Premessa: il laborioso iter del Trattato di Lisbona
L’esito negativo dei referendum francese e olandese, rispettivamente del 29 maggio e del 1° giugno 2005, sul progetto di Costituzione europea – approvato dal Consiglio europeo il 18 giugno 2004, firmato a Roma il successivo 29 ottobre e ratificato da diversi Stati membri dell’Unione europea (UE) tra cui l’Italia – fu la causa determinante, come è noto, dell’abbandono del progetto.
Pur non essendo mancata qualche ulteriore ratifica, come quella della Finlandia del dicembre 2006, era evidente la situazione di stallo creatasi e di incertezza sulle iniziative da prendere e sulle prospettive.
Seguivano una fase negoziale imperniata su incontri bilaterali tra la presidenza di turno del Consiglio europeo (v. Presidenza dell’Unione europea) ed esponenti politici degli Stati membri dell’UE e quindi, dopo un accordo sulle linee guida di un nuovo Trattato raggiunto nel Consiglio europeo di Bruxelles del 21 e 22 giugno 2007, l’apertura di una Conferenza intergovernativa (v. Conferenze intergovernative) nel successivo mese di luglio: conferenza che portava alla definizione di una bozza del nuovo Trattato, il cui testo, dopo essere stato discusso a Lussemburgo dai ministri degli esteri degli Stati dell’UE, veniva approvato nel vertice informale (v. Vertici) dei capi di Stato e di governo di Lisbona del 18 ottobre 2007 e quindi firmato, sempre a Lisbona, il 13 dicembre 2007, onde la denominazione di Trattato di Lisbona.
Si apriva quindi la fase delle ratifiche da parte dei singoli Stati membri. Prima ratifica quella dell’Ungheria, il 20 dicembre 2007. L’Italia ratificava il Trattato il 2 agosto 2008 (dopo l’approvazione da parte del Senato il 23 luglio e della Camera il 31 luglio 2008).
L’iter delle ratifiche non mancava tuttavia di incontrare qualche ostacolo e anche battuta d’arresto. Se nella maggior parte degli Stati membri non sorgevano problemi, in Francia a seguito di una pronuncia del Conseil constitutionnel del 20 dicembre 2007 era necessario apportare alcune modifiche alla Costituzione (che sarebbero state approvate in via definitiva il 4 febbraio 2008); in Germania la promulgazione della legge di ratifica da parte del Presidente della Repubblica veniva sospesa fino all’approvazione da parte del Parlamento tedesco di alcune leggi di accompagnamento, a garanzia della conformità alla Legge fondamentale delle future decisioni di Bruxelles, leggi richieste dal Bundesverfassungsgericht, pur pronunciatosi favorevolmente sulla compatibilità del Trattato di Lisbona con la Legge fondamentale della Repubblica federale (sent. 30 giugno 2009).
L’ostacolo maggiore fu però costituito dall’esito negativo del referendum svoltosi il 12 giugno 2008 in Irlanda, unico Stato membro che seguì la via referendaria in quanto tenutovi per Costituzione. La situazione si sarebbe peraltro sbloccata a seguito di un secondo referendum, tenutosi in Irlanda il 2 ottobre 2009 (dopo un accordo raggiunto in tal senso nel Consiglio europeo dell’11-12 dicembre 2008, con concessione di garanzie in merito ad alcune richieste irlandesi): referendum svoltosi questa volta con esito favorevole.
Venivano così anche superate le ultime resistenze della Polonia – che aveva subordinato la propria ratifica del Trattato a quella dell’Irlanda, ma il cui atteggiamento era dettato soprattutto da ragioni di politica interna – e della Repubblica Ceca, in attesa del via libera del giudice di costituzionalità ma soprattutto per l’atteggiamento “euroscettico” del suo presidente (v. Euroscetticismo). La ratifica della Polonia si aveva quindi il 10 ottobre 2009 e quella della Repubblica Ceca il 3 novembre 2009, dopo che la Corte costituzionale si era pronunciata per la seconda volta per la conformità a Costituzione del Trattato.
Concluso l’iter delle ratifiche, il Trattato di Lisbona è entrato in vigore il 1° dicembre 2009, come da disposizione dello stesso Trattato (art. 6) che ne ha previsto l’entrata in vigore il primo giorno del mese successivo al deposito dello strumento di ratifica da parte dello Stato firmatario che vi procede per ultimo.
Caratteri e struttura del Trattato di Lisbona
Dal punto di vista dei contenuti il Trattato di Lisbona non presenta significative differenze rispetto al progetto di Trattato costituzionale europeo.
Si evita, è vero, qualsiasi riferimento al termine “costituzione”, per non avallare l’idea di una Europa come superstato, e vengono espunti dal testo del Trattato richiami di indubbio valore simbolico, come la bandiera o l’inno, ma di fatto già esistenti (v. Simboli dell’Unione europea). Non si parla di leggi e leggi quadro con riferimento ai regolamenti e alle direttive (v. Direttiva), dei quali resta immutata la denominazione (anche se poi appaiono singolari i ricorrenti riferimenti nel Trattato ad espressioni come funzione o attività legislativa dell’UE). Anziché di ministro per gli Affari esteri (come nel progetto di Trattato costituzionale) si adotta la denominazione di Alto rappresentate per gli Affari esteri e la politica di sicurezza dell’UE, ma le funzioni restano pressoché immutate. Non viene più incorporata, è vero, la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea nel testo del Trattato: viene però ad essa riconosciuto espressamente lo stesso valore giuridico dei Trattati.
Si tratta, quindi, in linea di massima, di cambiamenti, se si vuole di indubbia valenza simbolica, ma in realtà più di forma che di sostanza (v. Ziller, 2007, p. 875 e ss.).
Risalta invece la diversa struttura del Trattato di Lisbona rispetto al progetto di Trattato costituzionale europeo.
Questo si presentava infatti come un corpo organico, sia pure molto ampio: basti pensare che il solo testo del Trattato era comprensivo di 448 articoli cui si aggiungevano 36 protocolli, 2 allegati, un Atto finale e 50 dichiarazioni (v. Curti Gialdino, 2005).
Il Trattato di Lisbona invece, per differenziarsi dall’impostazione data al progetto di Trattato costituzionale e per fugare ogni dubbio che potesse anch’esso configurarsi come un nuovo Trattato costituzionale sostitutivo dei precedenti Trattati, si presenta dal punto di vista strutturale come un trattato modificativo dei precedenti Trattati: del Trattato cioè sull’UE (v. Trattato di Maastricht) (che sarà di seguito indicato, nella versione consolidata per le modifiche apportate dal Trattato di Lisbona, come TUE/Lisb) e del Trattato istitutivo della Comunità europea (v. Trattati di Roma), che prende ora il nome di Trattato sul funzionamento dell’UE (e che sarà di seguito indicato, nella versione consolidata per le modifiche apportate dal Trattato di Lisbona, come TFUE/Lisb) (v. Dony, 2008).
Seguono 37 protocolli, 2 allegati e 65 dichiarazioni (suddivise in “Dichiarazioni relative a disposizioni dei Trattati [da 1 a 43], “Dichiarazioni relative a protocolli allegati ai Trattati” [da 44 a 50] e “Dichiarazioni degli Stati membri” [da 51 a 65]).
Valori fondamentali e obiettivi dell’Unione. Rafforzamento del principio democratico e riconoscimento del valore giuridico della Carta dei diritti
Con il Trattato di Lisbona sono, anzitutto, ribaditi, ma anche ulteriormente sviluppati, valori fondamentali e obiettivi comuni dell’UE. Le enunciazioni relative ai principi di libertà, di democrazia, del rispetto dei Diritti dell’uomo, dello Stato di diritto vengono arricchite con puntuali richiami a valori come quelli della dignità umana, del pluralismo, della solidarietà, della tolleranza, della non discriminazione e della tutela delle minoranze (art. 2 TUE/Lisb). Tra gli stessi obiettivi dell’UE, oltre a ribadire quelli contenuti nella già vigente normativa, si pone anche l’accento, sempre a livello di disposizioni comuni, sulla lotta contro l’esclusione sociale, sull’azione a tutela dei diritti specie a favore delle categorie più deboli, sul rispetto delle identità culturali e linguistiche, sulla salvaguardia e sullo sviluppo del patrimonio culturale europeo, sul progresso scientifico e tecnologico (art. 3 TUE/Lisb). Obiettivi che vengono poi anche più dettagliatamente specificati nel titolo II del TFUE/Lisb sulle “Disposizioni di applicazione generale”. Un’Europa quindi, che, pur nella ribadita essenzialità dell’integrazione economica, del libero mercato interno (v. anche Mercato unico europeo), dello sviluppo economico equilibrato e sostenibile, volge però ancora più che in passato lo sguardo ad obiettivi di promozione e solidarietà sociale, di una società più equa, di una maggiore coesione non solo economica ma anche sociale e territoriale.
In quest’ottica di particolare attenzione alla società europea nel suo complesso si collocano anche le norme del Trattato concernenti il principio democratico e la tutela dei diritti.
Come già nel progetto di Trattato costituzionale anche nel Trattato sull’UE, come modificato dal Trattato di Lisbona, è inserito, sotto denominazione sostanzialmente analoga, un Titolo (il Titolo II) recante “Disposizioni relative ai principi democratici” (v. Draetta, 2008, p. 513 e ss.). Viene anzitutto posto l’accento sul principio che «il funzionamento dell’Unione si fonda sulla democrazia rappresentativa» (art. 10 TUE/Lisb, par. 1). Ruolo, quello della democrazia rappresentativa, il cui rafforzamento trova un deciso supporto (come si vedrà in seguito) nel sensibile ampliamento delle attribuzioni e nel rafforzamento del ruolo del Parlamento europeo, istituzione ora espressamente qualificata come direttamente rappresentativa dei cittadini (anziché, come in precedenza, dei popoli) a livello di Unione (art. 10 TUE/Lisb, par. 2).
Nello stesso tempo sono rafforzati il ruolo e il coinvolgimento nelle procedure dell’UE dei Parlamenti nazionali, in termini di comunicazione di informazioni (come la trasmissione agli stessi parlamenti dei progetti di atti legislativi indirizzati al Parlamento europeo e al Consiglio o l’informazione circa le domande di adesione all’UE); di vigilanza sul rispetto del Principio di sussidiarietà; di partecipazione ai meccanismi di valutazione ai fini dell’attuazione delle politiche dell’UE nell’ambito dello Spazio di libertà, sicurezza e giustizia; di partecipazione alle procedure di Revisione dei Trattati; come pure in termini di comune definizione dell’organizzazione e della promozione di una cooperazione interparlamentare efficace e regolare in seno all’UE (art. 12 TUE/Lisb e allegato protocollo sul ruolo dei parlamenti nazionali) (v. Kiiver, 2008, p. 77 e ss).
Sono inoltre maggiormente valorizzati a livello di UE anche istituti di democrazia partecipativa, con riguardo alle formazioni sociali come ai singoli. È vero che si tratta di riconoscimenti in molti casi più evidenziatori che innovativi, concernendo spesso istituti già previsti in varie disposizioni dei Trattati nonché in altri atti normativi europei e che ora acquistano (o sembrano acquistare) maggior risalto perché inseriti in apposito titolo. Così è ad esempio per quanto riguarda il ruolo a livello europeo dei partiti politici (v. Partiti politici europei), per le consultazioni delle parti interessate in sede di Commissione europea al fine di assicurare la trasparenza e la coerenza delle azioni dell’UE, ecc. (artt. 10 e 11 TUE/Lisb).
Nuova è invece la possibilità, riconosciuta a cittadini dell’UE in numero almeno di un milione e che abbiano la cittadinanza di un numero significativo di Stati membri, di «prendere l’iniziativa d’invitare la Commissione europea, nell’ambito delle sue attribuzioni, a presentare una proposta appropriata su materie in merito alle quali tali cittadini ritengono necessario un atto giuridico dell’Unione ai fini dell’attuazione dei trattati» (art. 11 par. 4 TUE/Lisb) (v. anche Strumenti giuridici comunitari). Un riconoscimento, quindi, di un nuovo diritto di iniziativa popolare, anche se non suscettibile di tradursi in una iniziativa referendaria (v. Priollaud, Siritzky, 2008, p. 51).
In materia di diritti, una novità è rappresentata dall’adesione alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (in luogo della precedente mera dichiarazione del rispetto di tali diritti, pur non modificando la suddetta adesione le competenze dell’UE definite nei trattati), con l’enunciazione che gli stessi diritti, anche in quanto risultanti dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati, «fanno parte del diritto dell’Unione in quanto principi generali» (art. 6, parr. 2 e 3, TUE/Lisb).
La maggiore novità in tema di diritti è però rappresentata, come sopra ricordato, dal riconoscimento, da parte dell’UE, dei diritti, delle libertà e dei principi sanciti dalla Carta dei diritti fondamentali, la c.d. Carta di Nizza del dicembre 2000, cui si riconosce lo stesso valore dei Trattati, pur con la precisazione che le disposizioni della Carta non «estendono in alcun modo le competenze dell’Unione» definite negli stessi Trattati (art. 6, par. 1, TUE/Lisb). È vero che non hanno mancato di adito a qualche perplessità la mancata incorporazione della Carta dei diritti nel testo del Trattato di Lisbona (come si era invece proceduto nel formulare il testo del progetto di Trattato costituzionale europeo), nonché il regime derogatorio previsto per la Polonia e il Regno Unito: regime in forza del quale la Carta non estende le competenze della Corte di giustizia delle Comunità europee (v. Corte di giustizia dell’Unione europea) o di qualunque altro organo giurisdizionale dei due Stati a sindacare la conformità di atti giuridici dei medesimi Stati alle disposizioni contenute nella Carta (Protocollo n. 30). La prevalente dottrina è tuttavia dell’avviso che sia parimenti riconoscibile un pieno valore giuridico alla stessa Carta.
Personalità dell’Unione e superamento della struttura a pilastri. Più puntuale riparto delle competenze tra Unione e Stati membri in un contesto di rafforzata garanzia del principio di sussidiarietà e innovazioni nel sistema delle fonti dell’Unione
Importanti innovazioni, con riferimento all’UE e alla sua struttura sono costituite dall’espressa attribuzione di Personalità giuridica dell’Unione europea alla stessa Unione (art. 47 TUE/Lisb), e non più alla sola Comunità, con conseguente riconoscimento di autonomia a livello internazionale, e dalla soppressione (data la fusione tra Comunità e Unione nella sola Unione) della struttura a pilastri (v. Pilastri dell’Unione europea) (quello comunitario, quello della Politica estera e di sicurezza comune e quello della Cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale), pur non essendo venute meno differenze di procedure decisionali (v. Processo decisionale) secondo gli oggetti trattati (v. Priollaud, Siritzky, 2008, p. 30).
Chiarimenti e puntualizzazioni vengono poi apportati in tema di riparto di competenze tra la stessa UE e gli Stati membri. Dopo le esplicite affermazioni di principio che «qualsiasi competenza non attribuita all’Unione nei trattati appartiene agli Stati membri» (art. 4 TUE/Lisb) e che «la delimitazione delle competenze dell’Unione si fonda sul Principio di attribuzione», mentre il loro esercizio «si fonda sui principi di sussidiarietà e sul Principio di proporzionalità» (art. 5 TUE/Lisb, parr. 1 e 2), viene ulteriormente esteso e rafforzato il principio di sussidiarietà, precisandone da una parte la riferibilità (con possibilità quindi di intervento dell’Unione) anche agli obiettivi che non possono essere conseguiti in misura sufficiente dagli Stati membri «a livello regionale e locale», oltre che a livello centrale (art. 5 TUE/Lisb, par. 3); e garantendone ulteriormente l’effettività con l’attribuzione, come si è visto, ai parlamenti nazionali del compito di vigilare «sul rispetto del principio di sussidiarietà secondo la procedura prevista in detto protocollo» (art. 5 TUE/Lisb, par. 3, ult. comma; Protocollo n. 2 sull’applicazione dei principi di sussidiarietà e di proporzionalità).
Particolare e significativo elemento di chiarificazione è inoltre rappresentato, nel Trattato sul funzionamento dell’UE, dal riparto mai esplicitamente previsto nei precedenti trattati europei, tra competenze esclusive, competenze concorrenti e competenze di sostegno: riferite le prime ai settori in cui «solo l’Unione può legiferare e adottare atti giuridicamente vincolanti», mentre «gli Stati membri possono farlo autonomamente solo se autorizzati dall’Unione oppure per dare attuazione agli atti dell’Unione» (art. 3 TFUE/Lisb); attinenti le seconde ai settori in cui, in forza dei trattati, «l’Unione e gli Stati membri possono legiferare e adottare atti giuridicamente vincolanti», con possibilità peraltro per gli Stati membri di esercitare «la loro competenza nella misura in cui l’Unione non ha esercitato la propria», come pure di esercitarla nuovamente «nella misura in cui l’Unione ha deciso di cessare di esercitare la propria» (art. 4 TFUE/Lisb: un tipo di competenze invero, quelle concorrenti dell’UE, che richiamano la legislazione concorrente dell’art. 72 della Legge fondamentale della Repubblica federale di Germania, anziché la competenza legislativa concorrente ex art. 117, comma 3, della Costituzione italiana); concernenti infine, le competenze di sostegno, azioni dell’UE intese a sostenere, coordinare o completare l’azione degli Stati membri in determinati settori (art. 6 TFUE/Lisb). Una ripartizione, peraltro, di competenze, quella tra Unione e Stati membri delineata nel Trattato di Lisbona, che assolve una evidente funzione di chiarificazione e delimitazione, ma che non si può certo ritenere fissata in modo rigido e immutabile, date le esigenze di flessibilità del sistema che caratterizzano soprattutto nella fase attuale l’ordinamento europeo (v. Bilancia, 2009, p. 114 e ss.).
Contestualmente sono apportate alcune innovazioni nel sistema delle fonti normative e degli atti giuridici dell’UE in ottiche semplificatrici e razionalizzatici, onde porre rimedio alla proliferazione nel tempo degli strumenti giuridici (al punto da raggiungere un numero di circa quindici atti approvati con una trentina di procedimenti diversi: v. Petrangeli, 2004, p. 78) in conseguenza della progressiva acquisizione di nuove competenze da parte della Comunità e dell’Unione. Ricondotti gli atti giuridici dell’UE alle categorie dei regolamenti, delle direttive, delle decisioni (v. Decisione), delle raccomandazioni (v. Raccomandazione) e dei pareri (v. Parere) (art. 288 TFUE/Lisb) ed espressamente qualificati come legislativi gli atti adottati con procedura legislativa (art. 289 par. 3, TFUE/Lisb), viene d’altro canto creata una “gerarchia di norme” nell’ambito del diritto derivato ordinata in atti legislativi europei (v. Gerarchia degli atti comunitari; Gerarchia delle fonti), atti delegati (categoria, questa, di nuova istituzione) e atti di esecuzione (artt. 290 e 291 TFUE/Lisb). Accanto agli aspetti positivi delle innovazioni apportate al sistema delle fonti, non si è peraltro mancato di sottolinearne alcune criticità (v. Cannizzaro, 2008, p. 12 e ss.; Masson, 2008, p. 4 e ss).
Nuovo assetto istituzionale dell’Unione e riforme di carattere funzionale
Le modifiche complessivamente apportate dal Trattato di Lisbona ai Trattati CE e UE delineano un quadro istituzionale per diversi aspetti diverso da quello di quei trattati, anche se non rispondente a molte aspettative ingenerate negli anni del c.d. “processo costituente europeo”, ma del resto già venute meno nello stesso progetto di Trattato costituzionale (v. Bassanini, 2008).
A) Tra le Istituzioni comunitarie che escono rafforzate nell’assetto istituzionale risultante dalle modifiche apportate dal Trattato di Lisbona vi è sicuramente il Parlamento europeo cui viene attribuito un ampio ruolo di Codecisione nell’esercizio di funzioni primarie dell’UE. Ai sensi infatti dell’art. 14, par. 1, TUE/Lisb, «il Parlamento esercita, congiuntamente al Consiglio, la funzione legislativa e la funzione di bilancio» (v. Bilancio dell’Unione europea), oltre a «funzioni di controllo politico e consultive alle condizioni stabilite dai trattati», ed «elegge il Presidente della Commissione europea». Il sensibile ampliamento del ruolo di codecisione del Parlamento europeo nell’adozione degli atti legislativi rispetto a quanto in precedenza previsto dai trattati, in cui la Procedura di codecisione era contemplata per alcune materie mentre per altre era prevista solo una Procedura di cooperazione, consente, anzi, ormai di parlare di un Parlamento assunto al rango di vero colegislatore dell’Unione, insieme al Consiglio. Al Parlamento è inoltre riconosciuto un importante ruolo d’investitura nei confronti della Commissione, con l’attribuzione del potere di eleggerne direttamente il presidente, su proposta del Consiglio europeo che deve tener conto delle elezioni del Parlamento medesimo (art. 17, par. 7, comma 1, TUE/Lisb: mentre fino ad ora il Parlamento approvava la nomina a presidente della Commissione della persona designata di comune accordo dai governi degli Stati membri), oltre al potere di esprimere un voto di approvazione collettiva del Presidente e degli altri componenti la Commissione (come peraltro anche fino ad ora previsto) nonché della nuova figura dell’alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza. Viene inoltre ribadito il potere del Parlamento di votare una mozione di censura nei confronti della Commissione, con conseguente obbligo dei membri di questa di dimettersi collettivamente.
La tendenza a rafforzare il ruolo di rappresentanza democratica del Parlamento europeo (il cui numero massimo di componenti potrà essere di 750, più il presidente) trova riscontro nello stesso formulato normativo che, pur nulla aggiungendo al già vigente criterio delle Elezioni dirette del Parlamento europeo, tende peraltro a evidenziare il carattere del Parlamento di istituzione rappresentativa dei cittadini dell’UE, la cui rappresentanza viene garantita in modo degressivamente proporzionale con una soglia minima e una soglia massima per Stato membro (art. 14, par. 2, TUE/Lisb), piuttosto che (come a termini della precedente normativa) il carattere di istituzione composta «di rappresentanti dei popoli degli Stati riuniti nella Comunità», il cui numero, oltre tutto, era normativamente fissato per Stato membro dallo stesso Trattato CE.
B) Al rafforzamento del ruolo del Parlamento europeo, cioè dell’istituzione più democraticamente rappresentativa dell’UE, fa però riscontro, come da contrappeso, un pieno riconoscimento a livello istituzionale con correlativo rafforzamento dell’organo più direttamente rappresentativo degli Stati e dei loro governi, ossia il Consiglio europeo, composto appunto dai capi di Stato o di governo degli Stati membri nonché dal presidente della Commissione (art. 15, par. 2, TUE/Lisb).
Anzitutto, il Consiglio europeo, in precedenza configurabile come organo intergovernativo, viene ora assunto a pieno titolo nel quadro istituzionale dell’UE come massima istituzione di indirizzo politico, con la funzione di dare all’Unione gli impulsi necessari al suo sviluppo e di definirne gli orientamenti e le priorità politiche generali (art. 15, par. 1, TUE/Lisb). Il ruolo del Consiglio europeo trae poi nuovo impulso dalla sostituzione, nel Trattato di Lisbona, della presidenza a turno di durata semestrale – in quanto ricoperta dal capo di Stato o di governo dello Stato membro che esercitava la presidenza di turno, di durata appunto semestrale, del Consiglio dei ministri, istituzione, questa, già della Comunità europea – con una presidenza stabile, con una nuova figura cioè di presidente eletto a Maggioranza qualificata dallo stesso Consiglio europeo per un periodo di due anni e mezzo con mandato rinnovabile una volta, con funzioni anche di rappresentanza esterna dell’UE in materia di politica estera e di sicurezza comune (art. 15, par. 6, TUE/Lisb).
C) Già organo legislativo per eccellenza, il Consiglio nel Trattato di Lisbona esercita congiuntamente, come sopra richiamato, la funzione legislativa e quella di bilancio con il Parlamento europeo, oltre a «funzioni di definizione delle politiche e di coordinamento alle condizioni stabilite nei trattati» (art. 16, par. 1, TUE/Lisb): con qualche larvato (e fatte comunque le debite differenze, dato anche il carattere non statuale dell’UE) richiamo all’idea di quel bicameralismo tipico degli Stati federali, in cui un ramo del Parlamento rappresenta il popolo e l’altro ramo gli Stati membri della Federazione (v. anche Federalismo).
Composto da un rappresentante di ogni Stato membro a livello ministeriale, il Consiglio delibera a maggioranza qualificata, a meno che i Trattati dispongano diversamente (art. 16, parr. 2 e 3, TUE/Lisb). Maggioranza qualificata che non solo viene estesa a nuovi ambiti con conseguente ridimensionamento della regola del Voto all’unanimità, ma che – calcolata fino a ora secondo un sistema di ponderazione dei voti, solo parzialmente assegnati tenendo conto della popolazione dei singoli Stati – a decorrere dal 1° novembre 2014 sarà calcolata secondo la nuova regola della “doppia maggioranza” (v. Duplice maggioranza) dei popoli e degli Stati, tale cioè da comprendere almeno il 55% dei membri del Consiglio (elevato al 72% quando il Consiglio non deliberi su proposta della Commissione o dell’alto rappresentante per gli affari esteri e la politica di sicurezza [art. 238, par. 2, TFUE/Lisb]), con un minimo di quindici, rappresentanti Stati membri che totalizzino almeno il 65% della popolazione dell’UE: salva la possibilità di opposizione della “minoranza di blocco”, comprendente cioè almeno quattro membri del Consiglio, considerandosi in caso contrario raggiunta la maggioranza qualificata (art. 16, par. 4, TUE/Lisb).
Al di là dei tempi per la completa entrata in vigore della nuova regola della “doppia maggioranza” (date le possibilità derogatorie previste nel periodo intermedio tra il 1° novembre 2014 e il 31 marzo 2017 dal “Protocollo sulle disposizioni transitorie”) e nonostante i possibili maggiori tempi decisionali, a seguito di iniziative pur al di sotto della stessa “minoranza di blocco”, consentiti da una sorta di “Compromesso di Ioannina” (di cui all’allegata Dichiarazione n. 7), sta comunque di fatto che il nuovo sistema della “doppia maggioranza”, oltre a rendere più democratico il procedimento decisionale per il ruolo riconosciuto al “peso demografico” di ciascuno Stato, riduce sensibilmente il “potere di blocco” dei singoli Stati (v. Priollaud e Siritzky, 2008, p. 41 e ss.).
Anche nel sistema del Trattato di Lisbona il Consiglio continua a riunirsi in varie formazioni, solo due delle quali sono espressamente previste nel Trattato: il Consiglio “Affari generali” e il Consiglio “Affari esteri”. Al Consiglio “Affari generali” spetta il compito di assicurare la coerenza dei lavori delle varie formazioni del Consiglio nonché di preparare le riunioni del Consiglio europeo e assicurarne il seguito in collegamento con il presidente del Consiglio europeo e la Commissione (art. 16, par. 6, comma 2, TUE/Lisb). Al Consiglio “Affari esteri” spetta invece di elaborare «l’azione esterna dell’Unione secondo le linee strategiche definite dal Consiglio europeo» e assicurare “la coerenza dell’azione dell’Unione” (art. 16, par. 6, comma 3, TUE/Lisb). L’elenco delle altre formazioni del Consiglio è invece stabilito con delibera adottata a maggioranza qualificata dal Consiglio europeo (art. 16, par. 6, comma 1, TUE/Lisb; art. 236 TFUE/Lisb). Resta peraltro da vedere se l’istituzionalizzazione di un Consiglio “Affari generali” riuscirà ad assicurare effettivamente la coerenza dell’azione del Consiglio, cui appare comunque d’ostacolo il mantenimento della previsione delle varie formazioni.
Una innovazione nel sistema di rotazione della presidenza del Consiglio è stata introdotta con la previsione ex art. 16, par. 9, TUE/Lisb, del principio di “rotazione paritaria” nella presidenza delle formazioni del Consiglio (a eccezione della formazione “Affari esteri”) esercitata dai rappresentanti degli Stati membri, conformemente alle condizioni stabilite da una decisione del Consiglio europeo adottata a maggioranza qualificata (art. 236 TFUE/Lisb). Principio, quello della “rotazione paritaria”, che introduce un sistema di presidenza “per gruppi”, esercitata cioè da gruppi predeterminati di tre Stati membri (composti secondo un sistema di rotazione paritaria degli Stati membri che tenga conto delle loro diversità e degli equilibri geografici dell’UE) per un periodo di 18 mesi: con esercizio a turno della presidenza delle formazioni del Consiglio, da parte di ciascun membro del gruppo, per un periodo di 6 mesi; mentre gli altri membri del gruppo assistono la presidenza in tutti i suoi compiti sulla base di un programma comune (art. 1, parr. 1 e 2 dell’allegata Dichiarazione n. 9). Anche se gli esiti di questa innovazione, in termini di stabilità ed efficienza dell’azione della presidenza del Consiglio, appaiono tutt’altro che scontati.
D) La Commissione è confermata nel suo ruolo di istituzione con funzioni precipuamente propositive (con l’esclusiva dell’iniziativa legislativa, salvo che i Trattati dispongano diversamente), esecutive e di vigilanza dell’applicazione dei Trattati e del diritto dell’UE. Assicura la rappresentanza esterna dell’UE, tranne che per la politica estera e di sicurezza comune e per gli altri casi previsti dai Trattati, e avvia «il processo di programmazione annuale e pluriennale dell’Unione per giungere ad Accordi interistituzionali» (art. 17, parr. 1 e 2, TUE/Lisb).
Si ribadisce inoltre la posizione della Commissione (della quale si conferma il mandato quinquennale) di istituzione che esercita le sue funzioni in piena indipendenza dai governi degli Stati (art. 17, par. 3, TUE/Lisb). È evidente, però, che la previsione, benché limitata alla prima applicazione del Trattato di Lisbona, di una Commissione composta di un cittadino per ogni Stato membro dell’UE (art. 17, par. 4, TUE/Lisb), oltre a farne un organo pletorico a scapito della sua funzionalità, può in qualche modo apparire una remora al rafforzamento della posizione di istituzione dell’UE, sganciata dagli Stati, che si vuole caratterizzi appieno l’azione della stessa Commissione. Posizione che risulterà invece più evidenziata a regime (cioè a decorrere dal 1° novembre 2014, ai sensi dell’art. 17, par. 5, comma 1, TUE/Lisb), quando la Commissione sarà composta di un numero di membri pari ai due terzi degli Stati dell’UE: sempre che tale numero non venga modificato dal Consiglio europeo che, seppure con decisione unanime, può decidere di modificarlo, derogando così alla disposizione del Trattato (art. 17, par. 5, TUE/Lisb).
Rafforzato appare, d’altro canto, il ruolo politico del presidente della Commissione, sia per la sua elezione diretta da parte del Parlamento europeo, sia per le maggiori attribuzioni nell’organizzazione della Commissione e in seno a essa (art. 17, par. 6, TUE/Lisb): pur facendovi da contrappeso il più tangibile rafforzamento di altre istituzioni, quali il Parlamento e il Consiglio europeo, nonché l’emergere della figura stabile del presidente del Consiglio europeo o di quella dell’alto rappresentante dell’UE per gli affari esteri e la politica di sicurezza.
Non sono peraltro mancate voci critiche in dottrina in merito ad una incongruenza ravvisabile tra il difetto del requisito di democraticità riscontrabile nella Commissione e il potere altamente condizionante di cui sarebbe investita nello stesso campo della procedura legislativa ordinaria (v. Guarino, 2009, p. 7 e ss.).
E) Una delle maggiori novità del quadro istituzionale dell’UE è senz’altro rappresentata dall’introduzione della figura dell’alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza. Si tratta di figura che assorbe le funzioni già affidate al commissario competente per gli affari esterni e al mandatario del Consiglio per la politica estera e di sicurezza comune e alla quale è demandato un ruolo guida di uno dei settori più delicati e “deboli” della politica dell’UE, quello della politica estera e di sicurezza: e proprio la delicatezza del ruolo dell’alto rappresentante trova riscontro nella posizione di organo di raccordo tra più istituzioni dell’UE. Non solo, infatti, la sua nomina (come del resto la sua revoca) da parte del Consiglio europeo deve avvenire d’accordo con il presidente della Commissione, ma l’alto rappresentante assomma anche in sé (secondo la formula c.d. del “doppio cappello”) le funzioni di presidente del Consiglio “Affari esteri”, in seno al Consiglio, del quale agisce anche in qualità di mandatario nell’attuazione della politica estera e di sicurezza alla cui elaborazione contribuisce con proprie proposte, e di vicepresidente (seppure non l’unico) della Commissione, in seno alla quale è incaricato delle responsabilità che incombono su tale istituzione nel campo delle relazioni esterne (art. 18 TUE/Lisb).
Anche se poi i ruoli di guida e di raccordo dell’alto rappresentante nei settori della politica estera e di sicurezza potrebbero risultare scarsamente conciliabili con il ruolo del presidente del Consiglio europeo, nella misura in cui spetta a questo «al suo livello e in tale veste, la rappresentanza esterna dell’Unione per le materie relative alla politica estera e di sicurezza comune» (art. 15, par. 6, comma 2, TUE/Lisb), ma anche con il ruolo del presidente della Commissione, al quale spetta tra l’altro definire gli orientamenti nel cui quadro la Commissione esercita i propri compiti (art. 17, par. 6, comma 1, TUE/Lisb). Per non dire delle situazioni che potrebbero derivare da eventuali discrepanze nel regime di “doppia fiducia” che caratterizza la posizione dell’alto rappresentante: la fiducia del Consiglio europeo che può porre fine al di lui mandato, seppure con l’accordo del presidente della Commissione, e la fiducia del Parlamento che votando una mozione di censura nei confronti della Commissione determina anche le dimissioni dell’alto rappresentante dalle funzioni che esercita in seno alla Commissione.
F) Sempre con riguardo all’assetto istituzionale dell’UE, innovazioni vengono infine apportate dal Trattato di Lisbona alla disciplina della Corte di giustizia, ora più propriamente denominata “Corte di giustizia dell’Unione europea” (in luogo dell’ormai anacronistica denominazione “Corte di giustizia delle Comunità europee”) e comprensiva della Corte di giustizia, del Tribunale – senza più l’aggiunta “di primo grado” (v. Tribunale di primo grado), tale in realtà più non essendo dopo l’istituzione nel 2004 del Tribunale della funzione pubblica – e dei tribunali specializzati (art. 19, par. 1, comma 1, TUE/Lisb) (v. Condinanzi, 2009, p. 212 e ss.).
Ampliate risultano le attribuzioni della Corte di giustizia dell’UE, con riguardo tra l’altro alla competenza a giudicare sui ricorsi presentati da persone fisiche o giuridiche contro atti adottati nei loro confronti o che le riguardino direttamente e individualmente nonché contro gli atti regolamentari che le riguardino direttamente senza comportare misure di esecuzione (art. 263, comma 4, TFUE/Lisb). È inoltre prevista la competenza della Corte di giustizia a pronunciarsi sui ricorsi per violazione del principio di sussidiarietà anche presentati dal Comitato delle regioni (art. 8 Protocollo sull’applicazione dei principi di sussidiarietà e di proporzionalità).
Innovazioni in materia di cooperazioni rafforzate. In particolare: la “cooperazione strutturata permanente” in ambito militare e l’estensione del regime delle cooperazioni rafforzate in materia di polizia e giudiziaria penale
Meritevoli di nota sono anche alcune innovazioni che il Trattato di Lisbona ha introdotto in materia di cooperazioni rafforzate.
Se di scarso rilievo appare la disposizione che (in considerazione dell’accresciuto numero degli Stati membri dell’UE) aumenta da otto a nove il numero minimo di Stati che chiedano di partecipare ad una cooperazione rafforzata perché il Consiglio autorizzi la partecipazione medesima (art. 20, par. 2, TUE/Lisb), sostanzialmente più rilevante è la disposizione che consente di utilizzare anche nel quadro di una cooperazione rafforzata la “clausola passerella” (v. Passerella comunitaria) che permette, a seguito di delibera unanime del Consiglio, il passaggio da una delibera all’unanimità a una delibera a maggioranza qualificata o da una procedura legislativa speciale alla procedura legislativa ordinaria (art. 333, parr. 1 e 2, TFUE/Lisb) (v. Priollaud, Siritzky, 2008, p. 86).
In ambito specifico poi, vi è l’innovazione relativa alla instaurazione di una “cooperazione strutturata permanente” nell’UE tra «gli Stati membri che rispondono a criteri più elevati in termini di capacità militari e che hanno sottoscritto impegni più vincolanti in materia ai fini delle missioni più impegnative» (art. 42, par. 6, TUE/Lisb). Cooperazione che presuppone da parte degli Stati a essa interessati la rispondenza a criteri e la sottoscrizione di impegni in materia di capacità militari specificati nel Protocollo sulla cooperazione strutturata permanente, che viene istituita con delibera del Consiglio e aperta a nuove adesioni ma anche con possibilità di recesso (come pure di sospensione, da parte del Consiglio, dello Stato che non risponda più ai requisiti richiesti per la partecipazione) (art. 46 TUE/Lisb) (v. anche Politica europea di sicurezza e difesa).
Viene inoltre prevista l’applicabilità delle disposizioni generali in materia di cooperazione rafforzata alle cooperazioni rafforzate in materia di polizia e giudiziaria penale (art. 82, par. 3, TFUE/Lisb).
Nonostante questa maggiore “flessibilità” del regime delle cooperazioni rafforzate sono state tuttavia avanzate talune perplessità sul futuro di tali cooperazioni.
Revisione dei Trattati e diritto di recesso dall’Unione
Con il Trattato di Lisbona sono state apportate modifiche anche in materia di revisione dei Trattati. Viene anzitutto stabilito che i Trattati possono essere modificati secondo una procedura di revisione ordinaria e secondo procedure di revisione semplificate (art. 48, par. 1, TUE/Lisb).
La novellata procedura di revisione ordinaria si caratterizza per un maggior coinvolgimento del Parlamento europeo e per il contestuale riconoscimento di un ruolo dei parlamenti nazionali, per il ruolo fondamentale del Consiglio europeo, per la possibile convocazione di una apposita convenzione (v. Convenzioni) e per la specifica previsione di una “clausola aperta” in caso di insorgenze di difficoltà nelle procedure di ratifica da parte degli Stati membri (v. Pizzetti, 2009, p. 173 e ss.).
In particolare, viene esteso al Parlamento europeo il potere di iniziativa, contestualmente all’attribuzione allo stesso Parlamento di un maggior ruolo consultivo e anche deliberativo infraprocedimentale (come per la necessaria previa approvazione da parte del Parlamento della decisione del Consiglio europeo di non convocare una apposita convenzione). Determinante diventa, nello stesso tempo, il ruolo del Consiglio europeo: così, con riguardo alla convocazione, ricorrendo determinati presupposti e condizioni, di una apposita convenzione (seppure con ruolo di elaborazione e predisposizione di una mera raccomandazione alla conferenza dei rappresentanti dei governi degli Stati membri) composta anche di rappresentanti dei parlamenti nazionali e del Parlamento europeo, oltre che dei capi di Stato o di governo degli Stati membri e della Commissione; in ordine alla convocazione di una conferenza dei rappresentanti dei governi degli Stati membri per stabilire di comune accordo le modifiche da apportare ai trattati; nonché per quanto concerne il deferimento allo stesso Consiglio europeo della questione della mancata ratifica della modifica di un trattato da parte di uno o più Stati firmatari, quando dopo due anni dalla firma della revisione di quel trattato i quattro quinti degli Stati membri lo abbiano ratificato (art. 48, parr. 2-5, TUE/Lisb).
Quanto alle procedure di revisione semplificata, ratione materiae sono circoscritte a modifiche delle disposizioni della parte terza del Trattato sul funzionamento dell’UE relative alle politiche e azioni interne. La competenza a deliberare è attribuita al Consiglio europeo previa consultazione, tra l’altro, del Parlamento europeo. Ferma restando la necessaria approvazione degli Stati membri secondo le rispettive norme costituzionali per l’entrata in vigore delle modifiche (art. 48, par. 6, TUE/Lisb).
Altra novità è rappresentata dalla previsione e regolamentazione del diritto di recesso dall’UE. Ai sensi, infatti, dell’art. 50, par. 1, TUE/Lisb, «ogni Stato membro può decidere, conformemente alle proprie norme costituzionali di recedere dall’Unione». Diritto, di regola non previsto nelle costituzioni degli Stati federali (seppure non senza qualche eccezione, la più significativa delle quali era almeno teoricamente rappresentata dalla Costituzione dell’Unione Sovietica), e la cui esistenza, nel silenzio fino ad ora dei trattati europei, era controversa, anche se realisticamente sarebbe stato pressoché impossibile impedirne l’esercizio.
Considerazioni conclusive: un’Europa più funzionale e rafforzata anche sullo scenario internazionale?
La domanda che ci si può porre, al termine di questa seppure sintetica esposizione dei “punti innovativi salienti” del Trattato di Lisbona è se emerga un quadro di una Europa più funzionale ed anche dotata di una maggiore identità sullo scenario internazionale.
Indubbiamente diverse innovazioni contenute nel Trattato di Lisbona farebbero propendere per una risposta affermativa.
A una esigenza chiarificatrice e razionalizzatrice risponde anzitutto il più netto riparto di competenze tra Unione e Stati membri.
A livello poi di funzionamento delle istituzioni, il rafforzamento del principio democratico si traduce non solo nell’ampliamento delle competenze del Parlamento europeo, in un’ottica per qualche aspetto paragonabile a quella del bicameralismo degli Stati federali, ma anche nell’introduzione, seppure con una certa (e forse anche eccessiva) dilazione nei tempi, del sistema della “doppia maggioranza” dei popoli e degli Stati nelle votazioni a maggioranza qualificata in seno al Consiglio, con conseguenti riduzioni del “potere di blocco” dei singoli Stati e innegabile vantaggio quindi della funzionalità dello stesso Consiglio.
D’altro canto, sempre a livello di istituzioni non si può sottacere il significato, anche in termini di “visibilità” dell’Unione, dell’istituzionalizzazione del Consiglio europeo e dell’introduzione di una presidenza stabile.
Maggiore “visibilità” viene inoltre conferita all’UE sul piano internazionale sia per il riconoscimento di personalità giuridica alla stessa Unione (e non più alla sola Comunità europea, a seguito del superamento della struttura “a pilastri”), sia per l’introduzione della figura dell’alto rappresentante per gli affari esteri e la politica di sicurezza, sia anche la possibile instaurazione di una “cooperazione strutturata permanente” in campo militare; e si potrebbe ancora continuare.
Per certi altri aspetti alcune innovazioni introdotte con il Trattato di Lisbona non mancano però di suscitare perplessità.
Al rafforzamento di singole istituzioni fa infatti riscontro a volte anche una proliferazione di centri decisionali, o comunque in grado di influire sulle procedure decisionali, a scapito della funzionalità del sistema europeo.
Così, ad esempio, al rafforzamento del ruolo del Parlamento europeo si accompagna, quasi a guisa di contrappeso, un rafforzamento del ruolo dei parlamenti nazionali, il che, se da una parte costituisce un fattore di significativa valorizzazione del principio di partecipazione democratica, d’altra parte però può anche essere fonte di “rallentamenti” non indifferenti in procedure decisionali dell’Unione; all’istituzionalizzazione del Consiglio europeo e alla stabilizzazione della sua presidenza rischia di contrapporsi, a scapito della funzionalità e della linearità dell’azione dell’Unione, la netta separazione tra la presidenza del Consiglio e la presidenza del Consiglio europeo, in precedenza spettante al capo di Stato o di governo dello stesso Stato che esercitava la presidenza, seppure semestrale, del Consiglio.
Anche la nuova figura dell’alto rappresentante per gli affari esteri e la politica di sicurezza, a ben considerare, non è sufficiente garanzia di una univoca politica estera dell’UE, poteri in tale campo spettando – come si è visto – anche al presidente del Consiglio europeo e al presidente della Commissione.
E comunque, resta pur sempre irrisolto il nodo di situazioni di impasse, come quella della mancata ratifica da parte di un numero ristretto di Stati ed anche di un solo Stato, entro due anni dalla firma, di un trattato di modifica con procedura di revisione ordinaria di disposizioni dei trattati: situazione nella quale l’ultima parola ritorna al Consiglio europeo e quindi in definitiva agli Stati.
Per non dire infine delle ricadute funzionali di cui possono essere fonte numerose disposizioni contenute negli allegati protocolli e dichiarazioni.
Eugenio De Marco (2010)
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