Unione europea dei federalisti
L’Unione europea dei federalisti (UEF) fu fondata sessant’anni fa (Parigi, 15 dicembre 1946) con l’unificazione in una organizzazione europea dei movimenti federalisti nazionali nati negli anni immediatamente precedenti la Seconda guerra mondiale, durante la guerra e subito dopo. Vanno ricordati, in particolare: l’Europa-Union svizzera (1934), la Federal Union britannica (1938), il Manifesto di Ventotene (1941), il Movimento federalista europeo (1943), il Comitato francese per la federazione europea (1944), il Movimento federalista olandese (1945), il movimento francese. La Fédération (1945), l’Europa-Union tedesca (1946). Occorre anche ricordare che durante la guerra si svolsero in Svizzera e in Francia le prime riunioni sopranazionali dei federalisti a Ginevra e a Parigi, nel quadro della partecipazione dei federalisti alla Resistenza antifascista. Nel federalismo si è in effetti vista l’unica strada attraverso cui realizzare la pace e la democrazia in Europa e diffonderle su scala mondiale.
Nel ripercorrere qui, in modo sintetico i sessant’anni di vita dell’UEF, si possono distinguere sette fasi.
Fondazione e definizione degli orientamenti di fondo (1946-1949).
Si debbono qui sottolineare cinque aspetti fondamentali, il primo dei quali è rappresentato dalla scelta federalista cioè dalla convinzione che l’unità irreversibile e democratica dell’Europa possa realizzarsi solo attraverso la costruzione di uno stato federale.
Sotto questo aspetto, l’UEF si è sempre contrapposta alla scelta confederalista, che allora era rappresentata soprattutto da Winston Churchill, e veniva definita unionista, e successivamente troverà in Charles de Gaulle il suo più autorevole sostenitore. La scelta federalista, che emerge nel convegno di Hertenstein del 15-22 settembre 1946 e poi al momento della fondazione ufficiale avvenuta a Parigi il 15 dicembre 1946 è stata da allora il fondamentale elemento qualificante dell’identità dell’UEF. Ciò non impedirà la partecipazione dei federalisti alla organizzazione, assieme ai confederalisti, del Congresso dell’Aia (7-10 maggio 1948) e alla successiva costituzione del Movimento europeo, comprendente praticamente tutte le organizzazioni a favore dell’unità europea. Dominato all’inizio dalle tendenze confederaliste, il ME, a partire dalla presidenza di Paul-Henri Charles Spaak (1899-1972) nel 1950, sarà guidato da un orientamento prevalentemente federalista. Questa linea sarà sostenuta in particolare, oltre che dall’UEF e dalle Jeunesses fédéralistes europeennes (JEF) ad essa strettamente collegate, dal Consiglio dei comuni e delle regioni d’Europa (CCRE) (v. Consiglio dei comuni d’Europa), dall’Associazione europea degli insegnanti (AEDE), dalla Federazione internazionale della casa d’Europa (FIME), dal Centro internazionale di formazione europea (CIFE). Una linea sostanzialmente confederalista sarà per contro espressa, a livello dei movimenti per l’unità europea (v. Movimenti europeistici), dal Movimento per la Paneuropa di Richard Coudenhove-Kalergi (1894-1972).
Il secondo punto fermo della linea generale dell’UEF è rappresentato dal concepire l’unità europea come una tappa fondamentale e un impulso decisivo verso l’unità mondiale. L’idea di “un’Europa unita in un mondo unito” significa in sostanza individuare nella kantiana pace universale l’obiettivo ultimo della lotta federalista e rifiutare quindi qualsiasi forma di nazionalismo paneuropeo. Questo orientamento non poté tradursi per molto tempo in un legame con l’organizzazione dei federalisti mondiali, dal momento che essi erano contrari alle unificazioni regionali. Ma la situazione è cambiata a partire dagli anni Ottanta e si è infine giunti, in occasione del (V.) congresso dell’UEF (Genova, 19-21 marzo 2004), alla sua adesione al World federalist movement.
Il terzo aspetto rilevante nell’orientamento generale dell’UEF è il rapporto fra la corrente federalista integrale e il federalismo istituzionale. La prima corrente si rifà agli insegnamenti di Pierre Joseph Proudhon ed ha avuto nel francese di origine russa Alexandre Marc il suo massimo esponente all’interno dell’UEF, di cui fu il primo segretario generale. Il federalismo integrale, che ebbe un peso prevalente nei primi anni di vita dell’UEF, è caratterizzato fondamentalmente dalla convinzione che il sistema federale debba avere come sue componenti basilari non solo le entità di carattere territoriale (dai comuni alle unioni di Stati), ma anche quelle di natura funzionale-professionale.
La corrente istituzionalista ha in Alexander Hamilton (teorico dello Stato federale e uno dei padri fondatori degli Stati Uniti d’America, cioè del primo Stato federale della storia) la sua stella polare e in Altiero Spinelli il suo punto di riferimento principale nelle file dell’UEF. Secondo questa corrente, le unità costitutive del sistema federale non possono essere che le istituzioni di natura territoriale. L’orientamento istituzionalista acquisì un peso preminente nell’UEF a partire dal 1949 e fece prevalere il principio secondo cui l’organizzazione dei federalisti deve proporsi di riunire tutti coloro che sono favorevoli alla federazione europea, anche se hanno diversi orientamenti ideologici, comunque appartenenti all’arco democratico. Le tesi dei federalisti integrali, va sottolineato, sono rimaste comunque una componente del patrimonio teorico dell’UEF. Esse hanno fornito in particolare un grande contributo alla definizione del modello economico-sociale europeo imperniato sulla sintesi fra competitività e solidarietà (l’economia sociale di mercato recepita nella Costituzione europea), e pertanto diverso e originale rispetto al modello americano e a quello proprio del sistema economico-sociale collettivistico. Vanno qui soprattutto ricordati i principi del minimo sociale garantito e del servizio civile obbligatorio elaborati dai federalisti integrali già negli anni Trenta.
Il quarto aspetto da ricordare in riferimento alla linea generale dell’UEF è l’idea dell’Europa unita come terza forza fra USA e URSS. Questa parola d’ordine sottolineava in generale il contributo che l’unificazione europea era chiamata a dare alla pacificazione non solo dell’Europa, ma del mondo, ed esprimeva in particolare la volontà di contrastare la divisione dell’Europa in blocchi contrapposti e lo scoppio della guerra fredda. A questo riguardo ci fu, a partire dal primo congresso dell’UEF svoltosi a Montreux dal 27 al 30 agosto 1947, una evoluzione che si espresse nella formula «cominciare in Occidente», coniata dall’olandese Hendrik Brugmans, che fu il primo presidente dell’Ufficio esecutivo dell’UEF e rettore del Collegio d’Europa di Bruges dal 1950 al 1972. Con questa parola d’ordine si prese atto che la formazione dei blocchi era la conseguenza oggettiva del crollo dell’Europa e della formazione di un sistema bipolare dominato dalle due superpotenze. Nello stesso tempo divenne chiaro che l’unificazione europea poteva essere avviata solo nella zona di influenza occidentale, perché in tale quadro il sistema egemonico era meno rigido e la potenza guida americana favoriva con il Piano Marshall, in funzione della politica di contenimento dell’URSS, l’integrazione europea (v. Integrazione, Teorie della; Integrazione, Metodo della). Si precisò d’altra parte che, se nell’Europa occidentale si fosse perseguita con determinazione l’unità sopranazionale, questa avrebbe cambiato l’equilibrio Est-Ovest, messo in crisi il blocco sovietico e aperto la strada all’unificazione di tutta l’Europa. La validità di questa impostazione è stata confermata dal processo storico e l’Unione europea esprime un orientamento in favore di una partnership ugualitaria USA-UE e di un proprio ruolo autonomo ed incisivo per la pace nel mondo. Ciò emerge in particolare nel documento “Un’Europa più sicura in un mondo migliore” approvato dal Consiglio europeo nel 2003, su proposta dell’Alto rappresentante per la Politica estera e di sicurezza comune, Javier Solana. Il rapido avanzamento verso una federazione in senso pieno è d’altro canto la premessa imprescindibile perché l’UE possa perseguire efficacemente questo orientamento.
Il quinto aspetto da prendere qui in considerazione è rappresentato infine dalla linea strategica dell’UEF. Si può dire che l’UEF è giunta nel 1949 a definire, fondamentalmente sulla base delle riflessioni di Spinelli, un orientamento che da allora ha costituito, pur con gli adeguamenti alle diverse situazioni concrete, la struttura portante della strategia della lotta per la federazione europea. Quattro sono gli elementi fondamentali da sottolineare a questo riguardo. I governi nazionali democratici sono allo stesso tempo strumenti e ostacoli rispetto all’unificazione europea. Sono strumenti nel senso che sono costretti dalla crisi storica degli Stati nazionali, che ha fatto emergere l’alternativa “unirsi o perire” (l’incapacità strutturale di affrontare i problemi di fondo della nostra epoca senza una collaborazione sempre più profonda ed estesa fra di loro), ad attuare una politica di integrazione europea. Sono nello stesso tempo ostacoli perché la tendenza oggettiva alla conservazione del potere nazionale li spinge a scelte che rinviano sine die una piena federalizzazione, indispensabile per realizzare una unità europea irreversibile, democratica ed efficiente. Questa contraddizione può essere superata solo con l’intervento di una forza politica federalista autonoma dai governi e dai partiti, e quindi capace di esercitare una pressione democratica che spinga i governi a compiere la scelta pienamente federale che spontaneamente non sono in grado di fare.
La forza federalista deve riunire tutti coloro che sono favorevoli alla federazione europea, avere carattere sopranazionale ed essere in grado di mobilitare efficacemente l’opinione pubblica. Lo strumento insostituibile con cui i federalisti possono imporre la scelta federale è l’assemblea costituente, secondo il modello della Convenzione di Filadelfia che ha dato vita alla Costituzione federale americana. Il metodo della costituente europea è caratterizzato, a differenza di quello della conferenza intergovernativa (v. Conferenze intergovernative), da tre principi fondamentali: nella costituente deliberano i rappresentanti dei cittadini, che sono nella grande maggioranza favorevoli all’unificazione europea, e non i governi che sono spinti a difendere il potere nazionale; si decide a maggioranza (v. Maggioranza qualificata) e in modo trasparente, mentre la conferenza intergovernativa delibera con Voto all’unanimità e in segreto; è possibile la ratifica a maggioranza che supera il diritto di veto nazionale.
Per far passare la scelta federale e costituente, i federalisti devono saper sfruttare i deficit di efficienza (decisioni unanimi sulle questioni fondamentali) e di democrazia (v. Deficit democratico) (svuotamento dei meccanismi democratici nazionali non accompagnato dalla formazione di un vero sistema democratico sopranazionale) che caratterizzano l’integrazione portata avanti dai governi e che sono destinati a produrre situazioni critiche nelle quali la mobilitazione dell’opinione pubblica può imporre l’alternativa costituente democratica.
Dalla campagna per il Patto federale europeo a quella per la Comunità politica europea (1950-1954).
L’UEF fu guidata in questa fase da una specie di triunvirato formato dal francese Henri Frenay, dal presidente della Europa Union tedesca, Eugen Kogon e da Spinelli, e coadiuvato dalla segreteria generale affidata dal 1950 al 1958 all’italiano Guglielmo Usellini. Due furono gli impegni federalisti fondamentali in quegli anni.
Il primo fu la campagna per il Patto federale europeo. Essa consistette nel tentativo di trasformare l’Assemblea consultiva del Consiglio d’Europa (la cui nascita aveva le sue radici nel Congresso dell’Aia) nell’assemblea costituente della federazione europea. Lo strumento fondamentale fu una petizione in cui si chiedeva all’Assemblea consultiva di redigere un testo di patto federale e di raccomandarne la ratifica agli Stati membri del Consiglio d’Europa. Questi avrebbero dovuto impegnarsi a farlo entrare in vigore non appena esso fosse stato ratificato da un numero di Stati con una popolazione complessiva di almeno cento milioni di abitanti. La petizione nel corso del 1950 fu firmata da oltre 500.000 cittadini italiani, da 1/3 dei 30.000 sindaci francesi e ottenne in Germania le adesioni della larghissima maggioranza dei cittadini in occasione di referendum organizzati, con la collaborazione delle amministrazioni comunali, a Breisach, Castrop-Rauxel, Monaco, Bad-Reichenall e Traunstein.
La campagna per il Patto federale non raggiunse il suo obiettivo, ma pose le basi per realizzare la seconda e assai più incisiva azione di questa fase, che fu imperniata sull’art. 38 della Comunità europea di difesa (CED) e sulla Comunità politica europea (CEP) e in cui gli interlocutori fondamentali dei federalisti a livello dei governi furono Robert Schuman, Konrad Adenauer e Alcide De Gasperi. Quando, in connessione con la ricostruzione della Germania occidentale, si dette vita su impulso di Jean Monnet alla Comunità europea del carbone e dell’acciaio (CECA) e si aprirono le trattative sulla CED, l’azione dell’UEF fu determinante per ottenere il collegamento (tramite l’art. 38 della CED) fra la creazione dell’esercito europeo e l’attribuzione all’Assemblea parlamentare della CECA (definita per l’occasione Assemblea ad hoc) del compito di redigere un progetto di unione politica.
Il progetto della CEP, presentato nel marzo 1953, avrebbe inquadrato in un sistema con forti, anche se non piene caratteristiche federali, la CECA, la CED e il disegno – sostenuto in particolare dal ministro olandese Johan Willem Beyen – di un’integrazione economica complessiva. La sua accettazione avrebbe quindi creato premesse assai solide per un rapido avanzamento verso lo Stato federale europeo. La CEP non giunse però in porto perché era legata alla CED, che fu bocciata dall’Assemblea nazionale francese il 30 agosto 1954.
La divisione dei federalisti di fronte ai Trattati di Roma (1955-1963).
La grave crisi legata alla caduta della CED non fece venir meno nei governi dei paesi fondatori della CECA la spinta a continuare la politica di integrazione europea, che aveva la propria radice profonda nella strutturale inadeguatezza degli Stati nazionali ad affrontare i problemi di fondo. Prevalse d’altra parte la scelta di portare avanti l’integrazione comunitaria solo sul terreno economico che, a differenza di quello politico-militare, non avrebbe posto fin dall’inizio il problema di trasferire gli aspetti fondamentali della sovranità a istituzioni sopranazionali. Il rilancio deciso a Messina (v. Conferenza di Messina) nel giugno 1955, sulla base di proposte di Monnet e dei governi del Benelux, portò alla firma il 25 marzo 1957 a Roma (v. Trattati di Roma) dei Trattati istitutivi della Comunità europea per l’energia atomica (CEEA o Euratom) e della Comunità economica europea (CEE). Pur non essendo indicato nei Trattati di Roma – a differenza dalla Dichiarazione Schuman (v. Piano Schuman) del 9 maggio 1950 – l’obiettivo della federazione europea, la convinzione che guidava i loro ispiratori (in particolare Monnet e Spaak) era che l’avanzamento dell’integrazione economica avrebbe portato al rafforzamento degli embrioni federali (Commissione europea autonoma dai governi, diritto comunitario e ruolo della Corte di Giustizia delle Comunità europee, Parlamento europeo di cui era prevista l’elezione diretta (v. Elezioni dirette del Parlamento europeo), passaggio al voto a maggioranza nel Consiglio dei ministri) presenti nel sistema comunitario e, quindi, al successivo passaggio dall’integrazione economica a quella politica.
Di fronte a questa nuova fase del processo di integrazione europea i federalisti si divisero. Da una parte, la grandissima maggioranza dei federalisti tedeschi, guidati da Ernst Friedländer (1895- 1973), e di quelli olandesi, guidati da Brugmans e il movimento francese La Fédération, guidato da André Voisin (1918-1999), ritenne che si dovesse puntare sulla dinamica messa in moto dalle nuove Comunità, e in particolare dalla CEE. I federalisti dovevano accettare una impostazione gradualistica e, quindi, sostenere attivamente l’integrazione economica e impegnarsi a favore del rafforzamento degli embrioni federali del sistema comunitario. L’obiettivo dell’assemblea costituente doveva essere perseguito in una fase più avanzata dell’integrazione europea a cui i Trattati di Roma avrebbero portato. Dall’altra parte, Spinelli (che si portò dietro la maggioranza dei federalisti italiani, francesi e belgi) era convinto che le Comunità europee non fossero in grado di realizzare progressi rilevanti dell’integrazione europea. Di conseguenza i federalisti dovevano criticare in modo intransigente queste iniziative dei governi e contrapporre ad esse con una grande azione di mobilitazione popolare – l’elezione nel maggior numero possibile di città europee di un Congresso del popolo europeo, che si ispirava all’esperienza del Congresso del popolo indiano guidato da Gandhi – la rivendicazione della federazione europea e della costituente come unico mezzo efficace per realizzarla. Poiché l’alternativa “unirsi o perire” costituiva una situazione esistenziale per gli Stati nazionali, la rivendicazione federalista avrebbe avuto la possibilità di imporsi quando fosse diventata evidente l’inadeguatezza del sistema comunitario. D’altra parte, le rivendicazioni della federazione e della costituente sarebbero scomparse dal panorama politico se i federalisti non avessero svolto una costante azione dal basso e si fossero limitati all’appoggio delle iniziative governative.
Questa divergenza, non sugli obiettivi di fondo ma sull’approccio strategico, portò alla divisione dell’UEF e alla formazione di due organizzazioni che fino al 1963 proseguirono ciascuna per la propria strada. I sostenitori della linea Brugmans-Friedländer dettero vita nel 1956 all’Azione europea federalista (AEF), cioè a una struttura di coordinamento raggruppante l’Europa Union tedesca, il Movimento federalista olandese, la Fédération, la Féderal Union britannica e altri piccoli gruppi federalisti in Belgio, Lussemburgo, Danimarca e Italia. La linea di Spinelli si tradusse, sul piano politico-organizzativo, nella trasformazione nel 1959 dell’UEF nel Movimento federalista europeo sopranazionale (MFEs). Questa organizzazione aveva una struttura fortemente centralizzata composta dalle sezioni regionali, che esprimevano direttamente gli organismi europei, mentre a livello nazionale esistevano solo commissioni di coordinamento. Il MFEs operò soprattutto in Italia, Francia e Belgio, fu presente in Germania e Austria ed ebbe come associati i federalisti svizzeri e lussemburghesi. L’azione fondamentale dei federalisti spinelliani consistette nel raccogliere fra il 1957 e il 1962 il voto di circa 640.000 cittadini per il Congresso del popolo europeo e quindi per la costituente europea.
La lotta per l’elezione diretta del Parlamento europeo e la ricostituzione dell’UEF (1964-1973).
A partire dal 1964 il MFEs e l’AEF cominciarono a collaborare in modo progressivamente più intenso e giunsero infine alla riunificazione nella nuova UEF nel 1973. Alla base di questo processo ci fu una evoluzione della linea politico-strategica di entrambe le organizzazioni nei confronti dell’integrazione comunitaria.
Di fronte all’esperienza del successo dell’integrazione economica, nonostante la Francia fosse guidata da un uomo come Charles de Gaulle, programmaticamente contrario all’unificazione sopranazionale, i federalisti del MFEs si convinsero che il sistema comunitario fosse assai più solido di quanto avevano immaginato al momento del rilancio di Messina. Ritennero perciò che l’alternativa federalista dovesse essere perseguita puntando sull’evoluzione della CEE e non sul suo crollo. Questa evoluzione, cioè lo sviluppo degli embrioni federali del sistema comunitario, che avrebbe aperto la possibilità di attivare un processo costituente dell’unità federale europea, non poteva d’altra parte essere affidata semplicemente all’automatismo funzionalistico (v. Funzionalismo). Per superare le fortissime tendenze al mantenimento della sovranità nazionale, che si manifestavano soprattutto, ma non soltanto, nella linea confederalista di de Gaulle, i federalisti dovevano attuare una azione continuativa e sistematica di mobilitazione dell’opinione pubblica e fare leva sulle contraddizioni dell’integrazione derivanti dai suoi deficit sul piano dell’efficienza e della democrazia.
Per quanto riguarda i federalisti dell’AEF, essi superarono il loro atteggiamento quietistico di fiducia nel passaggio pressoché automatico dall’integrazione economica a quella politica e di sostegno piuttosto acritico dell’azione dell’eurocrazia e delle iniziative dei governi. Essi si convinsero in effetti della necessità che il lavoro di consulenza nei confronti della classe politica fosse integrato da una azione più militante a favore delle rivendicazioni federaliste e da un serio e tenace sforzo di mobilitazione dei cittadini. La piattaforma fondamentale sulla quale si realizzò la convergenza e quindi la riunificazione dei federalisti fu la campagna per l’elezione diretta del Parlamento europeo (PE). L’elezione europea, che era prevista dai trattati comunitari (v. Trattati), veniva incontro alla necessità obiettiva di coinvolgere i cittadini europei in un processo integrativo che progrediva in modo tecnocratico e metteva quindi in discussione il principio di legittimità democratica proprio degli Stati membri. L’elezione diretta non era legata ad un automatico rafforzamento dei poteri del PE – proprio per questo era più facile superare la resistenza alla sua attuazione – ma avrebbe fatto nascere una fortissima dinamica in questa direzione in connessione con la formazione di un sistema partitico europeo (v. Partiti politici europei) e la necessità di mantenere gli impegni assunti nella campagna elettorale europea. In sostanza, l’elezione europea avrebbe aperto la strada a sviluppi federali attraverso l’assunzione da parte del PE di un ruolo costituente permanente.
La campagna per l’elezione europea – condotta in stretta collaborazione con il Movimento europeo, che dal 1968 al 1972 fu presieduto dall’ex presidente della Commissione della CEE Walter Hallstein – si svolse senza interruzioni con l’attuazione di diverse iniziative di mobilitazione dell’opinione pubblica. Vanno ricordate in particolare: l’Azione frontiere, che ebbe come promotori i federalisti tedeschi; il Fronte democratico europeo, promosso dai federalisti francesi; la proposta di legge di iniziativa popolare (sottoscritta da 65.000 cittadini con firme autenticate) per l’elezione diretta dei rappresentanti italiani nel PE, presentata nel 1969 al Senato dal MFE italiano guidato da Mario Albertini; le manifestazioni con migliaia di partecipanti organizzate con la JEF, e definite contro- Vertici, a Roma nel giugno 1967, all’Aia nel dicembre 1969 e a Parigi nell’ottobre 1972 in occasione delle Conferenze dei capi di Stato e di governo dei paesi comunitari tenutesi in queste città.
La lotta per l’elezione diretta del PE fece da sfondo alla ricostituzione dell’UEF, che fu proclamata dal congresso di Bruxelles del 13-15 aprile 1973. Si dette vita ad una organizzazione che, a differenza del MFEs, era fondata sulle organizzazioni nazionali, ma aveva una struttura federale e non era un semplice organo internazionale di collegamento, come era stata la prima UEF e ancor più l’AEF. Come presidente fu eletto il francese Étienne Hirsch (che era stato presidente della Commissione esecutiva dell’Euratom ed era stato silurato da de Gaulle per il suo atteggiamento federalista, e nel 1964 era diventato presidente del MFE) e come segretario generale fu nominata l’italiana Caterina Chizzola, che ricoprì tale carica fino al 1990. Il preambolo dello statuto della nuova UEF definiva Kant, Hamilton e Proudhon come padri del federalismo e indicava fra i documenti fondamentali di riferimento: le direttive della Federal Union del 1939; i principi per una nuova Europa della Europa Union svizzera del 1940; il Manifesto di Ventotene del 1941; la Dichiarazione dei resistenti europei di Ginevra del 1944; il programma di Hertenstein del 1946; la Dichiarazione del congresso dell’UEF di Montreux del 1947; la Dichiarazione politica del congresso dell’Europa Union tedesca del 1949; la Carta federalista, fatta approvare dai federalisti integrali nel congresso del MFEs di Montreux del 1964; il documento approvato dal congresso di Nancy del MFEs del 1972.
Dall’elezione diretta del Parlamento europeo al progetto di costituzione promosso da Spinelli all’Atto unico europeo (1974-1986).
Dopo un decennio di campagna popolare federalista a favore dell’elezione diretta del PE, il Vertice di Parigi del dicembre 1974 assunse finalmente l’impegno di realizzare questo obiettivo. La pressione dei federalisti ebbe successo, e non è un caso, in una fase di seria crisi dell’integrazione europea. Nella prima metà degli anni Settanta fallì in effetti il primo progetto di Unione economica e monetaria, che era stato lanciato senza affrontare simultaneamente, come chiedevano i federalisti, il problema del rafforzamento delle istituzioni comunitarie.
In un contesto di crescente instabilità monetaria e di stagnazione economica emerse la concreta possibilità che i risultati dell’integrazione economica fino ad allora ottenuti andassero perduti. L’interesse vitale per l’integrazione fece scattare nei governi della Comunità, che aveva cominciato il suo allargamento, il riflesso unitario. Ci si rese conto che l’integrazione non poteva andare avanti senza il coinvolgimento dei partiti e dell’opinione pubblica. Dopo aver ottenuto l’impegno ad attuare l’elezione europea, l’UEF concentrò la sua capacità di azione nell’ottenere che questo impegno fosse mantenuto, il che avvenne nel 1979.
L’attività di consulenza e di supporto nei confronti dei decisori si accompagnò a una serie di manifestazioni pubbliche con migliaia di partecipanti, le più importanti delle quali furono: la manifestazione in occasione del Consiglio europeo di Roma del dicembre 1975, in cui si decise che l’elezione europea si sarebbe tenuta anche se il Regno Unito e la Danimarca non vi avessero partecipato (alla fine parteciparono); la manifestazione in occasione del Consiglio europeo di Bruxelles del giugno 1976, che decise il numero di parlamentari europei da eleggere. Le aspettative di rilancio dell’integrazione suscitate dalla decisione sull’elezione europea – occorre qui ricordare – permisero l’istituzione del Sistema monetario europeo (SME), voluto in particolare dal presidente francese Valéry Giscard d’Estaing e dal cancelliere tedesco Helmut Schmidt, e fortemente appoggiato dall’UEF. Lo SME, creando una relativa stabilità monetaria, invertì la tendenza al regresso dell’integrazione economica.
Dopo l’elezione del 1979 il nuovo campo di azione dell’UEF fu il sostegno all’assunzione da parte del PE di un ruolo costituente. Qui si realizzò una perfetta sinergia fra l’azione di Spinelli (che dopo essere stato eurocommissario era diventato europarlamentare) all’interno del PE e quella dell’UEF all’esterno per coinvolgere i cittadini, le forze politiche e sociali, gli enti locali. Sotto l’impulso di Spinelli, il PE giunse dopo alcuni anni di lavoro ad approvare il 14 febbraio 1984 un progetto di Costituzione contenente progressi decisivi in direzione federale e in cui, in particolare, si prevedeva la ratifica a maggioranza (come per la Costituzione di Filadelfia). Il contributo dell’UEF (guidata da Albertini dal 1975 al 1984 e poi dal britannico John Pinder fino al 1990) all’iniziativa del PE si manifestò con una azione sistematica e capillare, di cui ricordiamo qui come momenti particolarmente importanti: la manifestazione con 5.000 partecipanti a Strasburgo il 17 luglio 1979 di fronte alla sede del PE in occasione della prima seduta dopo l’elezione di giugno; il congresso del Movimento europeo presieduto da Giuseppe Petrilli a Bruxelles il 24 marzo 1984; la manifestazione in occasione del Consiglio europeo di Fointainebleau del 25 giugno 1984 (v. anche Accordi di Fontainebleau); l’approvazione di risoluzioni a favore del progetto del PE da parte dei Parlamenti italiano, tedesco e belga; la spettacolare manifestazione di Milano (con i suoi 100.000 partecipanti si trattò della più grande manifestazione popolare della storia della lotta federalista) in occasione del Consiglio europeo del 28-29 giugno 1985, che decise a maggioranza la convocazione di una Conferenza intergovernativa per la revisione dei Trattati comunitari (v. Revisione dei trattati); la manifestazione in occasione del Consiglio europeo di Lussemburgo del dicembre 1985.
Il progetto del PE non fu accettato dai governi, ma, come affermato ebbe ad affermare più volte il Presidente della Commissione europea Jacques Delors, rappresentò un fattore di grandissima rilevanza nel processo che portò all’Atto unico europeo (AUE). L’AUE ha potuto rimettere in moto l’integrazione europea anche perché ha aperto una fase di riforme istituzionali, che hanno parzialmente recepito il progetto del PE.
L’impegno per l’unificazione monetaria e la Campagna per la democrazia europea (1987-1996).
Con l’entrata in vigore dell’AUE si realizzava un rilancio dell’integrazione europea, che ebbe come manifestazioni fondamentali la quasi completa realizzazione del. Mercato unico europeo e l’entrata in vigore del Trattato di Maastricht (TDM) nel 1993. Con il TDM si dava vita all’Unione europea (UE), che avviava l’estensione, su base intergovernativa (v. Cooperazione intergovernativa), dell’integrazione ai settori della politica estera, di sicurezza e difesa (v. Politica europea di sicurezza e difesa), della Giustizia e affari interni, e soprattutto realizzava l’unificazione monetaria. Questi sviluppi, accompagnati da importanti avanzamenti sul piano istituzionale (in particolare: rafforzamento dei poteri del PE, estensione del voto a maggioranza da parte del Consiglio, cittadinanza europea), vennero promossi soprattutto dal presidente della Commissione europea Jacques Delors, dal presidente francese François Mitterrand e dal cancelliere tedesco Helmut Josef Michael Kohl. Decisivo fu d’altra parte il cambiamento epocale del quadro internazionale, connesso con la caduta del Muro di Berlino (v. Germania), la fine della guerra fredda e la riunificazione tedesca. L’esigenza, che l’UEF ha sostenuto fin dalla sua nascita, di collegare organicamente la ricostruzione della Germania alla creazione di una comune sovranità europea, per realizzare il definitivo affratellamento fra i francesi e i tedeschi e tutti i popoli europei, rappresentò in effetti un fattore fondamentale dei progressi integrativi compiuti negli anni Novanta.
In questo contesto si colloca il ruolo svolto dall’UEF, che ebbe come presidente, dopo John Pinder, l’italiano Francesco Rossolillo, dal 1990 al 1997, e l’olandese Gerard Vissels come successore di Caterina Chizzola nella funzione di segretario generale. L’impegno più generale e comprensivo fu rappresentato dalla campagna per la democrazia europea attuata dal 1987 al 1996. Se l’obiettivo di fondo era (come sempre) la federazione europea e il metodo costituente democratico, le rivendicazioni concrete attraverso cui si articolava la campagna erano: l’eliminazione dei controlli ai confini fra i paesi della Comunità-Unione; il parallelismo fra allargamento e approfondimento; il rafforzamento del ruolo del PE e della Commissione e estensione del voto a maggioranza; il superamento del monopolio governativo della funzione costituente.
Gli aspetti più rilevanti della campagna per la democrazia europea furono: la raccolta di firme per petizioni alle autorità comunitarie; la presenza sistematica con migliaia di manifestanti in occasione dei più importanti consigli europei (Bruxelles 1987, Hannover 1988, Strasburgo 1989, Roma 1990, Maastricht 1991, Edimburgo 1992, Torino e Firenze 1996); il referendum consultivo sul ruolo costituente del PE, che venne chiesto dai federalisti con una proposta di legge di iniziativa popolare (con 120.000 firme autenticate) e che si svolse in Italia in coincidenza con le elezioni europee del 18 giugno 1989 (88% di voti a favore con una partecipazione al voto dell’82%); il sostegno alla ratifica del TDM e l’intervento particolarmente attivo nel difficile referendum tenutosi in Francia il 20 settembre 1992.
Nel quadro della campagna per la democrazia europea i federalisti, che fin dagli anni Sessanta erano intervenuti a favore della moneta europea (v. Euro) (ad esempio l’azione-frontiere del 1968 fu dedicata a questa rivendicazione), svolsero una azione specifica per favorire la partecipazione del maggior numero possibile di Stati membri dell’UE all’unificazione monetaria. Alla base di questo impegno c’era la considerazione che la moneta unica avrebbe reso più che mai urgente la necessità di un governo democratico europeo.
La Campagna per la Costituzione europea (1997-2006).
L’UEF ebbe come presidente dal 1997 al 2005 il tedesco Jo Leinen e come segretario generale il francese Bruno Boissiere. Nel 2005 diventava presidente l’italiana Mercedes Bresso e segretario generale l’austriaco Friedhelm Frischenschlager. A partire dal congresso di Vienna del 18-20 aprile 1997 la Costituzione federale europea e la costituente europea, da sempre la stella polare della lotta federalista, diventavano oggetto di una specifica campagna che costituisce il filo conduttore dell’azione svolta da allora e tutt’ora in corso. Alla base di questa scelta vi era la convinzione che l’UE, per il grado di integrazione raggiunto e per i problemi emersi nel mondo post-bipolare, si trovi di fronte a della sfide esistenziali. La costruzione della federazione europea, indicata nella Dichiarazione Schuman, e quindi l’attivazione di una procedura costituente democratica, sarebbero la condizione insostituibile per evitare di andare verso un’Europa disgregata e impotente. Le sfide esistenziali sono fondamentalmente: l’urgenza di integrare la moneta europea con un governo economico e sociale sopranazionale; l’allargamento, che è destinato a bloccarsi e a fallire senza un approfondimento che realizzi una efficace solidarietà fra paesi più avanzati e meno avanzati; l’esigenza pressante di una capacità dell’UE di agire efficacemente sul piano internazionale (il che implica la piena federalizzazione della politica estera, di sicurezza e di difesa) per poter fornire un contributo determinante alla creazione di un mondo più giusto e più pacifico.
Fondata su questa percezione, la campagna per la Costituzione federale europea avuto ebbe un momento particolarmente forte nella manifestazione del 7 dicembre 2000 a Nizza (in occasione del Consiglio europeo), a cui parteciparono 10.000 persone, fra cui centinaia di amministratori locali. Alle richieste dei federalisti e del PE i governi rispondevano con la convocazione della Convenzione europea presieduta da Giscard d’Estaing. In tal modo venivano recepiti alcuni aspetti del modello della costituente democratica: la partecipazione dei parlamentari europei e nazionali (già sperimentata con l’elaborazione della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea varata a Nizza); la trasparenza delle riunioni; l’ascolto della società civile (v. Forum della società civile; Società civile organizzata). Si manteneva però il principio della decisione finale unanime da parte dei governi e della ratifica unanime. I federalisti compirono ogni sforzo per favorire l’approvazione di un progetto di costituzione più avanzato possibile e considerarono il progetto finale insoddisfacente, ma comunque contenente importanti passi avanti in direzione del federalismo e della partecipazione democratica, e quindi un traguardo da cui ripartire immediatamente.
Si impegnarono quindi a fondo a favore della ratifica, che però venne bloccata dall’esito negativo dei referendum in Francia e in Olanda (v. Paesi Bassi), anche se il progetto stato venne comunque ratificato dalla maggioranza degli Stati e della popolazione dell’UE.
L’azione dell’UEF si trova ora di fronte al problema di come rilanciare il processo costituente. Poiché è il principio della unanimità, cioè del veto nazionale, che impedisce gli avanzamenti che sono drammaticamente urgenti, la scelta che si è compiuta è concentrata sullo scioglimento di questo nodo cruciale. L’obiettivo strategico della Campagna in questa fase è dunque ottenere che il progetto di Costituzione (rielaborato e migliorato per tener conto degli esiti dei referendum in Francia e Olanda) sia sottoposto a un referendum consultivo europeo nello stesso giorno delle elezioni europee del 2009 e che entri in vigore, fra i paesi ratificanti, se sarà stato approvato dalla doppia maggioranza degli Stati e della popolazione dell’UE (v. anche Duplice maggioranza).
Sergio Pistone (2005)