccolma (23 e 24 marzo 2003) ha poi fissato alcuni obiettivi intermedi, puntando a tassi di occupazione, rispettivamente, del 67% in generale e del 57% per le donne, al gennaio 2005, oltre al nuovo obiettivo del 50% per i lavoratori anziani (dai 55 ai 64 anni di età) al 2010.
I mezzi attraverso i quali raggiungere il traguardo strategico fissato nel 2000 sono: l’espansione della società dell’informazione; la ricerca e l’innovazione; il sostegno all’innovazione delle imprese; le riforme economiche e il completamento del mercato interno; il miglioramento e l’integrazione dei mercati finanziari; il coordinamento delle politiche macroeconomiche; l’istruzione e la formazione; una politica attiva dell’occupazione; la modernizzazione della protezione sociale; la promozione dell’inclusione sociale.
Lisbona è importante perché segna un cambiamento nel modo di pensare: a Lisbona le Istituzioni comunitarie individuano chiaramente un nesso tra le politiche economiche, occupazionali e sociali, manifestando la volontà politica di dare priorità al “modello sociale europeo” (v. anche Politica sociale), attraverso la riorganizzazione del welfare state e la modernizzazione della protezione sociale (v. Ashiagbor, 2006), determinando così una riduzione del “deficit di coordinamento” tra i processi di Lussemburgo (per l’occupazione), Cardiff (per il funzionamento dei mercati) e Colonia (per le politiche macroeconomiche), dando un peso e una visibilità maggiori ai temi sociali.
Inoltre, sebbene la Strategia di Lisbona non fissi particolari traguardi per i risultati economici, una “solida economia”, stabilità fiscale e una crescita costante si confermano tutte precondizioni necessarie al raggiungimento dei suoi obiettivi.
Il “Metodo aperto di coordinamento”. Il Consiglio europeo di Lisbona ha introdotto un’innovazione connessa alla procedura, dando riconoscimento formale a nuove tecniche di regolazione – governance per mezzo di orientamenti, peer-review e benchmarking – che ha cristallizzato nel “Metodo aperto di coordinamento” (MAC; v. Giubboni et al., 2003, pp. 275-282).
Il Consiglio europeo di Lisbona prevede un metodo in quattro fasi: 1) la definizione di orientamenti dell’Unione in combinazione con calendari specifici per il conseguimento di obiettivi da essi fissati a breve, medio e lungo termine; 2) la determinazione, se del caso, di indicatori quantitativi e qualitativi e di parametri di riferimento ai massimi livelli mondiali, commisurati alle necessità di diversi Stati membri e settori, intesi come strumenti per confrontare le buone prassi; 2) la trasposizione di detti orientamenti europei nelle politiche nazionali e regionali fissando obiettivi specifici e adottando misure che tengano conto delle diversità nazionali e regionali; 3) il periodico svolgimento di attività di monitoraggio, verifica e valutazione inter pares, organizzate nel quadro di un processo di apprendimento reciproco.
A Lisbona, dunque, viene istituzionalizzato un modello di regolazione di tipo flessibile e differenziato, che si presenta come un’alternativa al metodo comunitario classico basato sull’Armonizzazione delle legislazioni nazionali (v. anche Ravvicinamento delle legislazioni). In luogo dell’adozione di standard minimi uniformi e di norme di carattere vincolante, sulle quali si è basato a lungo il processo di costruzione dell’Europa sociale, il MAC prevede un meccanismo decisionale decentrato e al tempo stesso attentamente controllato, che consiste nel coordinamento di politiche e modelli d’azione nazionali diversi e si realizza attraverso l’adozione di linee guida comuni, l’individuazione di benchmarks per la misurazione delle performances nazionali, la promozione e il trasferimento di buone pratiche, la sorveglianza multilaterale dei governi nazionali. Tipico di questo metodo di integrazione è il ricorso alla soft law, ossia a una tecnica regolativa di natura non vincolante, che appare non solo la più rispondente al Principio di sussidiarietà, ma anche la più idonea a coordinare i rapporti fra gli Stati e a bilanciare unità e diversità dei sistemi nazionali.
È stato il Trattato di Amsterdam, con l’introduzione nel Trattato CE di un titolo dedicato all’occupazione (titolo VIII), a formalizzare il coordinamento aperto quale nuovo metodo di cooperazione fra gli Stati europei nel campo delle politiche sociali, ma è il Consiglio europeo di Lisbona a cristallizzarlo come un modello di regolazione generale, da impiegare in altre aree delle politiche sociali (esclusione sociale, povertà, sicurezza sociale, ma anche istruzione, sanità, immigrazione).
L’enfasi, sempre più netta dopo il vertice di Lisbona, sul benchmarking come epicentro del metodo del coordinamento aperto non implica in alcun modo l’idea che esista un modello (in assoluto) migliore su scala europea, verso cui dover convergere. La differenziazione delle risposte politiche degli Stati membri in aderenza alla profonda diversità dei contesti nazionali e locali resta la cifra più autentica del coordinamento aperto come forma di governance sociale (v. Giubboni et al., 2003, pp. 275-82).
Dopo Lisbona. Nel giugno 2001, il Consiglio europeo di Göteborg ha integrato la strategia di Lisbona con l’obiettivo dello sviluppo sostenibile. I successivi Consigli europei hanno evidenziato una serie di ulteriori linee di intervento, tra cui lo sviluppo della società dell’informazione, la costituzione di uno spazio europeo della ricerca, il sostegno all’innovazione, l’ammodernamento dei sistemi di protezione sociale.
La Strategia di Lisbona è stata definita “ottimistica” perché presume l’esistenza di un Mercato unico europeo, mentre in realtà le economie nazionali dell’area dell’euro presentano ancora caratteristiche assai diverse (v. Attinà, Natalicchi, 2006). Tuttavia, alcuni dei risultati sembrano essere stati conseguiti: nel 2003 è stato raggiunto un tasso di occupazione del 64,3%, con una percentuale di donne occupate del 56%. La società dell’informazione procede a grandi passi sulla base dell’espansione dell’uso di internet. I mercati dell’energia e delle telecomunicazioni sono stati aperti alla concorrenza (v. anche Politica europea di concorrenza). La sostenibilità ambientale è inclusa nella legislazione di molti paesi. Riforme strutturali sono state poi introdotte per rendere il lavoro più flessibile e per snellire il sistema di protezione sociale.
Tuttavia, rendendosi conto che molti degli obiettivi inclusi nella proposta originale non sarebbero stati raggiunti nel 2010, nel 2005 il Presidente della Commissione europea, José Barroso, ha presentato una proposta per una nuova Strategia di Lisbona, in cui gli obiettivi vengono ridotti e ridimensionati.
Per quanto concerne gli strumenti di attuazione, il processo di coordinamento è stato semplificato, in modo che gli orientamenti integrati per la crescita e l’occupazione vengano presentati congiuntamente agli orientamenti per le politiche macroeconomiche e microeconomiche e per un periodo di tre anni. Essi servono di base sia al programma comunitario di Lisbona che ai programmi nazionali di riforma (v. anche Programmi comunitari). La descritta semplificazione della programmazione consente una migliore verifica dell’attuazione della strategia sulla base di un unico rapporto sullo stato di avanzamento dei lavori.
Giulia Pecoraro (2008)
Bibliografia
Adinolfi A., Le innovazioni previste dal Trattato di Amsterdam in tema di politica sociale, in “Il Diritto dell’Unione Europea”, 1998.
Ashiagbor D., L’armonizzazione soft: il “metodo aperto di coordinamento” nella Strategia europea per l’occupazione, in M. Barbera (a cura di), Nuove forme di regolazione: il metodo aperto di coordinamento delle politiche sociali, Giuffrè, Milano 2006.
Attinà F., Natalicchi G., L’Unione europea. Governo, istituzioni, politiche, il Mulino, Bologna 2007.
Barbera M., Nuove forme di regolazione: il metodo aperto di coordinamento delle politiche sociali, Giuffrè, Milano 2006.
Giubboni S., Ashiagbor D., Barbera M., Diritti sociali e mercato. La dimensione sociale dell’integrazione europea, il Mulino, Bologna 2003.
Villani U., Istituzioni di diritto dell’Unione europea, Cacucci, Bari 2008.