Thatcher, Margaret
T. (n. Roberts, Grantham 1925-Londra 2013) si laureò in chimica al Somerville College, Oxford, e lavorò come ricercatrice chimica fino al suo matrimonio con Denis Thatcher, che la incoraggiò a intraprendere gli studi di giurisprudenza. Nel 1958 fu scelta per rappresentare Finchley e conquistò il seggio parlamentare nel 1959, mantenendolo fino al suo ritiro nel 1992, quando divenne pari a vita con il titolo di baronessa Thatcher di Kesteven.
Nel 1961 fu nominata sottosegretario al ministero delle Pensioni. Dopo la vittoria dei conservatori nel 1970, fu segretario di Stato per l’Istruzione e le scienze.
Nel 1974, dopo la sconfitta elettorale dei Conservatori, T., candidata outsider per la leadership del partito, ottenne inaspettatamente più voti di Edward Heath, determinandone le dimissioni. Vinse il ballottaggio contro William Whitelaw diventando leader del partito conservatore, posizione che mantenne fino a quando si dimise nel 1990. Nel 1979, 1983, 1987, il suo partito vinse le elezioni politiche e T. divenne il primo ministro del XX secolo che rimase più a lungo in carica.
Dotata di una forte personalità, T. dimostrò approccio insolito e piuttosto semplicistico alla politica. Diretta, intollerante verso il dissenso, ostile verso la burocrazia e determinata, non aveva le comuni doti diplomatiche e raramente si serviva della forza di persuasione. La combinazione di ciò queste caratteristiche la rese una temibile negoziatrice negli ambienti comunitari e, pur procurandole qualche successo, le attirò scarsa simpatia da parte degli altri intimoriti capi di governo. Il suo stile le fece guadagnare un certo potere all’interno della Comunità, ma scarsa influenza.
È facile ripercorrere lo sviluppo del pensiero di T. riguardo alla Comunità, ma difficile spiegarlo. Nel 1975 (v. Gamble, 1993, p. 120) aveva sostenuto la permanenza britannica nella Comunità economica europea (CEE) e prima delle elezioni politiche del 1979 insieme ai suoi colleghi si era adoperata con determinazione per presentare i conservatori come europeisti, al contrario dei laburisti al potere. La dichiarazione politica del partito, The right approach (1976), condannava l’accento posto dai laburisti sulle difficoltà all’interno della Comunità invece che le opportunità che essa offriva, mentre sia la bozza di manifesto inutilizzata del 1978 che il manifesto conservatore del 1979 mostravano entusiasmo per la collaborazione con il resto della Comunità e apprezzamento per i vantaggi della cooperazione. Le stesse aspettative della T., prima di diventare primo ministro, erano incentrate sui vantaggi che tale cooperazione avrebbe potuto offrire nel settore della politica estera piuttosto che sulle prospettive economiche del Regno Unito all’interno della CE. Tuttavia, quando la T. iniziò a incontrare gli altri capi di governo al Consiglio europeo, il suo approccio mutò. Aveva ereditato una situazione in cui il contributo del Regno Unito al bilancio comunitario (v. Bilancio dell’Unione europea) era sproporzionato, soprattutto in considerazione del fatto che il paese non beneficiava della Politica agricola comune (PAC; v. Gamble, 1994, p. 120). La T. era fermamente decisa a modificare tale situazione e ne fece la sua crociata. Gli altri capi di governo furono presi alla sprovvista non dai suoi fini, bensì dai modi utilizzati che erano particolarmente intransigenti (v. Harris, 1988, p. 98). Era talmente ostinata su tale argomento da non essere disposta a discutere di altro fino alla soluzione definitiva del problema della compensazione per il Regno Unito. Tuttavia, un simile approccio risulta efficace finché gli altri negoziatori non lo imitano. Un vertice europeo dove ogni membro perseguisse ostinatamente i propri obiettivi individuali provocherebbe il crollo della Comunità con una perdita per tutti i membri. Gli altri capi di governo si resero conto di ciò, tanto che alla fine cedettero alle sue richieste. Gli stessi ministri thatcheriani e i funzionari del ministero degli Esteri rimasero sorpresi quando fu chiaro che il primo ministro britannico era disposta anche a rompere con la Comunità piuttosto che cedere (v. Harris, 1988, pp. 186 e 188). Dopo cinque anni in cui la T. non si scostò dalla sua posizione, rifiutando qualsiasi compromesso o soluzione temporanea, ottenne una concessione. Al Vertice di Fontainebleau del 1984, con l’intervento di François Mitterrand (v. Wallace, 1997, p. 680), la questione fu risolta e la T. ottenne la compensazione economica richiesta, ma non la riforma delle finanze comunitarie da lei voluta, in particolare il meccanismo di finanziamento della PAC (v. Thatcher, 1993, p. 728) (v. Accordi di Fontainebleau).
Fu una vittoria di Pirro che ebbe due principali conseguenze. In primo luogo danneggiò i rapporti della T. con gli altri capi di governo (v. Harris, 1988, p. 98; Riddell, 1995, pp. 211 e 214; Young, 1989, p. 386; Stevens, 2001) e in secondo luogo, con l’appoggio dei media britannici, preparò lo scenario per le future relazioni tra Regno Unito e Unione europea (UE). In termini molto risoluti, la T. adottò un approccio negoziale basato sulla contrapposizione tra “loro” e “noi” che irritò gli altri leader della Comunità e incoraggiò sentimenti nazionalistici tra i cittadini britannici. Legittimò inoltre sentimenti simili tra alcuni membri conservatori (v. Gamble, 1993, pp. 120 e 178), provocando per molti anni delle divisioni nel partito sulla “questione europea”.
In sintesi, la T. sostenne l’idea comunitaria, ma a parte la cooperazione in politica estera, limitatamente a una comunità di libero scambio (v. Thatcher, 1993. P. 537). In questo senso condannò l’idea di un “super Stato europeo”, sostenendo che la difesa dell’identità nazionale avrebbe dovuto essere il principio fondamentale di una Comunità basata sull’impresa e la deregulation, e ribadì la necessità di un coordinamento delle politiche di difesa.
Ciò nonostante, si può affermare che la T., firmando l’Atto unico europeo (AUE), diede una spinta verso una Comunità integrata più di tutti gli altri leader britannici, eccetto Heath. L’Atto aprì la strada a diverse politiche integrative quali quelle strutturali, ambientali (v. Politica ambientale), per la ricerca e lo sviluppo tecnologico (v. Politica della ricerca scientifica e tecnologica) e di coesione economica e sociale (v. Politica di coesione), nonché a una maggiore integrazione istituzionale attraverso il potenziamento dei poteri del Parlamento europeo (PE) e all’estensione del voto a Maggioranza qualificata.
Sui motivi che spinsero la T. a firmare l’AUE vi sono diverse ipotesi. Secondo alcuni si trattò di un compromesso consapevole – accettare una fusione di sovranità molto ampia in cambio di una liberalizzazione commerciale di vasta portata (v. Kaldor, 2000; McLean, 2003); per raggiungere il suo obiettivo principale, la T. Sarebbe stata disposta a sacrificare i suoi principi anti integrazionisti. Secondo altri (v. Stevens 2001, p. 143; Fallace, 1997; Walkins, 1991), i ministri della T. e Lord Cockfield (v. Cockfield, Francis Arthur), all’epoca Commissario britannico della CE, riuscirono a presentarle l’AUE come «un’affermazione dei valori thatcheriani».
La prima spiegazione sembra la più plausibile, poiché, una volta letto l’AUE, è improbabile che la T. si sia lasciata fuorviare dai suoi ministri. Lei stessa, nelle sue memorie afferma che era pronta a pagare il prezzo di una maggiore integrazione istituzionale (v. Thatcher, 1993, p. 554). Tuttavia, scrive ancora la T., dopo la ratifica dell’Atto i burocrati di Bruxelles, guidati da Jacques Delors, avrebbero sfruttato l’AUE per aumentare l’autorità della Commissione europea nei nuovi ambiti politici, soprattutto in direzione dell’Unione economica e monetaria (UEM). Resta comunque difficile capire perché non avesse previsto tale esito o perché non avesse accettato il livello di integrazione e di regolamentazione necessario per giungere a un Mercato europeo che fosse realmente unico (v. Mercato unico europeo). L’AUE includeva i nuovi ambiti politici sopra elencati proprio per questa ragione e l’UEM era stato l’obiettivo dell’UE sin dal Vertice dell’Aia del 1969. Un’altra spiegazione possibile del motivo per cui la T. Accettò l’AUE è che si fosse illusa che quei risultati pur prevedibili, se non addirittura necessari, non si sarebbero realizzati.
Quando si realizzarono, la T. osservò che non era cambiata lei o le sue opinioni, bensì la Comunità, guidata da una Commissione iperentusiasta e fuorviata. Tuttavia, sempre secondo quanto riferito dalla stessa T., l’evidente cambio di rotta della Comunità coincise con il calo di influenza del primo ministro britannico all’interno della stessa. Dopo la firma dell’AUE, la T. non ebbe altri effetti di rilievo sulla Comunità per il resto del suo mandato, salvo consolidare la reputazione del Regno Unito di “partner difficile” (v. George, 1998) e continuare a guidare l’antieuropeismo tra la popolazione britannica e nel suo stesso partito. Il primo ministro britannico fu costretta dal suo governo ad aderire al Meccanismo di cambio, pur senza smettere mai di disapprovarlo, ma non fece altri passi positivi all’interno della CE. Furono Delors, la sua Commissione e i leader più integrazionisti a indirizzare la Comunità, secondo la T., verso un futuro communautaire, se non federale. Per sua stessa ammissione, la Commissione, guidata da Jacques Delors, aveva presentato la sua agenda con il programma del mercato unico del 1992 e quindi si trovava in una buona posizione per poter far valere il proprio metodo integrazionista.
Le posizioni di T. nei confronti dell’integrazione europea presentano varie contraddizioni. Essenzialmente nazionalista, riteneva che lo scopo della Comunità fosse quello di beneficiare il Regno Unito – un approccio peraltro ampiamente condiviso dagli altri capi di governo europei. Il nazionalismo della T. contemplava anche il separatismo. Il Regno Unito era unico; aveva la sua lingua, la sua moneta e i suoi valori e non era disposto ad amalgamarsi nella Comunità (v. anche Integrazione, teorie della; Integrazione, metodo della).
In secondo luogo, la T. riteneva che fosse compito suo difendere gli interessi britannici all’interno dell’UE. Le rotture da lei provocate ai vertici europei e il successo ottenuto con la compensazione del bilancio dimostravano l’efficacia del suo approccio intransigente. Tuttavia, la questione su cui la T. si batté era relativamente poco importante, ed ebbe successo solo perché in primo luogo gli altri capi di governo furono colti di sorpresa e secondariamente perché in gioco non vi erano questioni di principio rilevanti. Dopo tutto, erano già preparati a fare delle concessioni sin dal principio e lo stesso valeva per la Commissione. La T., a quanto sembra, non ottenne molte altre concessioni dai leader europei, ma a suo avviso ciò accadde perché molti di loro sostenevano l’approccio del nemico per eccellenza del permier britanno, l’eurocentrico Delors, il quale li trascinò in un percorso “non britannico” verso un Federalismo protezionistico e burocratico.
L’istintiva ostilità della T. verso la Comunità così trasformata si spiega altresì con la sua innata avversione per la burocrazia. Secondo il suo ideale piuttosto semplicistico del processo politico, le decisioni avrebbero dovuto essere prese in modo fermo dalla persona preposta a farlo e quindi attuate direttamente e con efficienza. Ignorando le complessità della governance, capiva soltanto il concetto di governo. Quindi, per lei tutti i funzionari pubblici rappresentavano, con la loro mentalità burocratica, un ostacolo, trovando problemi dove non ne esistevano e cercando di imporre la loro opinione su quella dei loro “referenti” politici, indebolendo pertanto le politiche che dovevano attuare.
La T. applicò questa visione dei funzionari pubblici anche alla Comunità. Non tenendo conto delle caratteristiche del Trattato, che dispone che la Commissione assuma un ruolo politico attraverso i suoi poteri di iniziativa (art. 211 TCE) e ignorando il fatto che il Collegio dei commissari fosse composto da ex politici e non da burocrati, la T. riteneva che la Commissione non avesse un ruolo nello sviluppo della Comunità, ma dovesse limitarsi a mettere in atto le decisioni prese dal Consiglio dei ministri. Malgrado la sua avversione per i burocrati, quindi, la sua principale obiezione alla Comunità era il modo in cui il Collegio dei commissari agiva politicamente. Tale avversione aumentò dopo la nomina di Delors, di cui la T. disapprovava le idee e le iniziative, pur riconoscendone l’intelligenza, l’energia e la determinazione nel raggiungere gli obiettivi. Il problema non era solo che i loro obiettivi erano conflittuali, ma anche che Delors era in una posizione migliore per poterli raggiungere.
Non sorprende quindi che l’approccio della T. verso la Comunità sia mutato da un iniziale euroentusiasmo per un’Europa liberoscambista all’ostilità, dovuta dalla sua avversione per la burocrazia in generale e al suo dissenso con Delors in particolare, riguardo alla visione globale della Comunità. Allo stesso modo non sorprende che l’atteggiamento della Comunità nei confronti del primo ministro britannico, nel corso degli anni Ottanta, fosse dapprima pieno di speranza, quando sostituì James Callaghan, poi di disperazione quando iniziò a battagliare fino a diventare di relativa indifferenza quando propose la sua visione alternativa di una Europe des patries.
Nell’ottobre 1990, Geoffrey Howe, leader della Camera dei Comuni e vice primo ministro, si dimise dal gabinetto britannico a causa dell’opposizione espressa così aspramente dalla T. in merito alle proposte di Delors sulla moneta unica europea (v. Euro). Il discorso di dimissioni pronunciato da Howe alla Camera dei Comuni fu talmente ostile da essere interpretato dai suoi colleghi come una chiamata alle armi. In seguito, nel novembre 1990, la T. affrontò la sfida per la leadership del Partito conservatore contro Michael Heseltine, filoeuropeo ed ex ministro, che incarnava l’ostilità crescente del gabinetto verso lo stile di leadership thatcheriano e il suo approccio alla CE. La T. vinse contro il parlamentare conservatore, ma non ottenne il 15% dei voti necessari rispetto a quelli ottenuti dall’avversario per una vittoria assoluta. Dovette quindi andare al ballottaggio. Fermamente decisa a vincere, si consultò con i suoi colleghi di gabinetto, che risposero quasi tutti allo stesso modo: l’avrebbero personalmente sostenuta, ma avrebbe comunque perso l’elezione. La T. si dimise, diventando sempre più ostile verso la CE al punto da essere disposta a sostenere il ritiro se non fosse stato rinegoziato il Trattato.
Si può affermare quindi, in conclusione, che la T. abbia introdotto un nuovo stile di negoziato con la CE, che non sembra sia durato oltre il suo mandato come primo ministro; che abbia contribuito all’integrazione firmando l’AUE, comprendendone o meno le implicazioni; e che abbia costruito, o per lo meno perfezionato, il ruolo della Gran Bretagna come il membro più scettico della Comunità.
Janet Mather (2013)