Zapatero, José Luis Rodríguez
Z. (Valladolid 1960) crebbe a León in una famiglia benestante di tradizione democratica e progressista. Il nonno paterno, capitano repubblicano, durante la guerra civile era stato giustiziato dai nazionalisti di Franco, mentre il nonno materno aveva sempre professato idee liberali. Il padre amava discutere di politica con José Luis e con il fratello Juan durante la loro adolescenza, inculcando loro in primis i principi della tolleranza e del rispetto dei Diritti dell’uomo.
Z. studiò dapprima presso la scuola religiosa Discípulas de Jesús, quindi nel Colegio Leonés. Negli anni Settanta si iscrisse alla facoltà di Giurisprudenza dell’Università di León, conseguendo la laurea nel 1982. Parallelamente cominciò a interessarsi alla politica, partecipando nell’agosto 1976, per la prima volta, a una manifestazione pubblica del Partido socialista obrero español (PSOE) a Gijón. In tale occasione fu affascinato dalle parole pronunciate dal leader Felipe González, nonostante le precedenti simpatie comuniste.
Il suo impegno politico iniziò tuttavia soltanto l’anno successivo quando, durante la campagna elettorale per le politiche, Z. aiutò sia il PSOE che il Partido comunista español (PCE). Alla fine, comunque, optò per l’iscrizione al PSOE: il suo primo incarico significativo risale al 1982, quando divenne capo dell’organizzazione giovanile socialista nella provincia di León. Z. in quel periodo sosteneva la sinistra del partito, l’ala che chiedeva cioè a González una politica sociale più coraggiosa.
Dal 1982 iniziò inoltre a collaborare con l’Università di León come assistente di Diritto costituzionale, ma ormai il suo interesse principale era rivolto alla sfera politica. Di conseguenza, nel 1986 fu candidato e venne eletto in Parlamento nelle file del PSOE, diventando il più giovane deputato delle Cortes. Nominato segretario generale del PSOE a León nel 1988, si allontanò progressivamente dalla sinistra del partito, che nei primi anni Novanta aveva trovato un punto di riferimento importante in Alfonso Guerra.
Rieletto in Parlamento nel 1989, nel 1993 e nel 1996, a partire da quest’ultimo anno entrò a far parte dell’esecutivo federale nazionale del partito. Negli anni del primo governo di José María Aznar (1996-2000) si distinse come un intransigente contestatore del piano energetico nazionale elaborato dal Partido popular (PP), oltre che come fautore dell’aumento delle pensioni per i militari non professionisti che avevano combattuto per la Repubblica nella guerra civile. Per il suo impegno, l’associazione dei giornalisti parlamentari gli assegnò nel 1999 il premio come “deputato rivelazione”. Rieletto in Parlamento nel marzo 2000, anno del trionfo del PP, in aprile Z. fondò il movimento “Nueva via”, una sorta di corrente organizzata all’interno del partito a sostegno di una società multietnica, culturalmente aperta e accogliente, attenta ai diritti civili e sensibile ai problemi sociali. Eletto in luglio segretario del PSOE al posto del dimissionario Joaquín Almunia, Z. divenne l’artefice di una linea di opposizione costruttiva al secondo governo Aznar (2000-2004), una linea pragmatica, che prendeva le mosse dalla constatazione dell’alto grado di consenso di cui godevano in quel momento i popolari nel paese.
Nel marzo 2004, a sorpresa, Z. vinse le elezioni politiche sconfiggendo il primo ministro uscente José María Aznar, cui venne imputata non tanto la colpa di non aver saputo prevenire il tragico attentato terroristico alla stazione di Atocha a Madrid, che, tre giorni prima del voto, aveva provocato la morte di 191 persone, quanto le bugie diffuse nei giorni immediatamente successivi, con il maldestro tentativo di attribuirne la responsabilità non a integralisti islamici affiliati ad al-Qaeda, bensì agli odiati separatisti baschi dell’Euskadi Ta Askatasuna (ETA).
Tra i primi impegni assunti da Z. come premier si deve ricordare il ritiro delle truppe spagnole dall’Iraq, in risposta alla crescente avversione dell’opinione pubblica verso quel conflitto. Seguirono quindi provvedimenti economici e sociali tesi a migliorare la rete infrastrutturale del paese, a sostenere la ricerca e diminuire la precarietà nel lavoro, a incrementare pensioni e salari minimi, nonché a garantire l’assistenza alle persone non autosufficienti. Il suo governo si distinse però soprattutto nell’ampliamento della sfera dei diritti civili, grazie a misure che eliminarono progressivamente le discriminazioni verso le donne, gli immigrati e gli omosessuali, e in riferimento a norme a tutela della laicità dello Stato.
Z. si adoperò inoltre nella riforma dello statuto delle autonomie, cercò di mettere fine al terrorismo degli indipendentisti baschi attraverso un dialogo con l’ETA, si impegnò in una politica della memoria tesa a riconoscere i debiti della Spagna democratica nei confronti delle vittime della guerra civile e del franchismo, affrontò la delicata questione della riforma del sistema televisivo e provò infine a incentivare la produzione di energia da fonti rinnovabili.
Il primo governo Z. fu anche caratterizzato dall’adozione di una politica estera europeista, tesa a ricercare innanzitutto la collaborazione con Francia e Germania, laddove Aznar aveva invece privilegiato l’intesa diretta con gli USA. Egli pertanto sostenne il Trattato costituzionale europeo (v. Costituzione europea), che la Spagna approvò tramite referendum popolare nel febbraio del 2005 con oltre il 76% di voti favorevoli, e dopo la bocciatura di quest’ultimo da parte degli elettori francesi e olandesi, promosse il nuovo Trattato di Lisbona.
I risultati conseguiti dal governo Z. vennero tuttavia disconosciuti dall’opposizione di destra guidata da Mariano Rajoy, che optò per la linea del “muro contro muro” arrivando perfino a mettere in dubbio la legittimità di un esecutivo eletto, a suo avviso, sull’onda emotiva di una tragedia. Questa strategia politica messa in atto dal PP tuttavia non pagò a livello elettorale, e così, nel marzo del 2008, Z. venne confermato alla guida del paese, trovandosi però a governare in un contesto completamente differente, caratterizzato dalla crisi economica, dall’aumento della disoccupazione, specialmente quella giovanile, e dalle difficoltà politiche derivanti dal mancato raggiungimento della maggioranza assoluta di seggi in Parlamento.
Z. questa volta fu perciò costretto a fare i conti con una crisi che nel paese iberico si aggravò di mese in mese, e che gli impose, suo malgrado, un cambio di linea economica, con un taglio sensibile alla spesa pubblica e al welfare, oltre a una riduzione dei costi della politica. Contestualmente egli provò a ricucire i rapporti con la Chiesa cattolica, che si erano pericolosamente deteriorati nel corso del suo primo governo, nonché quelli con gli USA, raffreddatisi dopo il disimpegno dalla guerra in Iraq, ma subito migliorati sotto la nuova presidenza Obama. Nel frattempo emersero però nuove tensioni interne, che resero più difficili i rapporti tra governo e sindacati: la sconfitta alle Elezioni dirette del Parlamento europeo del giugno 2009, con il PSOE ampiamente superato dal PP, rifletteva bene la fine del feeling tra Z. e il paese.
A livello europeo, Z. ricoprì, in qualità di presidente del governo spagnolo, nel secondo semestre del 2010 la Presidenza dell’Unione europea, seppure in coabitazione con il belga Herman Van Rompuy, presidente permanente del Consiglio europeo. La presidenza spagnola è stata caratterizzata da un forte dinamismo, anche se purtroppo le gravi difficoltà economiche del paese impedirono a Z. di giocare quel ruolo da protagonista che aveva probabilmente auspicato.
Al momento del suo insediamento Z. indicò tra le priorità dell’Unione europea (UE) la piena attuazione delle riforme previste dal Trattato di Lisbona, l’adozione di misure straordinarie in risposta alla crisi economica, un piano UE contro la violenza alle donne e per l’uguaglianza tra i sessi. Durante questo semestre egli si impegnò pertanto su questi punti, e si adoperò inoltre per l’approvazione della strategia “Europa 2020”, che disegnava un futuro nuovo modello di sviluppo per la UE, per una maggiore trasparenza degli istituti di credito europei e per la riforma del Patto di stabilità e crescita. Una particolare attenzione venne infine dedicata ai rapporti tra la UE e i paesi extraeuropei, e furono specialmente rafforzate le intese con gli Stati dell’America Latina.
L’aggravarsi della crisi economica, drammaticamente arrivata sino alle soglie di un rischio default per il suo paese, costringendo Z. a varare un piano di austerità molto severo nel maggio 2010, lo spinse a indire elezioni anticipate per l’autunno del 2011 e a non ricandidarsi alla guida del governo: al suo posto il PSOE schierava Alfredo Pérez Rubalcaba, ministro degli Interni, e dall’ottobre 2010 anche vicepresidente, nel governo Z. Nel biennio 2010-2011 il premier Z. seguì fedelmente le ricette neoliberiste europee per far fronte alla crisi, ma nell’ultima fase del suo mandato avanzò qualche critica all’UE, all’Eurozona e soprattutto alla Banca centrale europea (BCE), auspicando la creazione di un’Unione più integrata e solidale.
Guido Levi (2010)